Con la “nuova Libia” gli affari sono assicurati. Quanto ai diritti umani, si vedrà. E’ il sunto della visita del premier libico Abdul Hamid Dbeibah a Roma, la prima ufficiale in Italia da quando ha assunto la carica di primo ministro.
Con Dbeibah ci sono diversi ministri libici, da quello dagli Esteri all’Interno, dai Trasporti all’Economia. Nella mattinata alla Farnesina si è tenuto un Business Forum al quale, oltre al ministro degli Esteri Luigi Di Maio e alla delegazione di Tripoli, hanno partecipato una nutrita rappresentanza di imprese italiane: Snam, Saipem, Terna, Ansaldo Energia, Fincantieri, PSC Group, Italtel, Leonardo, WeBuild, Gruppo Ospedaliero San Donato, Cnh Industrial, Eni. Sul piatto la riattivazione di alcuni macro-investimenti italiani in Libia, come la costruzione dell’Autostrada della pace inserita negli accordi siglati da Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi nel 2008, o il dossier energetico. Tutti gruppi interessati alla ricostruzione della Libia, convocati per ascoltare dal premier e dai ministri competenti le opportunità offerte dal Paese. A condizione che prosegua quel processo di stabilizzazione, avviato a metà marzo con la nascita del governo di unità nazionale e che dovrebbe portare alle elezioni del 24 dicembre prossimo. L’ad di Eni Claudio Descalzi aveva peraltro già incontrato il premier libico durante il suo viaggio a Tripoli a fine marzo per discutere delle attività nel Paese della società, che rappresenta il primo produttore di gas nel Paese nordafricano e il principale fornitore di gas al mercato locale.
Affari a gogò
“Ci troviamo ad una svolta cruciale del processo di stabilizzazione politica della Libia. Possiamo contare oggi su una Libia nuova e unita” ha affermato Di Maio, aprendo la plenaria del business forum italo-libico alla Farnesina, “le migliori forze produttive italiane vogliono essere protagoniste del rilancio del nostro partenariato industriale e del processo di ricostruzione del Paese, a partire dalle esigenze che i nostri amici libici considerano prioritarie”. La presenza di Dabaiba, ha aggiunto, “conferisce altissimo valore a questa riunione, che costituisce un ulteriore tassello del percorso di rilancio del partenariato che Italia e Libia hanno intrapreso dai giorni successivi alla formazione dell’autorità transitoria unificata”. Di Maio ha evidenziato che l’Italia “non ha mai abbandonato la Libia e l’ambasciata ha sempre continuato ad operare anche nei momenti più difficili”, mentre adesso “siamo impegnati a rafforzare ulteriormente la presenza istituzionale italiana in Libia, attraverso l’imminente riattivazione del consolato generale a Bengasi e l’apertura di un consolato onorario a Sebha, in Fezzan. Nei prossimi mesi, inoltre, rafforzeremo anche la nostra presenza a Tripoli, con un desk promozionale per le imprese italiane e un addetto culturale presso la nostra ambasciata”.
“Il supporto che l’Italia fornisce in Ue” sull’immigrazione ”è molto importante e lo abbiamo ribadito nei diversi incontri avuti al livello italiano ed europeo” ha detto il premier libico Dbeibah. L’Italia e la Libia “al livello storico hanno sempre cooperato, l’Eni è tra i nostri partner più grandi per il petrolio” ma anche in materia di infrastrutture il rapporto con l’Italia ”è molto forte e ci dispiace che lo scambio commerciale si sia abbassato, il nostro obiettivo è incrementarlo. Dobbiamo ricostruire scuole, ospedali, infrastrutture, vogliamo tornare alla produzione di 3-4 milioni di barili al giorno e rilanciare i settori dell’economia. E il miglior partner siete voi”.
A meno di due mesi dalla visita di Mario Draghi a Tripoli, poi il premier italiano e il suo omologo libico si sono incontrati all’ora pranzo per un faccia a faccia che, rispetto all’inizio di aprile, registrerà due novità. Lo slancio del nuovo governo libico ha subito un sensibile rallentamento tra nodi politici interni – come l’approvazione del bilancio, non ancora arrivata -, un certo attivismo dei gruppi armati e il rapporto, tutt’altro che risolto, con l’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar. Inoltre, sul fronte migranti, è massimo lo sforzo dell’Italia per rendere il dossier soprattutto europeo. Si cercherà, innanzitutto, di integrare le esigenze di due Paesi accomunati dal problema flussi.
