Bruxelles sembra lontana anni luce da Lesbo. Nelle sale ovattate dove i leader europei hanno fatto finta di decidere, non è giunta l’eco della sofferenza che marchia l’inferno greco.
Dal 2017 i respingimenti illegali al confine greco si sono moltiplicati passando da centinaia a migliaia di casi, nonostante l’indignazione espressa a livello internazionale. E chi decide di parlare viene criminalizzato.
È la denuncia lanciata nei giorni scorsi, alla vigilia della Giornata Mondiale del Rifugiato, nell’ultimo rapporto da Lesbo pubblicato da Oxfam e Greek Council for Refugees (Gcr) che fotografa attraverso testimonianze dirette quanto la pratica del respingimento illegale sia comune e diffusa.
Quel rapporto è finito anche sui tavoli delle cancellerie europee e dei membri della Commissione europea. Ricevuto e archiviato.
La situazione dei migranti intrappolati a Lesbo (oltre 6.300), soprattutto nel campo di Mavrouni ribattezzato Moria 2.0, restano disperate: migliaia di minori non vanno a scuola, spesso arrivano da soli e in molti casi vengono trattati come adulti perché passano mesi prima che venga accertata la loro età; oltre 5.500 persone a Moria 2.0 devono fare i conti con la crescita dei contagi da Covid19 che si sono moltiplicati nel mese di maggio, in assenza di assistenza sanitaria e servizi igienici, documentano Oxfam e Gcr.
“Chi non viene respinto si ritrova a vivere in condizioni disumane, soprattutto donne e bambini – rimarca Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Più della metà dei migranti che si trovavano a Lesbo a inizio giugno erano donne (il 22%) e minori (il 32%), il che significa oltre 1.800 bambini e ragazzi, che per i 2/3 hanno meno di 12 anni e nel 7% dei casi sono arrivati in Grecia da soli”.
In fuga da persecuzioni e torture, trattenuta senza cibo né acqua e respinta. La storia di K.
“Sono scappata dal mio paese per non finire in carcere dopo una condanna ingiusta. Ci avrei passato la mia giovinezza tra maltrattamenti e torture” racconta K., una giovane rifugiata politica, fuggita dal suo paese per evitare persecuzioni e torture.
Dopo essere stata arrestata dalle forze dell’ordine in Grecia – nonostante avesse presentato richiesta di asilo – K. è stata trattenuta per quasi un giorno insieme ad altre persone in un vecchio edificio, al freddo senza né acqua né cibo. “Ho capito che ci avrebbero rispedito indietro. Lo fanno sistematicamente, è una prassi consolidata”. La storia si conclude infatti con un respingimento: messa su una barca dalle autorità greche, insieme ad altre 150 persone provenienti da Siria e Afghanistan con la sola prospettiva di finire in mano turca o morire.
“Le leggi internazionali, europee e greche stabiliscono il diritto alla richiesta di asilo e impediscono respingimenti senza un esame del caso personale. – continua Pezzati – Siamo di fronte ad una palese e sistematica violazione delle normative e soprattutto dei diritti fondamentali delle persone che raggiungono l’Europa, in cerca di salvezza”.
La testimonianza di K. dimostra uno schema che si ripete in decine di casi, confermato anche dall’Obudsman (difensore civico nazionale), secondo cui “ripetuti e costanti respingimenti si registrano sia sulla terraferma a Evros, che sulle isole dell’Egeo”.
Sui respingimenti non si aprono indagini, nemmeno sui casi più eclatanti, quelli in cui i migranti riescono a presentare alle autorità greche la richiesta di asilo e vengono comunque respinte verso la Turchia, senza che sia presa in esame. Il tutto pur trovandosi di fronte a persone che fuggono da Paesi dove conflitti e persecuzioni sono all’ordine del giorno: a inizio giugno la stragrande maggioranza dei migranti intrappolati nel campo di Moria 2.0 proveniva dall’Afghanistan (il 65%), dalla Repubblica Democratica del Congo (l’11%), dalla Somalia (l’8%), dalla Siria (l’8%) e dall’Iran.
L’appello all’Unione europea e alla Grecia
“Incurante delle pressioni e richieste che si moltiplicano a livello nazionale e internazionale, la Grecia continua a respingere i richiedenti asilo o ad accoglierli in condizioni disumane, mentre l’Ue sta a guardare. – continua Pezzati – L’Ue deve invece assicurare che tutti i suoi membri abbiano al loro interno organismi e procedure per indagare sui casi di respingimento illegale, in modo indipendente e con pieno mandato per esaminare le prove. Sapevamo già di questa vergognosa pratica illegale, ma è giunto il momento di chiedere l’istituzione di un’autorità investigativa indipendente, capace di monitorare e intervenire su quanto accade”.
