Tassa i super ricchi. Investe su istruzione, sanità pubblica, infrastrutture delineando un “New Deal del Terzo Millennio”. Vuole rimettere mano alla legislazione sulle armi. Dichiara guerra alla Big Pharma. Definisce il terrorismo suprematista la più grande minaccia interna per gli Stati Uniti. Ed ora lancia anche una campagna nazionale contro la corruzione. C’è un riformista vero alla Casa Bianca. Il suo nome è Joe Biden.
Un riformista conseguente
“La corruzione è un rischio per la nostra sicurezza nazionale e dobbiamo riconoscerlo come tale”. Così l’inquilino della Casa Bianca, annunciando la misura con cui dichiara la lotta alla corruzione come uno degli interessi chiave di sicurezza nazionale, ordinando a tutte le “agenzie e dipartimenti di presentare raccomandazioni per aumentare in modo sensibile l’azione del governo”. “Combattere la corruzione non è solo una questione di buon governo, ma di autodifesa, è patriottismo, ed è essenziale per preservare la nostra democrazia ed il nostro futuro”, è proseguita la dichiarazione del presidente con cui si annuncia il National Security Study Memorandum on the Fight Against Corruption. “Gli Stati Uniti guideranno con l’esempio e insieme con i nostri alleati, con la società civile ed il settore privato per combattere la piaga della corruzione – ha concluso Biden – ma questa è una missione per il mondo intero, e tutti dobbiamo sostenere i cittadini coraggiosi che in tutto il mondo chiedono una governance onesta e trasparente”.
Parlano Teodori, Tarantelli, Williams, Fitoussi
“Io credo che si possa parlare di “New Deal” sul modello di quello che Franklin Delano Roosevelt fece nei primi 100 giorni della sua presidenza nel 1933. Ma quello che mi piace sottolineare è il fatto che Biden si dedica a delle questioni, a dei temi, a dei problemi che sono i grandi dimenticati della recente storia americana. Con questo voglio dire che i presidenti degli Stati Uniti, sia nelle presidenze Democratiche che in quelle Repubblicane, hanno avuto sempre una attenzione marginale per quello che si può chiamare il Welfare State. Al contrario, mi pare che Biden stia affrontando, in occasione della grande crisi della pandemia, proprio i grandi temi del welfare , vale a dire istruzione, sanità, redistribuzione dei redditi dai più ricchi ai poveri, infrastrutture con la mano pubblica. Tutte cose molto marginali nella vicenda americana”, afferma Massimo Teodori, professore di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti. Tra i suoi libri sull’America, ricordiamo: Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti (Marsilio, 2017); Obama il grande (Marsilio, 2016); Storia degli Stati Uniti e il sistema politico americano (Mondadori, 2004) e, dal 20 maggio in libreria, Il genio americano. Sconfiggere Trump e la pandemia globale (Rubettino, 2020).
“I problemi che Biden ha da affrontare e risolvere sono tanti e certo non agevoli. Ma qualcosa di importante si è già verificato perché il suo intento di unire gli americani possa avere buon esito. Prima di tutto, una parte sostanziale dell’elettorato americano, ha già cambiato campo, votando Biden e non Trump. In secondo luogo, una grande maggioranza del Paese è a favore di quello che vuole fare Biden. Se questo non è unificante, non so cosa sia. Se lui, come io credo, saprà utilizzare bene questa forza, potrà dire ai Repubblicani che se faranno ostruzionismo al Congresso, la pagheranno. Perché loro non possono essere contro l’idea di Biden per il Recovery plan. Certo, potranno sostenere che è troppo grande, che si trascinerà con sé un mare di tasse, i soliti argomenti della destra. Ma se i Repubblicani faranno in modo che quel piano non passi al Congresso, saranno loro a pagarne le conseguenze. Del Recovery plan fa parte la campagna di vaccinazione, perché una parte di quei soldi andranno all’acquisto dei vaccini e all’organizzazione della campagna di vaccinazione. Non possono essere contro a questo. Al di là delle urla degli estremisti, questo è molto unificante. I Repubblicani non possono boicottarlo”, dice a Globalist Carole Beebe Tarantelli, profonda conoscitrice degli Stati Uniti, psicanalista, già docente associata all’Università La Sapienza e parlamentare per tre legislature.
Un altro fronte caldo su cui il riformismo dei fatti di Biden dovrà cimentarsi è quello della vendita delle armi. “Sicuramente questa è una sfida ancora più difficile di quella della riforma della polizia- osserva Massimo Teodori. E questo perché nella Costituzione americana, c’è un emendamento nel Bill of Rights il quale prevede che tutti gli americani possano detenere e portare con sé le armi. Tutti i tentativi di riformare il controllo e la limitazione delle armi, è andata a sbattere contro la barriera di questo emendamento costituzionale, invocato anche dalla Corte Suprema una decina di anni fa per tagliare delle riforme di controllo che erano state fatte in precedenza. Il problema questa volta sarà quello della Corte Suprema. Nel senso che qualsiasi ricorso contro una restrizione delle armi, arriverà subito alla Corte Suprema. E sappiamo che oggi la Corte Suprema ha una larga maggioranza conservatrice per via dei giudici che sono stati nominati da Trump. Mettere un freno alla diffusione delle armi, comunque alla loro vendita, è un nodo ancora più divisivo e controverso di quello della polizia, soprattutto negli Stati dell’Ovest e del Sud dove è dominante la “cultura della frontiera”, e cioè ognuno si fa giustizia da sé e può portare l’arma dove e come vuole”.
