L’incubo della scomparsa si è sciolto a tarda notte, quando i risultati reali confermavano i primi exit polls: il Meretz, il partito della sinistra laica e pacifista, ha superato la soglia di sbarramento (il 3,25%) conquistando, quando lo spoglio dei voti è al 90%, 5 seggi alla Knesset (il Parlamento israeliano). “Sì ce l’abbiamo fatta quando tutti brindavano alla nostra morte politica – dice in questa intervista esclusiva concessa a Globalist Tamar Zandberg, leader storica del Meretzz -. In una campagna elettorale segnata dal Covid, per chi, come noi, non aveva mezzi finanziari adeguati per una massiccia campagna mediatica, è stata davvero un’impresa organizzare incontri, stabilire un contatto diretto con le persone. L’impegno di tante attiviste e attivisti alla fine è stato premiato. Per noi è un nuovo inizio”. Non c’è tempo per i festeggiamenti. Perché Israele rischia di avere il governo più reazionario, razzista, omofobico, anti arabo della sua storia. “La vita di ogni arabo, di ogni donna, di ogni uomo gay e lesbica in Israele sarà più difficile se Netanyahu riuscirà a formare una coalizione”, sottolinea la neo rieletta parlamentare.
Alla fine ce l’avete fatta. Nonostante i sondaggi della vigilia che vi davano sotto la soglia di sbarramento del 3,25%, Meretz sarà presente anche nella nuova Knesset. Soddisfatta?
Siamo riusciti in una missione che molti davano per impossibile. Nel fronte progressista si era aperta una vera e propria caccia all’elettore Meretz, per convincerlo che il suo sarebbe stato un voto perso perché non saremo riusciti a superare lo sbarramento. E’ stata una campagna martellante, piena di colpi bassi, alla fine, però, non ci sono riusciti. Se sono soddisfatta? Direi alquanto sollevata. In gioco non erano destini individuali, qualche poltrona in Parlamento, ma le istanze di cui Meretz è stato portatore fin dalla sua nascita: l’eguaglianza di genere, una pace giusta con i palestinesi, l’inclusione sociale, la difesa dello stato di diritto. Queste istanze tornano in Parlamento e questo è un bene per la democrazia. Una democrazia che è ancor più a rischio dopo il voto di ieri”.
Un’affermazione molto forte. Perché è ancora più a rischio?
Perché è stata superata una “linea rossa” nella politica israeliana.
Quelli che seguono le orme di Kahane sono entrati alla Knesset…
Si riferisce al Religious Zionism, il partito dell’ultradestra che, quando lo spoglio dei voti è arrivato al 90%, è accreditato di 6 seggi…
Definirlo un partito dell’ultradestra è riduttivo. Alla Knesset entra un partito dichiaratamente omofobico, razzista, anti arabo, che considera come un eroe l’assassino di Yitzhak Rabin, Yigal Amir. E la cosa ancor più grave è che questo gruppo fino a poco tempo fa fuorilegge, è stato legittimato dal primo ministro d’Israele. E oggi questi fascisti, perché tali sono nella loro mentalità e nelle idee che professano, potrebbero addirittura entrare al governo. Ecco perché oggi insistiamo nel dire che a vita di ogni arabo, di ogni donna, di ogni uomo gay e lesbica in Israele sarà più difficile se Netanyahu riuscirà a formare una coalizione.
Per impedirlo accettereste anche di sostenere il leader di Yamina (A destra), il tecno-colono Naftali Bennett?
Sulla pace, la giustizia sociale, l’idea stessa di ebraismo, le nostre posizioni sono agli antipodi di quelle di Bennett e del suo partito. C’è un fatto, però, che non può essere messo tra parentesi…
E quale sarebbe questo fatto?
L’emergenza democratica. Pur di ottenere l’impunità di fronte alla Legge, Netanyahu ha dimostrato di essere disposto a tutto, anche a sdoganare i fascisti. Lo abbiamo detto in campagna elettorale e lo ripetiamo a urne chiuse: Benjamin Netanyahu rappresenta un pericolo per il nostro sistema democratico. E non perché è un uomo di destra, ma perché pensa e agisce come un autocrate, una sorta di Erdogan israeliano. Bennett è uomo di destra, ma non è un pericolo per la democrazia. Netanyahu lo è.
Pur di conquistare la maggioranza di 61 voti, i più stretti collaboratori di Netanyahu lasciano la porta aperta ad una maggioranza di cui potrebbe far parte la Lista Araba Unita di Mansour Abbas, fuoriuscito dalla Joint List, su posizioni “moderate”.
Quando dico della pericolosità di Netanyahu, mi riferisco alla sua spregiudicatezza, al tornaconto personale all’ennesima potenza. Stiamo parlando di un primo ministro che ha fortemente voluto la legge su Israele Stato della nazione ebraica, che ha istituzionalizzato l’esistenza di una discriminazione totale sulla base dell’appartenenza etnico e religiosa. Con gli arabi israeliani considerati cittadini di serie B a tutti gli effetti. Ora, però, pur di continuare a governare e a sfuggire ai processi che lo attendono, Netanyahu è disposto a usare i voti di quegli arabi che ha sempre disprezzato. Ma se Netanyahu può accettare di [far entrare gli arabi nella coalizione] per uno scopo così cinico come l’immunità dai processi, non c’è ragione per cui noi non possiamo farlo per il bene dell’uguaglianza, aprendo alla Joint List.
