Omofobo e razzista: cartellino rosso per Orban. Fuori dall'Ue, se non ora, quando?
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Omofobo e razzista: cartellino rosso per Orban. Fuori dall'Ue, se non ora, quando?

L’articolo 2 del trattato Ue dice che “l’Unione si fonda sui rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle minoranze

Viktor Orban
Viktor Orban
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Giugno 2021 - 17.03


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L’articolo 2 del trattato sull’Unione europea dice che “l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini»”

La domanda è: quante volte l’autocrate magiaro, Viktor Orban, ha violato l’articolo?  La risposta è: troppe per non far scattare il cartellino rosso. 

Cartellino rosso

Dopo la  legge anti-Lgbt approvata da Budapest, “non c’è più posto per l’Ungheria nell’Ue”. A sostenerlo, nel recente vertice dei capi di Stato e di Governo dell’Ue,  è  Mark Rutte, primo ministro dell’Olanda, Tra i più duri con il leader ungherese è stato il primo ministro lussemburghese, Xavier Bettel, apertamente omosessuale e sposato con un uomo che lo accompagna nelle visite di Stato: “Ci conosciamo da otto anni, ma questo mi tocca personalmente”, ha detto nella sala del vertice. “Non sono diventato gay. Lo sono, non è una scelta”, ha aggiunto. “Ti rispetto, ma questa è una linea rossa. Riguarda i diritti fondamentali, il diritto di essere diversi”, ha concluso nel suo accorato discorso rivolto a Orban.

Una “demcratura” nel cuore dell’Europa

Così il rapporto 21019-2020 di Amnesty International nel capitolo riguardante l’Ungheria.

A maggio, il parlamento ha proibito il riconoscimento legale del genere delle persone transgender e intersessuate, richiedendo la registrazione del sesso alla nascita in base a marcatori biologici e cromosomi, che non possono essere cambiati in un momento successivo. Ciò significa che le persone transgender non possono più cambiare il sesso sui documenti ufficiali e sui certificati, affinché rispecchi la loro identità di genere.

A luglio, la Corte europea dei diritti umani ha sancito che l’Ungheria aveva violato il diritto al rispetto per la vita privata e familiare di un uomo transgender originario dell’Iran. Egli era stato riconosciuto come rifugiato in Ungheria a causa delle persecuzioni per la sua identità di genere, ciononostante le autorità si erano rifiutate di riconoscere legalmente il suo genere e il nome.

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A dicembre, il parlamento ha approvato una legge che nega alle persone Lgbti il diritto all’adozione, insieme al alcuni emendamenti discriminatori alla costituzione, che specificavano che “la madre è una femmina e il padre è un maschio” e che l’Ungheria “protegge l’identità sessuale dei bambini alla nascita”.

Donne

A maggio, la Curia (la corte suprema ungherese) ha confermato che il reparto maternità dell’ospedale della città di Miskolc aveva discriminato le donne rom incinte provenienti da contesti svantaggiati e a basso reddito, poiché i compagni che assistevano al parto erano obbligati per ragioni igieniche ad acquistare e indossare un “indumento per la maternità”. Ciò ha spesso costretto le donne rom a partorire senza il supporto dei compagni. La corte ha ordinato la cessazione di tale pratica.

La discriminazione di genere sul luogo di lavoro e nel mercato occupazionale ha colpito in modo particolare le donne incinte e le donne con bambini in tenera età che volevano tornare al lavoro. Le autorità non sono state in grado di garantire accesso a rimedi efficaci nei casi di licenziamenti illegittimi.

 Violenza contro donne e ragazze

A maggio, il parlamento ha adottato una dichiarazione politica che chiedeva al governo di non ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica (Convenzione di Istanbul), nonostante l’avesse inizialmente sottoscritta nel 2014.

Diritto all’istruzione

A gennaio, il governo ha lanciato una campagna coordinata di comunicazione e stampa per screditare 63 rom ex alunni delle elementari della città di Gyöngyöspata che erano riusciti a portare in tribunale con successo un caso di segregazione e bassa qualità scolastica. Nonostante la campagna del governo, a maggio la Kúria ha confermato che il risarcimento loro riconosciuto doveva essere versato totalmente e senza ritardi.