Fronte di guerra
Lesbo, un fronte di guerra. Una immagine niente affatto forzata, tanto meno retorica. “La situazione che viviamo qui ogni giorno – rimarca Marco Sandrone , già capo del progetto di Msf nell’isola. – non è molto diversa da quella di una zona di guerra. Una guerra fatta alla dignità, ai diritti umani e alla resilienza di chi fugge per cercare sicurezza. In Europa, un continente teoricamente sicuro, si è scelto deliberatamente, cinicamente, di voltare lo sguardo altrove”. “E’ da incoscienti continuare a chiudere gli occhi per non vedere la realtà. E’ da irresponsabili continuare a far finta di non capire quello che sta accadendo a Lesbo – denuncia Sansone -. Dalla scorsa estate stiamo registrando un incremento esponenziale di arrivi, che non si sono fermati, da allora non è stata data alcuna risposta. In otto mesi siamo passati dai 6.500 alle attuali 20.000 persone nel campo di Moria, attrezzato per ospitarne non più di 3.000”. A pagarne il prezzo più alto sono i più indifesi tra gli indifesi: i bambini. “Il diritto di essere bambini – dice Sandrone – è qui fagocitato dalla miseria di un campo senza dignità, alle porte dell’Europa”.
Una Europa che oltre agli occhi ha chiuso le porte a questa umanità sofferente. “Gli Stati membri dell’Ue – è il messaggio che giunge da Lesbo, da chi gli occhi non li ha chiusi e continua a provare a salvare vite umane – devono affrontare la vera emergenza: evacuare le persone dalle isole verso quei Paesi europei che sono in grado di accoglierli, fornire un sistema di asilo funzionante, smettere di intrappolare le persone in condizioni orribili, disumane. Il calcolo politico sulla pelle degli innocenti deve essere fermato ora”.
A Lesbo, l’Europa muore. Muore la sua civiltà, i principi e i valori che ne erano stati a fondamento. Le tensioni di questi giorni a Lesbo “dimostrano ancora una volta il fallimento dell’Europa. Un’Europa crudele, cinica e spietata di fronte alla sorte di uomini, donne e bambini che fuggono da conflitti, come quello in corso in Siria”, annota con dolore e rabbia Sandrone. È da incoscienti continuare a far finta di non capire quello che sta accadendo”. La clinica pediatrica di Msf conta più di 100 visite al giorno, tra cui bambini con gravi patologie cardiache, casi di epilessia, diabete. Soffrono di problemi respiratori, dermatologici, legati alla nutrizione e psicosomatici. Bambini “spaventati, esposti a situazioni pericolose e senza un posto sicuro dove stare – la testimonianza del capo progetto -. Si chiudono a guscio. Accogliamo genitori che ci dicono che i loro bambini non vogliono più uscire dalle tende, che hanno smesso di parlare. Oltre al trauma della guerra, della fuga, la sofferenza di vivere a Lesbo toglie ogni speranza ai nostri piccoli pazienti”.
All’orizzonte si profila una potenziale catastrofe sanitaria, che andrebbe ad aggiungersi alla già terribile situazione dei migranti, schiacciati da un ulteriore giro di vite del governo greco, che dall’1 marzo ha deciso di non accettare più richieste d’asilo per almeno un mese, senza riguardo per la Convenzione di Ginevra e la Dichiarazione universale dei diritti umani.
“Ricordo una notte in cui degli uomini hanno iniziato a minacciare un gruppo di donne, sono entrati nelle loro tende e gli hanno preso i cellulari – racconta Barlin (nome di fantasia), rifugiata somala in uno dei campi – Una donna qui deve difendersi da sola ed è pericoloso anche solo usare i bagni perché non c’è polizia, nessuno che ti protegga. Molte delle giovani ragazze sono terrorizzate e soffrono di attacchi di panico. Hanno bisogno di essere soccorse, curate, ma nel campo non ci sono medici”.
Ali e sua moglie Karima (nomi di fantasia), entrambi siriani, entrambi cittadini siriani, sono tra le tante persone che cercano asilo. Sono arrivati nel 2019 e sono costretti ad aspettare nel campo di Moria. Durante il loro soggiorno, Karima ha avuto un incidente, cadendo da un ponte fragile nei bassifondi di Moria. Karima, che ora di nuovo incinta, non è mai stata visitata da un medico.
“Non ti accettano – racconta Ali – Ora ci hanno detto che le donne incinte devono andare da Medici senza frontiere, ma Msf non può fare nulla per noi del campo. Non ne hanno l’autorità”.
“Nel cuore dell’Europa assistiamo a una vergogna non più ammissibile, che contraddice i valori fondanti dell’Unione. – aggiunge Sansone –. Di fronte a questa situazione chiediamo perciò con forza al Governo greco e alla Commissione europea di rivedere immediatamente l’attuale normativa, in modo che non sia lesiva dei diritti umani, né sia in contrasto con il diritto comunitario”.
Una situazione che però non potrà essere risolta, avvertono Oxfam e Grc, senza una condivisione di responsabilità a livello europeo.
“Allo stesso tempo – conclude Sansone – è cruciale che i paesi membri, come l’Italia, sostengano la Grecia nel proteggere e garantire un futuro giusto e dignitoso a persone in fuga da guerre e persecuzioni. La politica di esternalizzazione del controllo delle frontiere comunitarie realizzata con la Turchia in questo caso, e in modo simile con la Libia per respingere i flussi lungo la rotta del Mediterraneo centrale, si è dimostrata fallimentare e ha messo a rischio migliaia di vite, oltre ad esporle ad orrori indicibili. Tutto questo non può continuare”.
Ecco come l’Europa muore a Lesbo. Nei campi di prigionia. Lontani da Bruxelles. E dalle priorità di coloro che quei campi mantengono in piedi pagando i gendarmi in divisa o in doppio petto.