Per la Libia la priorità è proteggere i confini meridionali, quelli del Fezzan dove, negli ultimi mesi, l’Italia sta concentrando l’attenzione. È una priorità anche italiana ed europea, sulla quale Roma sta spingendo per un impegno anche finanziario di Bruxelles. Sul dossier da qualche giorno Draghi può contare sull’asse con Emmanuel Macron, sempre più preoccupato dalla crescente instabilità del Sahel, all’origine della partenza di migliaia di profughi. Nei prossimi giorni Di Maio si recherà proprio in Niger, tra i Paesi che presentano le maggiori criticità nella regione.
Un equilibrio precario
Sebbene dopo dieci anni di conflitto abbia trovato un nuovo equilibrio politico con l’insediamento del governo transitorio, la presenza dei mercenari e l’ingombrante figura del generale Khalifa Haftar, che sabato ha organizzato una parata militare, minacciano gli sforzi di pacificazione. Restano le divisioni tra l’ovest e l’est, con Haftar che spera ancora di avere un ruolo nella nuova Libia e cerca di dettare l’agenda, mentre non è stato ancora approvato il bilancio unificato presentato dal governo Dbeibah, la cui adozione rappresenta un passaggio cruciale per avviare e favorire la ricostruzione ed il rilancio dell’economia libica. E sul fronte della sicurezza rimane il problema della presenza dei mercenari stranieri che nei mesi scorsi hanno combattuto al fianco di entrambi i fronti e della presenza militare russa a est e turca a ovest. Mentre la strada costiera Sirte-Misurata non è stata ancora riaperta, a causa della resistenza dei gruppi armati che la controllano e non vogliono lasciare la zona. In questo contesto di grande fragilità si inseriscono le difficoltà libiche nella gestione dei flussi migratori.
C’è poi il dossier sbarchi. Tema posto a Bruxelles lunedì scorso dallo stesso Draghi e che sarà in agenda al Consiglio Ue del 24-25 giugno. L’Italia è pronta ad assicurare piena assistenza alla Libia ma spinge, allo stesso tempo, per inserirla in un quadro europeo.
Quel ringraziamento di troppo
Resta poi aperto il nodo della tutela dei diritti umani di chi è trattenuto in Libia. Il ringraziamento di Mario Draghi al lavoro della Guardia Costiera libica, in occasione della sua visita a Tripoli, è suonato stridente a molti.
L’Europa cerca ancora una soluzione comune all’annosa questione dei flussi migratori che premono alle sue porte e sulle sue coste. Soluzione che a detta degli stessi leader europei non sembra a portata di mano. Sul dossier migratorio, Di Maio, in occasione della visita a Tripoli ha insistito sulla necessità di una “strategia più ampia”, che non sia incentrata esclusivamente sul controllo della frontiera libica marittima – la porta dell’Ue dal Mediterraneo centrale – ma anche su quella meridionale, nel Fezzan, da cui transitano i disperati che lasciano il Sahel. “Investire nello sviluppo economico e sociale del Fezzan è quindi un altro elemento essenziale di questa strategia. L’Unione europea può essere al fianco del governo di unità nazionale in questo percorso”, ha assicurato Di Maio. L’Italia – che ha da poco nominato un Console onorario nella regione meridionale della Libia – guida tra l’altro la missione Eubam, che partecipa proprio agli sforzi per la sicurezza dei confini libici contro i trafficanti di esseri umani e il terrorismo, oltre all’operazione Irini che dovrebbe garantire l’embargo delle armi nel Mediterraneo. La missione di Italia, Malta e Ue a Tripoli era andata così incontro alla richiesta della ministra degli Esteri libica, Najla el Mangoush, di intercettare le rotte dei migranti molto prima che arrivino a rischiare la vita in mare. “La Guardia costiera deve essere una parte strategica della lotta al fenomeno e non una soluzione”, ha dichiarato la responsabile libica definendo le migrazioni illegali “una triste storia e un problema umanitario, di sicurezza ed economico”.
Stop al rifinanziamento
“Nelle prossime settimane – scrive Nello Scavo su Avvenire – il Parlamento italiano dovrà discutere il rinnovo del sostegno alla cosiddetta guardia costiera libica, costata fino ad ora oltre 800 milioni di euro, e che non di rado ha ricambiato l’interessato favore con ambigue manovre in mare, omissioni di soccorso, diverse stragi e un certo numero di raffiche sparate all’indirizzo di pescherecci italiani. Anche il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha insistito nel chiedere ai partner Ue di potenziare la missione navale europea Irini nel ruolo di addestramento dei guardacoste di Tripoli. «Nella Guardia Costiera libica non sono tutti degli angeli – ha osservato il direttore del “Libya Herald” -. Inoltre riportare i migranti in Libia, dove non abbiamo la capacità di rispettare gli standard internazionali, porta ad ulteriori crimini». I clan hanno affinato le tecniche di taglieggiamento dei Paesi europei. E le frequenti partenze di queste settimane, proprio in vista del vertice a Roma con Dbeibah, fanno parte della trattativa a colpi di barconi. Un sistema di vera criminalità organizzata che Safa Msehli, portavoce dell’Oim da Ginevra, riassume in un tweet nel quale denuncia la sparizione di migliaia di persone: «Più di 10mila migranti sono stati intercettati quest’anno da “entità libiche” e sono stati portati in prigione. Ma oggi solo la metà di loro si trova in questi centri. Questo sistema è un abominio». Così Scavo, uno dei pochi che le vicende libiche e lo scempio dei diritti umani perpetrato nei lager libici, conosce veramente.
