Il Recovery "armato" del "comandante" Draghi: cambiano i governi, non la lobby delle armi
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Il Recovery "armato" del "comandante" Draghi: cambiano i governi, non la lobby delle armi

Una “legge” non scritta che sembra vigere anche con il “Governo dei migliori”. A darne conto sono due rapporti, puntuali e documentati: quello della Rete Italiana Pace e Disarmo, e quello di Oxfam.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Aprile 2021 - 15.42


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Il Recovery “armato” del “comandante” Draghi. Globalist lo ha documentato con articoli e interviste: cambiano i governi, variano le maggioranze, ma una cosa resta sempre inalterata: la potenza di fuoco della lobby degli armamenti. Una “legge” non scritta che sembra vigere anche con il “Governo dei migliori”.

Recovery armato

A darne conto sono due rapporti, puntuali e documentati: quello della Rete Italiana Pace e Disarmo, e quello di Oxfam.

Cominciamo da Ripd. “Sorpresa nell’uovo di Pasqua: una parte dei fondi del Recovery Plan verrebbe destinata per rinnovare la capacità e i sistemi d‘arma a disposizione dello strumento militare. Un tentativo di greenwashing, di lavaggio verde, dell’industria delle armi che la Rete Italiana Pace e Disarmo stigmatizza e rigetta.

Ad aprire a questa possibilità è stato il Parlamento, a quanto risulta dalle Relazioni definite e votate in questi giorni dalle Commissioni competenti. Nel testo licenziato dalla Camera si raccomanda di “incrementare, considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali, anche in favore degli obiettivi che favoriscano la transizione ecologica, contribuendo al necessario sostegno dello strategico settore industriale e al mantenimento di adeguati livelli occupazionali nel comparto”.

Per il Senato “occorre, inoltre, promuovere una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali, think tank e centri di ricerca”. Viene inoltre ipotizzata la realizzazione di cosiddetti “distretti militari intelligenti” per attrarre interessi e investimenti.

Diversamente dalle bozze implementate dal precedente Governo, in cui l’ambito militare veniva coinvolto nel Pnrr solo per aspetti secondari come l’efficienza energetica degli immobili della Difesa e il rafforzamento della sanità militare, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) potrebbe quindi destinare all’acquisizione di nuove armii fondi europei per la rinascita dell’Italia dopo la pandemiaUn comparto che, è bene ricordarlo, già riceverà almeno il 18% (quasi 27 miliardi di euro) dei Fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034.

Le indicazioni inviate al Governo derivano da dibattiti nelle Commissioni Difesa della Camera e del Senato che hanno approvato all’unanimità i pareri consultivi relativi. Ciò evidenzia un sostegno trasversale all’ipotesi di destinare i fondi del Pnrr anche al rafforzamento dello strumento militare. Addirittura alla Camera i Commissari hanno concentrato il loro dibattito sulla “opportunità” di accrescere ulteriormente i fondi a favore della spesa militare fornita dal Piano. Da notare come il rappresentante del Governo abbia sottolineato come i pareri votati corrispondano alla visione organica del Pnrr” dello stesso esecutivo Draghi, che dunque ritiene che la ripresa del nostro Paese realizzare anche favorendo la corsa agli armamenti.

Anche se green le bombe sono sempre strumenti di morte, non portano sviluppo, non producono utili, non garantiscono futuro. La Rete italiana Pace e disarmo denuncia la manovra dell’industria bellica per mettere le mani sui una parte dei fondi europei destinati alla Next Generation.

Inascoltate le associazioni pacifiste, spazio solo ai produttori di armi 

Nel corso della discussione di queste settimane sono stati auditi rappresentanti dell’industria militare (Aiad, Anpam, Leonardo spa) mentre non sono state prese in considerazione le “12 Proposte di pace e disarmo per il Pnrr” elaborate dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e inviate a tutte le Commissioni competenti. Per tale motivo chiediamo ora al Governo che le proposte della società civile fondate sulla costruzione della convivenza e della difesa civile nonviolenta (con un impegno esteso alla difesa dell’occupazione in un’economia disarmata e sostenibile) siano ascoltate, valutate e rese parte integrante del nuovo Pnrr che l’esecutivo dovrà elaborare, spostando dunque i fondi dalla difesa militare.

