Come se a Israele mancassero le armi. E l’Italia cosa fa? Gliene vende altre. Per farci cosa, lo si sta vedendo in questi giorni.
Il governo italiano revochi le licenze per forniture di armi a Israele. E’ la richiesta avanzata, mentre nella Striscia di Gaza i morti e feriti si contano a centinaia, dalla Campagna di pressione alle “banche armate”.
Stop alla vendita di armi
“ La repressione, i lanci di missili, le rappresaglie ed i raid arei che si stanno susseguendo tra Israele e territori palestinesi, con le conseguenti perdite di vite umane soprattutto tra la popolazione civile, mostrano drammaticamente ancora una volta che c’è solo un modo per mettere fine all’escalation delle violenze: riconoscere – come da anni sostiene la Santa Sede – al popolo palestinese il suo Stato e, di conseguenza, tutelarne il territorio e il diritto all’autodeterminazione eleggendo i propri rappresentanti politici – rimarca un comunicato di Rete Italiana Pace e Disarmo (Ripd) -.
Il governo israeliano continua, invece, ad utilizzare ogni mezzo, compreso l’intervento militare, per la repressione nei confronti del popolo palestinese di cui da anni lo Stato di Israele sta occupando i territori in violazione del diritto internazionale e nei cui confronti sta attuando politiche di apartheid che rasentano la “pulizia etnica”.
Il nostro Paese, se non vuole continuare ad essere complice delle violenze e della sopraffazione da parte di Israele nei confronti del popolo palestinese, deve anzitutto mettere in pratica il principio sancito dalla nostra Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Principio ribadito nella legge n. 185 del 9 luglio 1990 che vieta esplicitamente l’esportazione di sistemi militari “verso i Paesi la cui politica contrasti con i princìpi dell’articolo 11 della Costituzione” e “verso i Paesi in stato di conflitto armato”.
Per questo chiediamo al governo italiano di sospendere immediatamente tutte forniture di armamenti a Israele e di revocare tutte le licenze per armi in corso. Di farsi, quindi, promotore di una simile istanza presso i governi dei Paesi dell’Unione europea.
Per vent’anni i governi italiani – prosegue il comunicato – pur mantenendo buoni rapporti diplomatici, economici e commerciali con Israele, hanno messo in pratica una politica rigorosa e restrittiva sulle forniture di armi e sistemi militari allo Stato di Israele: le autorizzazioni all’esportazione rilasciate tra il 1990 al 2011 si attestano a poche decine di migliaia di euro all’anno. Questa politica, rispettosa del dettato costituzionale e delle norme vigenti, è stata stravolta per la prima volta nel 2012 quando il governo Monti, a seguito degli accordi presi dal precedente governo Berlusconi, definì il contratto per la vendita allo Stato d’Israele di 30 velivoli da addestramento avanzato M-346 della Alenia Aermacchi, azienda del gruppo Finmeccanica (oggi Leonardo S.p.A.): velivoli già predisposti nella versione da combattimento multi-ruolo “fighter attack”.
Negli anni successivi le forniture di sistemi militari dall’Italia a Israele sono aumentate, ma non hanno segnato valori rilevanti fino al febbraio 2019 quando i ministeri della Difesa italiano e israeliano hanno firmato un accordo per l’acquisto di sette di elicotteri AW119Kx d’addestramento avanzato per le forze aeree israeliane, del valore di 350 milioni di dollari, in cambio dell’acquisto da parte dell’Italia di un valore equivalente di tecnologia militare israeliana: nel settembre del 2020 sono stati aggiunti altri cinque elicotteri AW119Kx, per un totale di dodici.
Nell’ultimo quinquennio (2016-2020) l’Italia ha autorizzato esportazioni militari a Israele per un valore complessivo di oltre 90 milioni di euro che comprendono armi semiautomatiche, bombe e missili, strumenti per la direzione del tiro e apparecchi per l’addestramento militare.
Non è possibile rintracciare nelle recenti Relazioni governative gli Istituti di credito coinvolti nelle operazioni di compravendita di sistemi militari tra Italia e Israele. Va però ricordato che l’operazione del 2012 per la vendita a Israele di 30 aerei addestratori M-346 ha visto la partecipazione di UniCredit. Per questo invitiamo tutte le associazioni che hanno a cuore la pace e i correntisti a scrivere alla propria banca per chiedere informazioni riguardo all’eventuale coinvolgimento dell’istituto di credito nelle forniture di armi e sistemi militari a Israele. Tutte le informazioni, con le tabelle delle recenti Relazioni governative che riguardano le operazioni svolte dagli Istituti di credito”.
Sotto le macerie
Ancora una volta sono civili innocenti a pagare il prezzo altissimo del fallimento della comunità internazionale nel negoziare un immediato cessate il fuoco tra israeliani e palestinesi, affrontando le cause alla base della crisi. La tremenda escalation di morte e violenza degli ultimi giorni avrà come prime vittime una generazione perduta di giovani e bambini palestinesi intrappolati tra le macerie di Gaza, senza diritti e senza futuro.
E’ l’allarme lanciato oggi da Oxfam, al lavoro nella Striscia di Gaza per soccorrere una popolazione stremata, che ancora una volta si trova ad affrontare l’incubo della guerra.