Alla Libia non occorrono corsi di formazione militare, navi o armi ma “law enforcement, capacità di tutela e promozione dei diritti umani e ripresa economica”. A dirlo a InfoAfrica è Fadel Lamen, direttore del Libyan national economic social development board, pochi giorni prima della visita di Abdul Hamid Mohammed Dbeibah, primo ministro libico, a Roma.
“Per una buona relazione occorre avere obiettivi comuni” ha detto Lamen a InfoAfrica, spiegando che non sempre il nuovo corso di relazioni tra Italia e Libia, ma anche tra Ue e Libia, ha seguito questa logica. Da un lato, quello libico, la necessità di garantire la sicurezza per poter aiutare una necessaria ripresa economica e dall’altro, quello italiano ed europeo, la necessità di frenare i flussi di migranti irregolari che attraversano il Mediterraneo.
“Quello che serve è una strategia più ampia – sostiene Lamen – perché proteggere le acque e i confini non è la soluzione ai problemi comuni che dobbiamo affrontare”.
Ai libici “non occorre formazione sull’uso di armi o di imbarcazioni piccole e medie per il pattugliamento e la lotta ai trafficanti, il problema in Libia non è questo” sostiene Lamen. “Se la Libia intercetta i trafficanti, i migranti irregolari o blocca le imbarcazioni sulle proprie coste, dove pensate che finiscano queste persone? Nei centri di detenzione, che sono in pessime condizioni” e gestiti anche peggio: “Per questo non serve formazione sull’uso di armi, serve formazione sui diritti umani, sul diritto internazionale. Va adottato un piano strategico, più comprensivo ed ampio, la questione non è solo donare armi o imbarcazioni, questo è semplicistico. In Libia non c’è la capacità di identificazione dei migranti, non esiste un modo per valutarne lo status e la posizione legale, per concedere lo status di rifugiato”.
Lamen suggerisce un approccio più ampio e globale, che comprenda i diritti umani, il rafforzamento giuridico della Libia e l’economia.
Ma per l’Italia i diritti umani restano un optional. La diplomazia degli affari non li prevede.
E così il futuro è un ritorno al passato. E al Memorandum d’intesa Italia-Libia sottoscritto nel 2008 dall’allora premier Silvio Berlusconi e da Muammar Gheddafi. “Le autorità libiche vogliono riattivare tutte le intese previste dall’accordo di amicizia e partenariato del 2008 raggiunto da Berlusconi e Gheddaf”, ha affermato il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, copresidente della Cecil (Commissione economica congiunta italo-libica) all’indomani dell’incontro con la ministra degli Esteri libic Najla Al-Mangoush . “Abbiamo capito – prosegue Di Stefano – che vi è un preciso interesse libico a privilegiare le aziende italiane che non subiranno, ad esempio, la concorrenza di quelle turche a Ovest e di quelle russe ad Est. In particolare il recente memorandum of understanding firmato in Turchia non mette in discussione la commessa al consorzio italiano Aeneas per 79 milioni di dollari per l’aeroporto di Tripoli, che resta dunque confermato”.
Il sottosegretario pentastellato ha la memoria corta o da rivoluzionario terzomondista, ai tempi dei 5Stelle all’opposizione dei governi Renzi e Gentiloni, si è trasformato in un esegeta della realpolitik. Quanto all’accordo da cui si riparte, lasciamo l’ultima parola a Bill Frelick, direttore per le politiche dei rifugiati di Human Rights Watch,: “Il primo ministro Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi stanno costruendo il loro accordo di amicizia a spese di individui, di altri paesi, ritenuti sacrificabili da entrambi”, “Più che un trattato di amicizia – aveva aggiunto Frelick nel giorno della visita a Roma del rais libico , nel giugno 2009 – si direbbe uno sporco accordo per permettere all’Italia di scaricare i migranti e quanti sono in cerca di asilo in Libia e sottrarsi ai propri obblighi”.
Era vero allora, lo è di più dopo dieci anni di guerra. Una guerra sciagurata di cui l’Italia è stata parte.