Il clima disteso e la grande stima reciproca, politica e personale, sono fuori discussione. Ma dietro ai sorrisi, non di circostanza, sul dossier migranti Angela Merkel batte Mario Draghi 2 a 0.
Fuori di metafora calcistica, appropriata ai tempi del Campionato d’Europa di calcio, a prevalere nel bilaterale di ieri a Berlino sono state le ragioni di politica interna che inquietano la cancelliera tedesca.
Detta un po’ brutalmente: ogni migrante economico che nelle prossime settimane metterà piede sul suolo tedesco non farà altro che irrobustire le fila della destra nazionalista Afd (così come accadrà in Francia con i seguaci della Le Pen in vista delle presidenziali 2022).
Questo rischio la Merkel non intende certo correrlo nonostante il suo amore per l’Italia e la stima per l’attuale premier mentre chiederà (e certamente otterrà) dagli altri partner un nuovo impegno finanziario per la Turchia che ha accolto 3 milioni di migranti.
Rifinanziato il Gendarme di Ankara
In conferenza stampa, la cancelliera tedesca ha annunciato che “dobbiamo aprire una prospettiva sul futuro, la Turchia ha tutti i diritti ad essere appoggiata. Non possiamo andare avanti senza la cooperazione con la Turchia”.
E il capo del governo italiano si è detto d’accordo: rispondendo a una domanda, Draghi ha replicato con un “si” al rinnovo dell’accordo con Ankara sulla cooperazione sul dossier immigrazione.
“Tutti i diritti” per un autocrate che nel suo paese di diritti, umani, civili, politici fa strame tutti i giorni. E quel laconico “sì” del presidente del Consiglio mal si concilia con la definizione di “dittatore” che lo stesso Draghi, non più di un mese fa, aveva, giustamente, affibbiato al presidente turco Recep Tayyp Erdogan.
Al Consiglio Europeo di giovedì e venerdì prossimi l’attenzione si sposterà infatti dalla questione dagli sbarchi alle partenze e sul rifinanziamento (ancora non è chiaro a quali condizioni) dell’Esao, l’ufficio europeo per il sostegno all’asilo.
“Dovremo lavorare insieme e aiutarci l’un l’altro ed è questa la direzione in cui i due Governi italiano e tedesco stanno lavorando”, dice Draghi.Ma le richieste dei Paesi del Sud dovranno inevitabilmente cedere il passo ad azioni politiche ed economiche sul lato delle partenze. Interventi economici e incentivi a favore dei Paesi di origine e transito, accordi di rimpatri assistiti anche con fondi e progetti dell’Oim e Unhcr. Un approccio di cui c’è qualche traccia anche nelle dichiarazioni alla stampa rese da Draghi e dalla cancelliera Merkel, impegnati soprattutto a mostrarsi uniti e divisi, eventualmente, solo dal calcio. Non si è parlato di sbarchi ma neppure di movimenti secondari anche perchè durante il Covid il rientro in Italia da Francia e Germania dei cosiddetti “dublinanti” si è fermato e ora c’è il rischio che il meccanismo possa riprendere a svantaggio del nostro Paese.
Il ricatto paga
Annotava Fabio Carminati su Avvenire: “Quattro anni dopo, lamentando di essere stato lasciato solo nella guerra a Bashar al-Assad in Siria e nella gestione dei 3,6 milioni di rifugiati siriani ospitati nel suo Paese, il sultano torna a battere cassa. Ma arrivare a una nuova intesa non sarà facile, anche se alla fine ci sarà. Da Zagabria, dove si sono riuniti i ministri degli Esteri, l’Unione ‘respinge fortemente l’uso della pressione migratoria a fini politici’ e definisce ‘inaccettabile questa situazione alle frontiere esterne’ pur ammettendo ‘l’accresciuto onere e i rischi migratori che la Turchia sta affrontando’. Poco dopo la ricompensa da esibire è affidata però a Joseph Borrel, il ministro degli Esteri Ue, che ammette che il ‘contributo’ potrebbe essere adeguato. Ricompensa gradita da Ankara che stamattina ha lanciato subito il segnale di “ricevuto”: è arrivato forte e chiaro dal presidente turco che ha ordinato alla Guardia costiera di impedire ai migranti di attraversare il Mar Egeo per raggiungere l’Europa a causa dei rischi che corrono. ..”.
Conclude Carminati: “Così ora si andrà ancora a una mediazione tra Bruxelles e Ankara, Erdogan manterrà nella “terra di nessuno” i suoi “ostaggi” fin quando l’Unione non gli avrà aumentato il dazio. In un momento in cui la situazione economica (nelle era pre-coronavirus) per le casse della Turchia non era affatto rosea. Con i costi di una guerra in Siria da sostenere, con gli altrettanti dissanguanti anticipi di fondi per la presenza in Libia delle truppe (che saranno poi saldati in petrolio da Sarraj) e con un’industria manifatturiera che da mesi mostra segni inequivocabili di zoppia.
