Repressione in Turchia: chiesto lo scioglimento del Partito Democratico dei Popoli
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Repressione in Turchia: chiesto lo scioglimento del Partito Democratico dei Popoli

Il procuratore capo della Corte suprema di appello Bekir Sahin ha avviato una causa presso la Corte costituzionale. L'accusa è di essere "colluso con il gruppo terroristico Pkk" (Partito dei lavoratori del Kurdistan)

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18 Marzo 2021 - 20.48


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di Marco Santopadre

Presto il Partito Democratico dei Popoli potrebbe subire la stessa sorte toccata ad una lunga serie di formazioni curde di sinistra sciolte da Ankara per zittire le opposizioni più radicali.

Il procuratore capo della Corte suprema di appello della Turchia, Bekir Sahin, ha avviato infatti ieri una causa presso la Corte costituzionale di Ankara per chiedere lo scioglimento del Partito democratico dei popoli (Hdp), formazione progressista di opposizione al presidente Recep Tayyip Erdoğan che detiene attualmente 55 seggi su 600 alla Grande assemblea nazionale, il parlamento turco. Si tratta della prima causa ufficiale intentata per chiedere la messa al bando della formazione, dopo una richiesta formulata in tal senso lo scorso gennaio da Devlet Bahceli, presidente del Partito per il movimento nazionalista (Mhp, di estrema destra), che insieme al Partito della Giustizia e dello Sviluppo di Recep Tayyip Erdoğan sostiene il governo.

Il procuratore capo della Corte Suprema accusa l’Hdp di essere “colluso con il gruppo terroristico Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan)” e di “mirare a distruggere l’unità del popolo e dello Stato”. La stessa accusa è stata utilizzata in passato per escludere dalla vita politica altre formazioni – l’ultima, nel 2009, fu il Partito della Società Democratica – che rappresentavano la comunità curda e per arrestare e inabilitare non solo centinaia di sindaci regolarmente eletti nelle regioni orientali del paese, ma anche alcuni parlamentari dello stesso Partito Democratico dei Popoli.

Oltre a chiedere lo scioglimento della formazione per presunte violazioni dell’articolo 68 della Costituzione, il procuratore Sahin richiede di mettere al bando politicamente più di 600 membri del partito, inclusi gli attuali co-presidenti Pervin Buldan e Mithat Sancar e gli ex co-presidenti Selahattin Demirtas (attualmente in carcere) e Sezai Temelli. Secodo la legge un partito dissolto in via permanente non può essere ricostituito sotto un altro nome, e ai suoi membri potrebbe essere impedito di fondare, dirigere, o anche solo aderire ad altre formazioni politiche per almeno cinque anni.

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Il parlamento di Ankara ha deciso, inoltre, di privare del suo seggio parlamentare il deputato dell’Hdp Faruk Gergerioglu, condannato lo scorso 19 febbraio a due anni e sei mesi di reclusione perché accusato di aver “fatto propaganda” in favore del Pkk, formazione clandestina che il regime turco considera un gruppo terroristico (come del resto anche l’Ue e gli Usa) e che contrasta con metodi brutali.

Nel corso degli anni decine di migliaia di dirigenti, eletti e semplici militanti dell’Hdp sono stati detenuti o condannati dalle autorità turche. Anche nel corso di una maxi-operazione contro il Pkk condotta lo scorso 15 febbraio dalle forze di sicurezza turche in 40 province del Paese, e conclusasi con l’arresto di 718 persone, ha portato alla detenzione di numerosi funzionari e militanti del Partito. Selahattin Demirtas, ex co-presidente e carismatico leader dell’Hdp, due volte candidato alla presidenza turca (nel 2014 e nel 2018), si trova in carcere in attesa di giudizio ormai dal novembre del 2016, sempre perché accusato di terrorismo in nome di presunti legami fra il suo partito e il Pkk. La Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata in due occasioni sul caso Demirtas (nel 2018 e nel 2020), chiedendo ad Ankara di “rilasciare immediatamente” il leader politico. La vicenda di Demirtas ha anche causato divergenze all’interno dello stesso fronte di Erdoğan, quando lo scorso novembre l’ex vicepremier e storico membro dell’Akp, Bulent Arinc, si è dimesso dalla carica di consigliere presidenziale dopo aver chiesto il rilascio del leader dell’Hdp.

