Draghi contro il Dragone cinese: la svolta "atlantica".
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Draghi contro il Dragone cinese: la svolta "atlantica".

Parte dalla Cornovaglia la sfida a Pechino voluta dal presidente statunitense Joe Biden e fatta propria, anche se con toni più moderati, dagli altri 6 Paesi occidentali del G7. L'Italia si accoda

Draghi alla riunione della Nato
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

14 Giugno 2021 - 15.08


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Draghi contro il “Dragone” cinese. Ecco la prima, vera svolta “atlantista” dell’Italia. A sancirla è il G7 in terra britannica.

Pro Biden

Parte dalla Cornovaglia la sfida a Pechino voluta dal presidente statunitense Joe Biden e fatta propria, anche se con toni più moderati, dagli altri 6 Paesi occidentali del G7. Non solo con le parole di condanna del lavoro forzato e delle violazioni dei diritti umani e nel tornare a chiedere un’indagine internazionale sulle origini del virus, dalla Cornovaglia parte anche la sfida alla Nuova via della Seta, con un consistente piano infrastrutturale alternativo a quello cinese. L’iniziativa – americana – prenderà il nome di ‘Build Back Better World (B3W)’, ed è una scossa per Pechino, di fatto una contromossa dell’America – affiancata da Italia, Francia, Canada, Germania, Giappone, Regno Unito – alla competizione economica del Dragone. 

La “Via” smarrita

Una situazione delicata e potenzialmente imbarazzante per l’Italia, l’unico paese occidentale a siglare, nel marzo del 2019, accordi sulla via della Seta, col primo governo Conte. Ma Mario Draghi, in conferenza stampa al termine del G7, non esclude che quegli accordi possano essere rivisti. In sintesi, smantellati. Il memorandum siglato nel 2019, con tanto di liste lunghissime di singole intese tra i due Paesi “non è stato mai menzionato, nessun accenno” durante il G7, assicura il presidente del Consiglio. “Per quanto riguarda l’atto specifico, lo esamineremo con attenzione…”, annuncia.  “Sulla Cina si è scritto tanto della nostra posizione – dice Draghi richiamando le indiscrezioni che lo descrivevano ‘freddo’, assieme alla cancelliera Angela Merkel e ai vertici Ue, sull’accelerazione impressa dagli States contro Pechino – si è parlato di divisioni ma io credo che il comunicato rifletta la posizione non nostra ma quella di tutti, in particolare rispetto alla Cina e alle altre autocrazie”. Del resto, aggiunge Draghi: “il comunicato finale riflette perfettamente la nostra posizione sulla Cina, che deve essere fondato su tre principi: cooperazione, competizione, franchezza”. 

Due mesi fa ci fu il primo veto imposto con il golden power. Draghi ha annunciato di aver impedito la vendita del 70% di una azienda italiana attiva nel settore dei semiconduttori a una società cinese. Un autentico sbarbo a Pechino, e già in precedenza l’esecutivo aveva imposto prescrizioni su contratti di fornitura di tecnologia 5G ad aziende italiane come Linkem e Fastweb da parte di società del dragone come Zte e Huawei.  “Nessuno disputa il fatto che la Cina abbia diritto ad essere una grande economia come le altre – dice ancora il premier – Quello che è stato messo in discussione sono i modi che utilizza, anche con le detenzioni coercitive. E’ un’autocrazia che non aderisce alle regole multilaterali, non condivide la stessa visione del mondo delle democrazie”. A Biden l’Italia riconosce di aver ” voluto ricostruire quelle che sono le alleanze tradizionali degli Stati Uniti dopo il periodo di Trump, in cui queste alleanze sono state seriamente incrinate”.   

Un breve passo indietro nel tempo. Era il 23 marzo 2019, il premier Giuseppe Conte e il presidente della Repubblica Popolare cinese Xi Jinping firmavano un memorandum d’intesa tra i due Paesi nell’ambito del progetto infrastrutturale cinese noto come Belt and Road Initiative (Bri). A margine del patto con Pechino, Conte seminava ottimismo: “È una grande opportunità per riequilibrare la bilancia commerciale con la Cina”. E il suo vice Luigi Di Maio aggiungeva: “La Via della Seta aumenterà l’export delle nostre eccellenze nel mercato euroasiatico, cresceranno i nostri imprenditori”.