Quindi perché giocare in queste tumultuose settimane la carta dei profughi? Perché no? Perché non trasformare in vittoria quella che invece è stata solo una strage di decine di soldati a Idlib, tornati in patria avvolti dalla bandiera rossa con la Mezzaluna? Perché no?
Perché non ripetere la politica “del Bancomat Ue” che da anni si rivela la più vincente per fare cassa nei momenti di difficoltà? Perché no?”. Un anno dopo, quella di Carminati resta una fotografia perfetta e attualissima di una realtà fetida. Di una Europa alla mercé del “Ricattatore” di Ankara.
“I rifugiati sono la nuova arma del millennio. Vengono usati per portare avanti agende politiche dalle più disparate finalità – rimarca sul Fatto lo scrittore Shady Hamadi – Assomigliano a un flusso di acqua che viene lasciato andare quando si decide di aprire la diga, come ha fatto la Turchia. Erdogan insieme a Putin e Assad sono gli artefici materiali e morali di una grande catastrofe umanitaria che passa in secondo piano da troppo tempo. Una distrazione di massa oggi giustificata, a ragione o meno, dalla presenza di una malattia che cambia le nostre priorità. Ma prima? Prima che la paura di massa ci colpisse dove eravamo?…”. Per concludere: “L’Onu calcola in un milione, di cui 60% minori, i fuggitivi. La Turchia, per mettere pressione all’Europa e dirgli di “non indignarsi” – come se ci fosse un reale rischio! -, ha aperto le frontiere verso la Grecia. Così, oggi, proprio mentre leggi queste parole, chi ha inventato i diritti umani, ha deciso di sovvenzionare la Grecia con 700 milioni perché faccia da scudo all’Europa. Ma nessuno ha criticato questa scelta, anzi: quando Bruxelles, con le stesse identiche motivazioni, dava 6 miliardi alla Turchia tutti, invece, alzavano la voce. Sono due facce della stessa medaglia: ammettiamolo. Oggi come ieri ce ne vogliamo lavare le mani, come abbiamo sempre fatto. Con buona pace dei bambini siriani”.
La denuncia di Oxfam
A 5 anni dall’annuncio dell’accordo tra Ue e Turchia, siamo di fronte a un totale fallimento delle politiche europee sulla gestione dei flussi migratori, che hanno di fatto calpestato i diritti fondamentali di decine di migliaia di migranti. Da allora infatti non è passato un giorno senza che moltissime famiglie rimanessero intrappolate nei campi sulle isole greche, in condizioni disumane.
È la denuncia lanciata da Oxfam il 21 marzo scorso, in occasione dell’infausto anniversario di un accordo, nato con l’esplicito obiettivo di bloccare i migranti in Grecia per poi rispedirli indietro verso la Turchia.
Una politica che non ha prodotto altro che condizioni di vita spaventose, episodi di violenza sui migranti alle frontiere e ritardi enormi nelle richieste di asilo, rendendole impossibili in molti casi. Tutto questo nonostante le famiglie arrivate sulle isole greche provenissero spesso da paesi in conflitto da molti anni, come Siria, Afghanistan o Iraq. Nel 2021 gli arrivi in Grecia sono stati 1068 di cui 566 via mare.
Dopo l’incendio che ad agosto 2020 ha devastato il centro di Moria, nel nuovo campo di Mavravoni a Lesbo, quasi 8 mila persone – in maggioranza famiglie con bambini piccoli – nonostante il freddo invernale vivono in tende anche solo a 20 metri dal mare, senza riscaldamento per le inondazioni e i blackout.
Nonostante questo palese fallimento, il nuovo Patto Ue sulla migrazione, presentato lo scorso settembre, non fa che seguire lo stesso approccio di chiusura ed esternalizzazione delle frontiere europee inaugurato con l’accordo Ue-Turchia. Da qui l’appello all’Unione Europea per un radicale cambio di rotta, che implichi uno stop definitivo alla costruzione di nuovi campi nelle isole greche, come prevede proprio il nuovo Patto europeo.
“Negli ultimi 5 anni abbiamo assistito ad un progressivo e inaccettabile peggioramento delle condizioni dei migranti nei campi in Grecia. – ha rimarcato Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Le politiche attuate dall’Unione non hanno avuto altra conseguenza, se non quella di causare una catastrofica crisi umanitaria con migliaia di famiglie costrette a dormire al freddo, spesso senza aver accesso a fonti d’acqua pulita, all’elettricità, con le donne esposte di continuo a episodi di violenza, molestie e sfruttamento. A un anno dallo scoppio della pandemia nulla sembra essere cambiato, anzi. I leader europei devono agire subito per tutelare i diritti umani fondamentali di migliaia di esseri umani. E l’Italia del nuovo governo Draghi, saprà prendere una posizione che marchi una discontinuità chiara e netta o sarà bloccata dalla ricerca di equilibri interni tra visioni discordi? Purtroppo dal brevissimo accenno alle politiche migratorie durante il discorso al Senato del Presidente Draghi sembra prendere quota la seconda ipotesi”.
E quel “sì” di ieri ne è una inquietante conferma.