La produzione e il commercio delle armi impattano enormemente sull’ambienteLe guerre (oltre alle incalcolabili perdite umane) lasciano distruzioni ambientali che durano nel tempo. Ne consegue che la lotta al cambiamento climatico può avvenire solo rompendo la filiera bellica e che il lavoro per la pace è anche un contributo al futuro ecologico. 

Occorre quindi una nuova politica estera italiana ed europea che abbia come obiettivo la costruzione di una comunità globale con un futuro condiviso, riprendendo il progetto delle Nazioni Unite volto “a salvare le future generazioni dal flagello della guerra” e di collaborazione tra i popoli come elemento dominante delle relazioni internazionali.

La nonviolenza politica è lo strumento e il fine che bisogna assumere. Per questo è prioritario orientare il rilancio del nostro Paese ai principi ed ai valori della pace: il Piano deve essere l’occasione per investire fondi in processi di sviluppo civile e non sulle armi. “Non c’è un mondo di ieri a cui tornare, ma un mondo di domani da far nascere rapidamente”: così è scritto nell’introduzione al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). La Rete Italiana Pace e Disarmo vuole davvero che Il mondo di domani, per garantire un futuro alle nuove generazioni, sia basato su uno sviluppo civile e non militare.

Il Mahatma Gandhi indicava l’unica strada possibile “o l’umanità distruggerà gli armamenti, o gli armamenti distruggeranno l’umanità”. Non possiamo tollerare che nemmeno un euro dei fondi destinati al futuro ecologico venga invece impiegato per mettere una maschera verde al volto di morte delle fabbriche d’armi. L’umanità ha bisogno di pace e di un futuro amico.”

Così il report di Ripd.

C’è un pezzo di quello che Eisenhower chiamava il “complesso militare industriale” che porta avanti imperterrito il proprio percorso. In alcuni casi perché ci credono, credono veramente che la capacità dell’Italia di portare avanti i propri interessi dipenda dal dispiegamento militare o delle spese militari; in altri casi, perché capiscono che tutto questo favorisce un pezzo d’industria che lucra su queste cose, non certo a vantaggio del sistema Paese ma a vantaggio solo dei propri interessi. In questo senso sì, c’è una lobby, c’è un pezzo di strutture che va in quella direzione. Io, però, sul terreno parlamentare registro più che altro una mancanza di coraggio. Alla Commissione Difesa storicamente sono sempre andati coloro che non avevano altro dove andare e rimanevano con il bastoncino corto in mano, e quindi erano più facilmente malleabili, non dico manipolabili ma era difficile per loro mettersi contro. Devo dire che nella scorsa legislatura, soprattutto alla Camera dei deputati, la Commissione Difesa ha iniziato a lavorare diversamente, a manifestare un cambio di passo. Ed è una cosa che succede dappertutto. Negli Stati Uniti, il controllo sulle spese militari è forsennato, e non si tratta certo di un Paese pacifista, ma perché vogliono sapere cosa succede. Invece da noi sembra quasi che se tu vuoi andare a controllare, allora sei disfattista, sei contro lo Stato…Invece no. Purtroppo c’è una mancanza di coraggio, tranne per alcuni esponenti che alla fine, proprio per il loro impegno, sono stati messi da parte. La trasmissione di ieri ha fatto vedere il caso di Gian Piero Scanu, ma pensiamo, per restare alla scorsa legislatura, di Giorgio Zanin, sempre del Pd, o a Giulio Marcon: tutti quelli che hanno cercato di muoversi in una certa direzione, chissà come mai non sono più in Parlamento. Perché se hai il coraggio di esporti, di rivendicare e praticare controlli e trasparenza, rimani da solo. E’ questo un po’ il problema. Per cui uno dei nostri tentativi, anche come Rete Italiana Pace e Disarmo è quello di fare una pressione popolare affinché poi chi sta in Parlamento possa sentirsi non più da solo nel cercare di osteggiare questi mega interessi.”, così Francesco Vignarca, autore di Mil€x, il primo Osservatorio sulle spese militari italiane, ed esponente di primo piano della Rete Italiano Pace e Disarmo, in una recente intervista a Globalist. 