Narrano le entusiastiche cronache di una stampa mainstream: Trasporti, energia, impianti siderurgici, credito, cantieri navali: attraversano tutto il sistema industriale italiano gli accordi commerciali ufficializzati a Villa Madama. Il pacchetto comprende 19 intese istituzionali e 10 accordi commerciali:. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e il presidente della Repubblica Cinese, Xi Jinping, hanno presenziato alla firma ma non sono stati loro a siglare gli accordi. Nel dettaglio, sono stati materialmente firmati i tre protocolli d’intesa che per l’Italia vedono coinvolto il vicepremier e ministro dello sviluppo economico, Luigi Di Maio. Si tratta del memorandum di intesa sulla collaborazione nell’ambito della ‘Via delle Seta Economica’ e dell”Iniziativa per una via delle seta marittima del 21° secolo’, del Protocollo d’intesa per la promozione della collaborazione tra start up innovative e tecnologiche e del memorandum d’intesa tra il Mise e il Ministero del commercio cinese sulla cooperazione nel settore del mercato elettronico. Per le altre intese istituzionali e commerciali è avvenuto simbolicamente uno scambio dei documenti perché gli accordi erano già stati firmati dalle parti coinvolte. Per il Governo è un traguardo che il vicepremier Luigi Di Maio sottolinea citando Trump: “anche noi diciamo Italia First nelle relazioni commerciali”; bolla poi le preoccupazioni di altri Paesi europei come una reazione al fatto che l’Italia “arriva prima” tra i Paesi G7 ad un’intesa con la Cina e rassicura: “spiegherò agli americani che non hanno nulla da temere”, neanche sul fronte delle reti per la telefonia mobile. “Se i nostri alleati hanno delle preoccupazioni sul 5G è bene irrobustire la golden power”. Alla vigilia dell’incontro a Villa Madama imprese e istituzioni, italiane e cinesi, si sono confrontate in un business forum dedicato alle opportunità di partnership per investimenti in Paesi terzi: a Palazzo Barberini 70 aziende italiane e 30 cinesi, duecento gli incontri B2B programmati tra imprese. Nel turismo l’annuncio di accordi del colosso cinese online Ctrip (88 miliardi di dollari di fatturato) con Aeroporti di Roma, Trenitalia, Musei Ferrari. E con il tour operator di stato Cits: voli diretti con Ancona e Bari, intese con Basilicata, Sicilia, Marche, Umbria, Calabria e Aeroporti di Puglia.

Quattro novembre 2019. Sulle tensioni economiche tra Usa e Cina, “noi auspichiamo che il prima possibile ci possa essere un accordo perché l’accordo serve ad abbassare le tensioni: l’Italia è un Paese esportatore. Ha 40 miliardi di made in Italy nel mondo”. Così il titolare della Farnesina, ospite dell’Expo di Shanghai. L’export “può ambire a crescere ancora di più, ma le tensioni commerciali tra Usa e Cina non aiutano i mercati internazionali e non aiutano le nostre imprese. È molto importante per noi l’export perché si produce in Italia, si crea in Italia, si lavora in Italia, e si vende nel mondo”.

Si dirà: è che doveva fare, povero Di Maio, era ospite a Shangai e aveva il fiato sul collo delle nostre aziende…Può essere, se non fosse che, neanche un anno dopo, il 24 marzo 2020, Di Maio approfitta di un’intervista al Tg2 Post per togliersi qualche sassolino dalle scarpe in merito all’intesa siglata nel marzo dello scorso anno con la Cina sulla cosiddetta “nuova Via della Seta”. “Chi ci ha deriso sulla Via della Seta ora deve ammettere che investire in questa amicizia ci ha permesso salvare vite in Italia”, ha detto il titolare della Farnesina a proposito della fornitura da 100 milioni di mascherine che arriveranno proprio dal gigante asiatico come forma di sostegno nella lotta al Coronavirus. “La solidarietà paga sempre”, ha aggiunto Di Maio a proposito degli aiuti che arriveranno in Italia a partire da questo fine settimana.