“Gli oltre 2 milioni di palestinesi che vivono confinati nella Striscia hanno sopportato il peso di tre conflitti negli ultimi 10 anni – racconta Laila Barhoum, policy advisor di Oxfam a Gaza – Siamo stanchi e abbiamo paura. Giorno dopo giorno guardiamo le bombe cadere sulle case dove vivono e lavorano i nostri amici, familiari, colleghi, chiedendoci se saremo i prossimi. Attendendo invano una condanna della comunità internazionale su quello che sta accadendo. Quando alla fine di questa nuova escalation verrà dichiarato un cessate il fuoco, usciremo per strada e inizieremo a ricostruire dalle macerie, con la sola prospettiva di aspettare una nuova ondata di bombardamenti che distruggerà di nuovo, quanto abbiamo appena ricostruito”.
Oxfam lancia perciò un appello urgente alle parti in conflitto perché rispettino il diritto internazionale umanitario e i principi di distinzione, precauzione e proporzionalità nell’uso della forza.
“Chiediamo alla comunità internazionale di agire per un immediato cessate il fuoco e risolvere le cause alla radice della nuova ondata di violenza e della perdurante violazione dei diritti umani, causata dalle politiche di sistematica oppressione e discriminazione attuate da Israele, compresa l’occupazione. Già prima dello scoppio dei nuovi scontri la popolazione di Gaza era in ginocchio a causa della pandemia e di ben 14 anni di blocco israeliano.
“La popolazione di Gaza ha festeggiato l’ultimo giorno di Ramadan sotto i bombardamenti che hanno già causato 110 vittime palestinesi (tra cui 29 bambini e 14 donne) e 620 feriti tra cui 115 bambini. Senza un’immediata fine delle ostilità molti altri civili innocenti verranno uccisi e altre migliaia saranno in pericolo per la chiusura dei servizi pubblici ed economici essenziali. – aggiunge Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – 7 israeliani (tra cui 2 bambini) sono rimasti uccisi dai lanci di razzi che hanno causato 107 feriti; i cittadini in tutto Israele vivono nel terrore di attacchi indiscriminati, mentre in diverse città israeliane sta crescendo la tensione e il rischio che si verifichino nuovi scontri. Anche i cittadini israeliani subiscono oggi le pesanti conseguenze dell’uso sproporzionato della forza, di cui le prime vittime sono stati i manifestanti palestinesi a Gerusalemme Est”.
Affrontare le cause della nuova esplosione di violenza
L’attuale escalation non può trascurare le cause all’origine di questo nuovo conflitto, ma diventare invece l’occasione per affrontarle radicalmente.
Le violazioni a cui il mondo assiste in queste ore sono il risultato di settimane di brutalità e uso eccessivo della forza da parte dei coloni israeliani e della polizia contro fedeli palestinesi, medici impegnati nel primo soccorso e persone che manifestavano pacificamente a Gerusalemme Est. Sono la conseguenza diretta dei tentativi di trasferimento forzato di intere famiglie dal quartiere di Sheikh Jarrah. Né va dimenticata l’impunità per le violazioni dei diritti umani di Israele, legittimate dal silenzio della comunità internazionale, che non ha esercitato la dovuta pressione per costringere il governo israeliano a rispettare gli obblighi internazionali derivanti dal suo status di potenza occupante di proteggere i civili sotto il suo controllo.
La situazione nei Territori Occupati
I palestinesi dei Territori Occupati vivono una costante condizione di oppressione e discriminazione in quello che di fatto è diventato uno stato di polizia israeliano: negati i loro diritti fondamentali di libertà di movimento, di culto, riunione, espressione. A Gaza si vive in stato di assedio, una trappola da cui le persone non possono fuggire per salvarsi. A Gerusalemme Est e in molte aree della Cisgiordania vi è il rischio quotidiano di essere letteralmente cacciati di casa, come parte dello sforzo governativo a sostegno dei coloni, il cui scopo è allontanare i palestinesi dalle loro terre. Tutte queste sono palesi violazioni del diritto internazionale.
Le parole contano, ma non bastano. La comunità internazionale ha sempre il dovere di condannare ovunque e senza mezzi termini le violazioni dei diritti umani e della legge internazionale. I governi devono agire con coraggio, senza il quale non potranno che moltiplicarsi le ritorsioni ai danni di civili, che si troveranno sotto il fuoco di attacchi aerei e bombardamenti.
“Mi raccomandano di stare al sicuro durante i bombardamenti, ma come faccio? – conclude Barhoum – Non ho un rifugio antiaereo, né posso scappare perché siamo circondati da muri di cemento armato per tre lati e dal Mediterraneo per il quarto, è questa la realtà che forse al resto del mondo sfugge. Non si possono più usare due pesi e due misure quando si tratta di condannare l’uccisione dei nostri cittadini e proteggere i diritti umani.”
“Oggi assistiamo all’ennesimo fallimento della comunità internazionale di proteggere la dignità e i diritti umani dei palestinesi – rimarca Pezzati – Dobbiamo rompere questo circolo vizioso di conflitti seguiti da tregue e impegni di aiuto umanitario, che sono solo palliativi per ferite tanto profonde. Affrontando le cause dell’ingiustizia e della violenza subite sotto l’occupazione, potremo dire di essere fuori da questo buco nero.”
Iniziamo a non vendere più armi a Israele. Cosa ne pensa, presidente Draghi?
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