Allarme Oxfam

Una potenza lobbistica che viene fuori anche dal rapporto di Oxfam. Nonostante la spesa indicata in legge di bilancio per la cooperazione nel 2019 sia pari a 5 miliardi di euro, i dati finali Ocse per lo stesso anno indicano che l’Italia abbia destinato all’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) solo 3,9 miliardi. Una discrepanza dovuta al fatto che il Ministero dell’Interno continua a indicare per questo settore cifre sproporzionate. Nello specifico su oltre 1,6 miliardi considerati come fondi destinati alla cooperazione, anche se destinati alla “spesa rifugiati” in Italia, solo 397 milioni di euro sono stati riconosciuti come aiuto allo sviluppo dall’Ocse, ossia come spese dirette per l’accoglienza dei migranti. Circa 1,2 miliardi di euro dunque non sono stati correttamente destinati allo sviluppo dei Paesi più poveri, ma nemmeno al miglioramento delle politiche di integrazione dei migranti arrivati in Italia; al momento è oscuro quale sia stato l’effettivo impiego. Una distorsione che si potrebbe produrre anche nel 2020 e secondo le previsioni triennali dell’ultima legge di bilancio per gli anni successivi. Considerando che il flusso di arrivi è oggi un fenomeno assai contenuto: 11.374 nel 2019, 34.133 nel 2020 e poco più di 6.400 dall’inizio del 2021.

 Trasparenza cercasi

Una mancanza di trasparenza quindi nei confronti del Parlamento chiamato a decidere e votare la Legge di Bilancio e allo stesso tempo nei confronti del cittadino contribuente, trattandosi ovviamente di fondi pubblici. 

È la denuncia contenuta nel nuovo report pubblicato ieri  da Oxfam e Openpolis.

“La conseguenza generale di tutto questo è che mentre si continua a parlare di un aumento dei fondi destinati all’aiuto allo sviluppo, che nominalmente dovrebbe arrivare allo 0,29% nel 2020 in rapporto al reddito nazionale, di fatto nel 2019 si è rimasti fermi allo 0,22% e ciò accadrà anche per il 2020, rendendo di fatto un miraggio centrare l’obiettivo dell’0,7% entro il 2030, che ci allineerebbe con gli impegni solennemente presi in sede internazionale e con gli obiettivi dell’Agenda 2030.  –  rimarca  Francesco Petrelli, portavoce di Oxfam Italia –  La domanda che viene lecito porsi quindi è come siano stati spesi gli 1,2 miliardi di euro “mancanti” da parte del Ministero dell’Interno. Di sicuro non per lo scopo a cui sarebbero destinati, ovvero la lotta alla povertà nei paesi poveri. Né tantomeno per migliorare le politiche di accoglienza dei richiedenti asilo in Italia o per aver dovuto gestire flussi migratori in ingresso più consistenti”.

Dall’analisi dei numeri forniti dallo stesso Ministero degli Interni, si vede infatti che dal 2018 al 2019 non c’è stata solo una forte diminuzione degli arrivi via mare – passati da 23.370 a 11.471 – ma anche una decisiva contrazione delle presenze nel sistema di accoglienza, calate da 135.858 persone a dicembre 2018, a 91.424 un anno dopo, con una diminuzione di oltre 44.000 presenze. A fine 2020 erano circa 79.938 ossia erano ritornati sui livelli del 2014. Nel 2019, inoltre, abbiamo assistito alla riforma del sistema di accoglienza, voluta dall’allora Ministro Salvini con i ddl Sicurezza. Nei Centri di Accoglienza Straordinaria sono stati stralciati tutti i servizi per l’integrazione, riducendo l’offerta (e dunque la spesa correlata) sostanzialmente ai soli vitto e alloggio. Basti pensare che il costo coperto dallo Stato per singolo richiedente asilo è passato da 35 a 21,35 euro, vale a dire meno 39% al giorno per i centri più piccoli, meno 28 – 25% per quelli più grandi.

“Lanciamo un appello al Governo Draghi per una maggiore trasparenza, visto che questo trend potrebbe essere confermato anche per il 2020 e negli anni successivi, sottraendo risorse fondamentali per i paesi più poveri nella fase di recessione globale provocata dalla pandemia. – continua Petrelli –. Nonostante l’esito deludente dell’ultima legge di bilancio e le difficoltà in prospettiva triennale ci auguriamo una prima inversione di tendenza, che riporti l’aiuto allo sviluppo intorno ai 4,5 miliardi di euro. Un aumento che consentirebbe e arrivare almeno a uno 0,25% nel rapporto Aps/rnl”.

Un appello da raccogliere e rilanciare. Destinazione Palazzo Chigi e il Viminale. Perché il “Governo di alto profilo” non sia un Governo con l’elmetto. 

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