“Avrei preferito morire nel mio Paese, sotto le bombe, invece di morire tutti i giorni in questo campo”, è una delle frasi che in questi mesi psicologi e psicologhe di Intersos hanno ascoltato a Lesbo, durante le sessioni di supporto psicologico rivolto alle donne che vivono nel campo temporaneo di Mavrovouni. Queste donne sono bloccate sull’isola ormai da mesi o anni. Si sentono intrappolate, senza speranza, si vergognano. I pensieri suicidi e i comportamenti autodistruttivi sono molto diffusi, esacerbati dalle dure condizioni di vita nel campo, che producono un forte senso di insicurezza, ansia e oppressione. La morte è percepita come un sollievo, una via d’uscita dalla loro prigionia.
Perché il campo, per loro, è una prigione, dove le attuali misure di isolamento limitano ulteriormente lo spazio già molto limitato in cui devono vivere. Trascorrono la maggior parte del tempo rinchiuse nella loro tenda, in attesa del passaggio di un agente che le informi della risposta alla loro domanda di asilo. Quando l’agente finalmente arriva, però, può essere la fine per la famiglia di queste donne. Secondo la politica migratoria in vigore, infatti, ogni persona ha un numero di caso diverso ed è sottoposta a una procedura di asilo diversa, anche i membri della stessa famiglia.
Per le donne che hanno subito un’esperienza traumatica, vivere nel campo significa sentirsi costantemente a rischio. Nel campo non è possibile garantire un livello di sicurezza di base e gli aggressori possono accedere facilmente ai loro alloggi. Questo provoca nelle donne una costante ansia e paura che simili incidenti possano ripetersi, aggravando le loro condizioni di salute mentale.
Donne violentate
Di grande impatto sono le testimonianze raccolte da Vita: Farida, 22 anni, è stata violentata a Moria, davanti ai suoi due figli. Non era la prima volta che un uomo abusava di lei. Per questo era scappata dal suo paese, in Europa cercava sicurezza. Ora ha chiesto di essere rimpatriata in Afghanistan. Molte donne sposate subiscono quotidianamente violenza domestica da parte dei loro mariti. Giustificano il comportamento abusivo con la miseria delle condizioni di vita a cui sono sottoposti. La violenza è spesso denunciata da donne che lottano per trovare un equilibrio nella loro vita personale e che si trovano a replicare gli stessi modelli violenti sui loro figli, esponendoli ad abusi e abbandono.
Mariam è stata salvata da suo fratello Masoud, che ha affrontato il loro patrigno mentre tentava di abusare di lei. Questo episodio ha segnato per sempre la loro vita. Sono scappati dall’Afghanistan, insieme, raggiungendo Lesbo anni dopo. Ora, Masoud presenta i sintomi della psicosi. Sta aspettando da 6 mesi di ricevere la decisione sulla sua domanda d’asilo. Ha già rifiutato due volte di essere trasferita sulla terraferma. Presenta sintomi della Sindrome Post Traumatica (PTSD) e avrebbe bisogno di una terapia psicologica. Già durante la seconda sessione, però, ha informato il suo psicologo che non desidera più continuare la terapia. “Se mio fratello non può essere aiutato, non voglio essere aiutata neanche io”.
“Il patto Ue-Turchia è un accordo disumano, che ha portato dolore, morte e sofferenza per migliaia di vite umane intrappolate qui in Grecia – afferma Apostolos Veizis, direttore esecutivo di Intersos Hellas –Oggi, 5 anni dopo, facciamo i conti con l’enorme portata della crisi umanitaria creata dalle politiche dell’Ue nelle isole greche. Questo accordo rappresenta la persistente volontà dei governi europei di continuare a portare avanti misure di contenimento, invece di trovare soluzioni umanitarie praticabili. Tutto ciò che fanno queste politiche è aumentare la miseria delle persone e spingerle verso percorsi migratori più pericolosi. L’accordo Ue-Turchia continua ad essere un enorme passo nella direzione sbagliata, in quanto formalizza un sistema che minaccia il diritto di asilo, ignorando completamente le esigenze umanitarie e di protezione. Non ha mai funzionato e non funzionerà mai. Questa è una politica che ha portato solo dolore, tristezza e miseria a persone già traumatizzate, perpetuando una situazione insopportabile”.
“Ribadiamo la necessità che l’Europa si impegni a portare avanti nuove politiche migratorie, incentrate sulla protezione e sull’integrazione delle persone, assicurando l’applicazione da parte degli Stati membri della legislazione in vigore in tema di ricongiungimenti familiari”, aggiunge Cesare Fermi, direttore della Regione Europa di Intersos . “L’Europa – chiarisce Fermi- non può essere solo un’altra tappa nel doloroso percorso migratorio e ha il dovere di garantire a tutti il rispetto dei diritti umani fondamentali che sono alla base della sua esistenza”.
Ma l’Europa preferisce finanziare il Gendarme di Ankara e la cosiddetta Guardia costiera libica, con i trafficanti di esseri umani riciclati come ufficiali.