“La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. – scrive Francesco Bei su La Stampa – Portando il Pd a reagire con fermezza. Non una critica isolata, se a parlare sono i capigruppo del partito nelle commissioni esteri di Camera e Senato, ovvero i massimi livelli istituzionali del partito sulla politica estera. “È ingrato nei confronti di tutti i paesi che stanno aiutando l’Italia – attacca la deputata Lia Quartapelle – continuare a ringraziare solo la Cina, tra tutti i paesi che ci stanno aiutando. Spero che il ministro degli Esteri trovi il modo di rettificare le sue parole che sono contrarie all’interesse nazionale”. Il senatore Alessandro Alfieri ricorda invece al titolare della Farnesina che la cosiddetta Via della Seta ‘non è solo un progetto di collaborazione economica tra Cina e altri paesi ma ha l’ambizione di costruire in prospettiva un nuovo sistema di alleanze da parte di Pechino». Grazie dunque a Pechino, ma se Di Maio se lo fosse dimenticato l’orizzonte geopolitico dell’Italia è stato e rimane saldamente quello dell’alleanza atlantica e dell’Unione europea’. Una doppietta che certamente non resterà senza una risposta da parte dei filocinesi cinquestelle”, conclude Bei. E tra i più filocinesi pentastellati c’era uno dei fedelissimi di Di Maio: il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano. Il 16 ottobre 2020,   Di Stefano concede un’intervista esclusiva a China Media Group, nella  quale afferma che la Cina continuerà a rappresentare per l’Italia un partner fondamentale, e che in futuro l’Italia continuerà a coltivare ed approfondire il partenariato economico con essa. Nel corso dell’intervista il sottosegretario agli Esteri ha anche detto che nella lotta contro il Covid-19, il mutuo sostegno tra Italia e Cina ha dimostrato che la collaborazione tra le due parti può resistere anche alle prove più difficili. Attualmente Italia e Cina contribuiscono con convinzione allo sforzo in seno alla comunità internazionale per la ricerca di una cura e di un vaccino contro il virus e per far ripartire i motori dell’economia globale. Per quanto riguarda la ripresa economica, Di Stefano – narrano le cronache – ha affermato che l’Italia sta programmando le attività per i prossimi mesi, a partire dalla Commissione economica mista, passando alla partecipazione italiana al 3^ China International Import Expo di Shanghai in novembre e allo svolgimento del X Comitato Governativo. In merito al protezionismo commerciale e alla globalizzazione, il sottosegretario agli Esteri ha rimarcato che nel mondo globalizzato di oggi le relazioni internazionali sul piano politico ed economico non si possono basare sul principio di esclusività o su quello di alternatività. Ha aggiunto che la Cina continua a rivestire un ruolo centrale nelle direttrici di diplomazia economica italiane e a rappresentare per l’Italia un partner fondamentale. In futuro l’Italia continuerà a coltivare ed approfondire il partenariato economico con la Cina, mantenendo al contempo con essa un dialogo franco e aperto.

Ora, è vero che a Palazzo Chigi non c’è più Conte ma Draghi. Ed è ancor più pregnante che alla Casa Bianca non ci sia più Trump ma Biden. Resta il fatto che a guidare, sia pur formalmente, la politica estera dell’Italia sia lo stesso entusiasta sostenitore della Via della Seta, con il sostegno del suo riconfermato sottosegretario Di Stefano. Certo, Di Maio ci ha abituati a impressionanti giravolte diplomatiche, a sostenere tutto e il contrario di tutto. Ma nei circoli internazionali che contano questi non si chiamano “ripensamenti” ma, per l’appunto, “giravolte”. Come il filoatlantismo all’ennesima potenza professato  da Di Maio dopo l’elezione di Biden a presidente degli Stati Uniti. Certo, Mario Draghi è di un’altra pasta rispetto al “suo”, anche qui si fa per dire, ministro degli Esteri. Ma le correzioni di linea, specie in politica estera e in particolare quando esse riguardano questioni srategiche come il rapporto con la Cina, andrebbero preparate con cura e meditate attentamente. Questo pretenderebbe una diplomazia dalla schiena diritta. 

 

 

 

 

 

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