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Il Partito Democratico dei Popoli, fondato nel 2012, ha ottenuto alle elezioni parlamentari del 7 giugno 2015 uno storico risultato del 13,12% dei voti, ottenendo il terzo gruppo parlamentare del Paese (80 seggi su 550). Nelle successive elezioni anticipate del primo novembre 2015 il partito ha nuovamente superato lo sbarramento, guadagnando il 10,76% e 59 seggi su 550, nonostante i massicci arresti, la censura sui media, le aggressioni alle sue sedi e ai suoi candidati. Il partito ha confermato la sua buona performance anche alle ultime elezioni parlamentari del 24 giugno 2018, alle quali ha ottenuto l’11,70% e più di 5,8 milioni di voti, perlopiù raccolti nelle province a maggioranza curda del Paese ma anche tra i curdi che vivono nelle grandi città turche nell’ovest – soprattutto Istanbul – oltre che tra i turchi di sinistra a lungo orfani di una rappresentanza politica e parlamentare.

Durante la breve parentesi del processo di pace con il Pkk avviato dal governo turco nel 2013, il partito ha negoziato direttamente con l’Akp ma poi, dopo l’inizio delle proteste di massa delle comunità curde contro il sostegno di Erdoğan allo Stato Islamico che aggrediva le popolazioni e i territori del nord della Siria – tra queste anche Kobane – il regime di Ankara ha rotto ogni trattativa ed ha avviato una serie di operazioni militari che hanno prodotto centinaia di morti e migliaia di arresti, con l’assedio e il bombardamento di intere città curde nel sud-est della Turchia.

Contrario alla messa al bando dell’Hdp si è detto Kemal Kilicdaroglu, presidente del kemalista Partito popolare repubblicano (Chp, centrosinistra), sottolineando che è giunta l’ora di “smettere di chiudere i partiti politici”. Per il capo dell’opposizione «i partiti politici sono elementi indispensabili della democrazia» e quelli che sopravvivono sono quelli che ricevono sostegno popolare mentre quelli che non lo ottengono «sono gettati nella spazzatura della Storia».

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In un messaggio pubblicato su Twitter anche Ali Babacan, ex vicepremier e leader del partito Deva, formatosi dopo una scissione del partito di Erdoğan, ha definito “irrispettoso” nei confronti degli elettori il tentativo di bloccare un partito che ha conquistato 6 milioni di voti, riuscendo a bypassare la draconiana soglia di sbarramento fissata in Turchia al 10%. La mossa è stata condannata anche da Ahmet Davutoglu, già primo ministro turco, anch’egli dissidente dell’Akp e fondatore del partito Futuro (Gelecek): “Chiudere i partiti politici sconvolge la pace sociale”, ha scritto su Twitter.

A prendere immediatamente posizione sulla vicenda è stato il portavoce del dipartimento di Stato di Washington Ned Price, il quale ha affermato che gli Stati Uniti seguono “da vicino” i “preoccupanti” sviluppi relativi all’Hdp. Il rappresentante di Joe Biden ha affermato che l’eventuale dissoluzione del Partito Democratico dei Popoli «sovvertirebbe ingiustamente la volontà degli elettori turchi, minerebbe ulteriormente la democrazia in Turchia e negherebbe a milioni di cittadini turchi la loro rappresentanza eletta». In una nota Ned Price ha invitato la Turchia a rispettare la libertà di espressione, «in linea con le tutele della Costituzione turca e con gli obblighi internazionali del Paese».

Alla presa di posizione dell’amministrazione Biden il governo turco ha risposto con un duro comunicato, invitando “alcuni Paesi” – con chiaro riferimento agli Usa – a non interferire in inchieste e procedimenti avviati da tribunali indipendenti.

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