Evocare la Libia suscita in me una profonda emozione. In un tempo ormai lontano, nel 1926, durante un attacco di ribelli libici, moriva mio nonno Francesco Briatico, capitano dei bersaglieri. Inviato a Tripoli dopo il servizio reso in Belgio ed in Francia, a capo di una Commissione per il recupero dei caduti nella carneficina del ’15-18, tornato in Italia per un certo tempo fu responsabile della zona militare di Orvieto dove mia madre frequentò l’asilo e la prima elementare, dalle suore.
In seguito, il nonno che non ho, ovviamente, mai potuto conoscere, fu trasferito, in qualche modo d’autorità, da quello “sciagurato” generale Graziani, a Tripoli con l’incarico di organizzare e guidare un nucleo speciale antiguerriglia.
Cadde tragicamente in un’imboscata presso dei pozzi petroliferi ad un centinaio di chilometri da Tripoli. Mia madre frequentava il liceo classico di Tripoli, con molte amicizie coltivate poi a lungo. A meno di quarant’anni, la nonna ligure si è ritirata in Calabria, terra d’origine del marito.
Nel deserto libico è stato fatto prigioniero dagli inglesi, successivamente, nel 1940, mio padre, che ho potuto conoscere, al suo ritorno, solo nel 1946.
Questa l’emozione che mi suscita la vista/missione del presidente Draghi a Tripoli e il decisivo contributo alla rappacificazione allo sviluppo costruttivo di tutta la Regione e dell’intero Mediterraneo.