La questione sociale
“Nel 2016, Trump ha intercettato un malessere sociale che i democratici e Hillary Clinton hanno sottovalutato, come ha dovuto ammettere, autocriticamente, lo stesso Obama. In quelle elezioni, ha conquistato il voto delle tute blu e dei colletti bianchi che hanno pagato pesantemente la finanziarizzazione dell’economia e la deindustrializzazione di intere aree del Paese. Trump ha dato risposte sbagliatissime, sciagurate, a un problema reale: in questi decenni è andata avanti la globalizzazione dei mercati e non la globalizzazione dei diritti sociali, umani, di cittadinanza. Se si vuole davvero contrastare i Trump del mondo, da qui, a mio avviso, occorre ripartire. Da presidente, Joe Biden dovrà avere un’attenzione particolare al problema delle disuguaglianze sociali che la crisi pandemica ha aggravato. Oggi i ricchi sono ancora più ricchi e i poveri sempre più poveri. L’America che Biden deve rimettere in piedi, non deve essere solo più tollerante e inclusiva, ma anche più giusta sul piano sociale e per quel che concerne la tutela e il rafforzamento di diritti fondamentali, primo fra tutti quello alla salute. I suoi primi atti da presidente e gli obiettivi delineati nel suo discorso dei 100 giorni al Congresso fanno ben sperare” ci dice Jody Williams, fondatrice della Campagna Internazionale per il Bando delle Mine Antiuomo (International Campaign to Ban Landmines), insignita del Premio Nobel per la pace nel 1997.
C’è una immagine di Biden che parla al Congresso che ha molto colpito i media. Una immagine per molti versi storica. Per la prima volta due donne, seconda e terza carica dello Stato, erano sedute nell’aula della Camera alle spalle di Biden. “Signora Vice presidente”, è stato l’omaggio di Biden a Kamala Harris. “Un’America più giusta e solidale non può non essere un’America che assuma il punto di vista, e non solo le rivendicazioni, delle donne – annota Williams -. Qualcosa d’importante è avvenuto in queste elezioni, anche se i grandi mezzi di comunicazione ne hanno parlato troppo poco, presi com’erano nel seguire le sparate di Trump. Non mi riferisco solo alla Harris ma al record di donne elette al Congresso: ben 106 alla Camera bassa, cui si aggiungono le sei elette o rielette al Senato (di queste, 83 sono state elette tra le fila del partito democratico e 23 tra i repubblicani, e 43 sono donne di colore – 42 democratiche e 1 repubblicana-. Particolarmente significativo l’exploit delle candidate del GOP, con 13 neo elette su 21 in totale. Sono stata particolarmente felice per la rielezione della mia amica Alexandria Ocasio-Cortez, (la più giovane deputata mai eletta, ndr) , ma anche dell’affermazione di Rashida Tlaib e Ilhan Omar (,altri due membri della cosiddetta “Squad”, l’ala sinistra del partito democratico, che sono state le prima donne musulmane mai elette in un’assemblea legislativa Usa,) e di Deb Haaland e Sharice David (le prime native americane elette, ndr). La loro grinta, la loro determinazione a condurre battaglie per i diritti delle donne e delle minoranze, sono un investimento sul futuro, per un’America liberata dal fardello Trump”.
Rimarca in proposito Teodori: “Non c’è dubbio che Biden raccoglie quelle che sono le istanze della civilizzazione liberale nel mondo occidentale, vale a dire il ruolo e la posizione delle donne. E in questo senso lui la valorizza molto più di quanto abbiano fatto in precedenza i presidenti, anche quelli Democratici. Questo è il significato, piuttosto che quello di prevedere che la Vice presidente di oggi possa diventare la presidente di domani”.
C’è chi sostiene, con paura ovvero con speranzoso entusiasmo, che alla Casa Bianca si sia insediato un socialista. “No, c’è un uomo normale. Che ha la responsabilità di una popolazione e non di qualche ceto di essa. Biden sente come suo il dovere di proteggere l’insieme della popolazione. Questo porta con sé il ritorno necessario dello Stato nell’economia. Biden era partito senza dirlo”, rileva uno dei più autorevoli economisti europei: Jean Paul Fitoussi, Professore emerito all`Institut d’Etudes Politiques di Parigi e alla Luiss di Roma. È attualmente direttore di ricerca all’Observatoire francois des conjonctures economiques, istituto di ricerca economica e previsione. È autore di numerose opere tra cui La misura sbagliata delle nostre vite. Perché il PIL non basta più per valutare benessere e progresso sociale (Etas 2010 e 2013), scritto con Joseph Stiglitz e Amartya Sen.
Il discorso dei cento giorni pronunciato da Biden al Congresso è stato definito da più parti come una sorta di manifesto di un “New Deal” del Terzo Millennio. “Su questo lato – rimarca Fitoussi -gli Stati Uniti hanno sempre avuto una visione pragmatica. Ad esempio, Obama aveva nazionalizzato l’industria automobilistica. Loro non hanno paura del debito né del disavanzo. Dopo la crisi, il disavanzo pubblico è arrivato fino al 12% del Pil negli Stati Uniti. Quelli che sono terrorizzati di fronte a questo, sono gli europei. Che hanno paura di un punto di disavanzo in più”.
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