Cambiano i governi, ma sui migranti e rifugiati la priorità assoluta resta la stessa: esternalizzare il controllo delle frontiere per bloccare una (inesistente) invasione. Globalist ne discute con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
Di fronte all’ennesima strage in mare, Papa Francesco ha affermato: “E’ il momento della vergogna”. Una vergogna per chi?
Per le politiche dell’Unione europea, Italia inclusa, che hanno messo in conto che ci sarebbero stati tanti morti quando hanno deciso di applicare politiche di chiusura, cercando di volta in volta l’accordo con un Paese che si trova oltre la frontiera marittima dell’Ue, nel 2016 la Turchia, nel 2017 la Libia, delegando a questo Paese, pagandolo profumatamente, il compito di non far partire. Che poi ha significato semplicemente lasciar partire quando conveniva.
Nella strage consumatasi nei giorni scorsi, non solo le Ong ma anche Frontex e agenzie Onu come Unhcr e Oim hanno denunciato il fatto che seppur allertati gli Stati frontalieri non sono intervenuti. Non è un reato, oltre che un comportamento immorale?
L’omissione di soccorso oltre ad essere una aberrazione del comportamento umano è anche un crimine. Non c’è dubbio che in una vicenda del genere in cui per un numero infinito di ore è stato chiesto aiuto e questo aiuto è stato negato, pur sapendo, pur vedendo, è chiaro che questa volta le responsabilità di chi non ha prestato soccorso sono ancora maggiori. E sono ancora maggiori anche le responsabilità di chi non permette alle Ong di soccorrere.
Affidando tutto alla cosiddetta Guardia costiera libica, che l’Italia continua a finanziare e a ringraziare.
Questo terribile episodio fa sentire ancora più stridenti quei complimenti che il presidente del Consiglio Draghi ha rivolto alla Guardia costiera libica. Questa è una creatura diabolica costruita dall’Italia, a partire dal 2017. E quando si associano i due termini, Guardia costiera libica e soccorso, si fa un ossimoro tra i più clamorosi. Perché tra quelli che muoiono in mare, perché non soccorsi, e quelli riportati in terraferma e destinati a torture feroci, è evidente che quella creatura lì non si sta comportando bene.
E c’è anche chi rimpiange e vorrebbe tornare all’accordo bilaterale di cooperazione Italia-Libia, sottoscritto da Berlusconi e Gheddafi.
L’unica cosa che va rimpianta è l’operazione Mare Nostrum, dal punto di vista di politica dei governi. Ricordiamoci che quella è stata l’ultima azione istituzionale di cui essere orgogliosi. Tutto quello che è accaduto dopo, sono state scelte e politiche contrarie ai diritti umani. Ciniche, perché sapevano che ci sarebbero stati i morti.
Oggi, 25 Aprile, è il giorno in cui celebriamo la Liberazione dal nazifascismo. Visto dai più indifesi tra gli indifesi, migranti, richiedenti asilo, rifugiati e da quel mondo solidale di cui Amnesty fa parte, come dovrebbe essere declinata nel presente la parola “Liberazione”?
Invertendo completamente le politiche che hanno guidato l’azione dell’Unione europea e dei singoli Stati membri nell’ultimo decennio, o almeno a partire dal 2016, dall’accordo Unione europea-Turchia e l’anno successivo quello tra Italia e Libia. Questo sarebbe urgente più che mai. Ogni volta che c’è un naufragio diciamo che è urgente ma molte delle persone che piangono lacrime di coccodrillo sono le stesse che hanno adottato quelle politiche e sono le stesse che le porteranno avanti.
Quella che continua, sia pure in modo meno proclamato, è la guerra alle Ong che operavano nel Mediterraneo. Una guerra rivolta ora anche ai giornalisti scomodi, quelli intercettati. Al di là dei toni, non è cambiato nulla da quando al Viminale c’era Salvini a oggi che ministra dell’Interno è la prefetta Lamorgese?
Sembra che la priorità sia sempre quella di scendere a patti con la Libia, in tutti i modi. Magari pronunciando ogni tanto quelle due paroline “diritti umani” che dovrebbero mettere a posto le coscienze. Ma la realtà è che quell’accordo tra Italia e Libia che è alla base di tutto, è difeso. Ed è difeso ai massimi livelli di una politica di governo italiana, con espressioni di elogio come quelle che abbiamo sentito nei confronti della Guardia costiera libica. Aggiungo a questo che i tempi delle inchieste a volte sono maggiori della durata dei governi, e quindi questa è un’onda lunga di indagini che sono state avviate negli ultimi cinque anni e che hanno prodotto degli effetti raggelanti.
Perché?
Perché intanto hanno significato persone messe sotto indagine. Hanno significato sequestro di imbarcazioni. Come abbiamo visto, hanno anche comportato intercettazioni del tutto illegali nei confronti di persone che non erano indagate. Hanno procurato nei confronti di giornalisti una violazione del segreto professionale. E altro ancora. Possiamo dire a ragion veduta che quella stagione di criminalizzazione della solidarietà, che aveva conosciuto il picco sotto Salvini, non è completamente terminata.
L’Italia e l’Europa continuano a cercare nella sponda Sud del Mediterraneo gendarmi e autocrati a cui affidare il lavoro sporco. La storia non ci ha insegnato nulla?
Quando la storia, da parte dei protagonisti non certo delle vittime, mostra che si è consapevoli che non verrà pagato un prezzo per le perdite di vite umane, è evidente che non insegni nulla, si va avanti così. Quando verrà raccontata fino in fondo la storia dal punto di vista delle migliaia di annegati, magari anche attraverso una commissione d’inchiesta parlamentare, che si sta invocando da più parti, sui rapporti con la Libia, sull’accordo che c’è stato nel 2017 e sulle sue conseguenze, sarà una storia completamente diversa.
Una storia che per una volta verrebbe scritta dalle vittime e non dai vincitori.
Sì. Anche se a me fa riflettere amaramente il fatto che basterebbero quelle immagini di brandelli di gommoni, di cadaveri con ciambelle di salvataggio addosso…Ad una politica umana basterebbero quelle immagini per cambiare completamente approccio. Insisto nel dire che quando sono state adottate quelle politiche si è tenuto conto che ci sarebbero state quelle immagini ma ha prevalso l’obiettivo: quello di fermare a tutti i costi i flussi migratori verso la frontiera orientale e verso quella meridionale dell’Unione europea.