I partiti della sinistra, Labor e Meretz, insieme sono accreditati di 12 seggi. La sinistra è ridotta a pura testimonianza?
Vede, vi sono momenti nella storia, quelli più difficili come l’attuale, nel quale la parola “testimonianza” assume un valore di straordinaria significanza. Perché significa “testimoniare” principi, ideali, che hanno fatto la storia di questo Paese. Testimoniare significa non arrendersi alla dittatura della maggioranza, significa saper andare controcorrente e preparare le condizioni per una vera alternativa di governo. La sinistra ha perso quando ha negato se stessa, quando ha fatto dello stare al governo un fine a se stesso e non, come sarebbe dovuto essere, lo strumento per il cambiamento. La sinistra si è consegnata ai suoi avversari quando ha rincorso la destra sui terreni che più le erano congeniali. Questo risultato può essere l’inizio di un nuovo percorso, a patto di non entrare ancora una volta in una logica governista, mercantile, subalterna. Chi lo ha fatto ne ha pagato un prezzo altissimo.
A chi si riferisce in particolare?
A Benny Gantz e a ciò che è restato del suo Partito. Nelle precedenti elezioni, Kahol Lavan (Blu e Bianco) aveva conteso al Likud il primato elettorale. Oggi è crollato da 35 a 8 seggi. E il tracollo è iniziato quando Gantz è venuto meno all’impegno di essere alternativo a Netanyahu, decidendo di governarci insieme. E’ stato un suicidio politico. Perché Netanyahu non ha rivali nel cannibalizzare i suoi alleati. Fino a quando Gantz gli è servito, bene, quando poi si è rifiutato di sostenere una legge che garantisse a Netanyahu di non essere giudicato per i gravi reati commessi nello svolgimento delle sue funzioni, è stato scaricato e ridotto ai minimi termini.
Resta il fatto che Israele guarda decisamente a destra. Ed è una destra, come lei stessa ha sostenuto, che fa paura. Un cambiamento che non è solo politico.
Ha ragione. Non è solo politico. Non da oggi sono convinta che la destra ha preparato il suo successo elettorale vincendo una battaglia culturale che la sinistra non ha voluto o saputo combattere. Abbiamo sottovalutato il malessere sociale, la rabbia che covava dentro i settori più deboli, meno garantiti, della società israeliana. Siamo stati identificati come l’espressione delle èlite, noi del Meretz come il “partito degli scrittori”. Sia chiaro: io mi sento onorata del fatto che per noi, nel corso del tempo, abbiano votato personalità che hanno fatto grande Israele nel campo della letteratura, delle arti, della scienza. Ma essere il partito degli scrittori non significa dimenticare che esistono aree di malessere, di emarginazione, che non avendo incontrato sulla loro strada la sinistra, hanno guardato a destra. Una destra che ha saputo strumentalizzare rabbia e insicurezza inventandosi di volta in volta il Nemico responsabile di tutto: i palestinesi, gli arabi israeliani, i gay, gli immigrati…
Oltre che come il “partito degli scrittori”, Meretz è stato identificato anche come parte di quel “campo della pace”, in tempi in cui la pace sembra essere uscita dall’agenda politica d’Israele.
Quando parlo di subalternità alla narrazione della destra, mi riferisco anche a questo. Come se la pace fosse altra cosa rispetto ai problemi di tutti i giorni, una sorta di bene di lusso per i ricchi borghesi di Tel Aviv. Qui sta un nostro limite. Non aver fatto intendere che pace e giustizia sociale sono le due facce di una stessa medaglia. Perché raggiungere una pace giusta con i palestinesi significa destinare una parte importante del nostro bilancio statale dalla difesa all’istruzione, alla sanità pubblica, alla ricerca. Riconosco un nostro limite, grave, ma questo non significa che questa idea di pace sia tramontata. La pace non è, come la destra ripete, un cedimento al terrorismo e. a chi vorrebbe buttare a mare gli ebrei e cancellare Israele dalla carta geografica del Medio Oriente. La pace è uno dei pilastri su cui rifondare la nostra democrazia. Se questo significa “testimonianza”, ne vado fiera.
Ora hanno inizio le trattative per il nuovo governo. Come intendete parteciparvi?
L’obiettivo primario è costruire un’alternativa all’autocrate Netanyahu. Non esistono i numeri per un governo di centrosinistra ma possono realizzarsi le condizioni per un governo di scopo, che s’impegni nella lotta alla pandemia che non significa solo portare a compimento la campagna di vaccinazione, ma dare risposta al dramma di decine di migliaia di famiglie che il Covid ha gettato sul lastrico. Un governo che si batta contro le disuguaglianze sociali e che difenda l’autonomia del potere giudiziario dagli attacchi forsennati condotti da Netanyahu. Un governo che difenda lo stato di diritto. Un bene supremo, che dovrebbe stare a cuore anche a una destra democratica.
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