A marzo, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia ha espresso grave preoccupazione per la continua segregazione dei bambini rom in classi speciali, l’aumento del divario nel conseguimento di risultati tra bambini rom e non rom e la mancanza di dati sulla situazione dei bambini rom nell’ambito dell’istruzione.

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A settembre è stato attivato nelle scuole elementari e secondarie un nuovo piano di studi nazionale, che era stato adottato senza un’ampia consultazione pubblica e nonostante le diffuse proteste del personale scolastico.

Tra settembre e novembre, studenti dell’università di arti del teatro e del cinema nella capitale Budapest hanno occupato l’ateneo per protestare contro la riorganizzazione, controllata dal governo, delle proprietà e della gestione che, a loro parere, avrebbe ristretto la libertà accademica. Diversi docenti di spicco si sono dimessi.

A ottobre, la Corte di giustizia dell’Ue ha stabilito che l’Ungheria aveva violato le regole dell’Ue sulla libertà accademica, attraverso gli emendamenti del 2017 alla legge sull’istruzione superiore, che hanno costretto l’Università centrale europea a uscire dal paese.

 Libertà d’espressione, associazione e riunione

Un disegno di legge adottato a marzo in relazione alla pandemia da Covid-19 ha introdotto un aumento delle sanzioni per il reato di “diffusione o trasmissione d’informazioni false” relativamente alla pandemia e alle risposte del governo. Esso ha introdotto il reato di ostacolo all’esecuzione di un ordine di quarantena o isolamento.

A metà giugno sono state adottate disposizioni transitorie che modificavano le norme applicabili durante uno “stato d’emergenza medica” e davano al governo la possibilità di limitare arbitrariamente i diritti alla libertà di movimento e di riunione pacifica.

Sempre a giugno, la Corte di giustizia dell’Ue ha stabilito che le restrizioni della legge sulla trasparenza delle organizzazioni sostenute dall’estero, imposte sul finanziamento delle organizzazioni della società civile da parte di donatori stranieri, violavano il diritto comunitario.

A luglio, la redazione e quasi 100 giornalisti si sono dimessi da Index, il portale di notizie online indipendente più importante del paese, in risposta al licenziamento del suo redattore capo. I redattori avevano annunciato pubblicamente che la loro indipendenza era a rischio in seguito all’acquisizione del ramo pubblicitario del portale da parte di un dirigente strettamente legato al governo.

 Diritto d’asilo

Il governo ha perso tre cause giudiziarie riguardanti violazioni degli obblighi internazionali, comprese le direttive Ue in materia di asilo e condizioni di accoglienza. Ad aprile, la Corte di giustizia dell’Ue ha stabilito che l’Ungheria non ha adempiuto agli obblighi previsti dal diritto comunitario rifiutandosi di ricollocare richiedenti asilo nell’ambito del regime obbligatorio dell’Ue, istituito in solidarietà con l’Italia e la Grecia.

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A maggio, la Corte ha stabilito che la detenzione automatica da parte dell’Ungheria dei richiedenti asilo nei centri di detenzione di frontiera, noti come “zone di transito”, violava la legislazione dell’Ue, poiché le misure di detenzione erano sproporzionate, oltrepassavano il limite di tempo massimo e non potevano essere impugnate in tribunale. Anche se inizialmente ha contestato la sentenza, nello stesso mese il governo ha sgomberato le “zone di transito”.

A giugno sono state introdotte nuove regole che hanno limitato fortemente l’accesso all’asilo. Le misure transitorie, biasimate dall’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, toglievano ai richiedenti asilo la possibilità di presentare domanda all’interno dell’Ungheria, richiedendo invece loro di sottoporre prima una “dichiarazione d’intenti” presso ambasciate selezionate al di fuori del paese. Entro fine anno, solo poche dichiarazioni erano state registrate e a una sola famiglia era stato dato il permesso di entrare in Ungheria e presentare domanda d’asilo. A ottobre, la Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione, sostenendo che le restrizioni erano illegali.

Coloro che entravano irregolarmente, per lo più dalla Serbia, sono stati espulsi, spesso collettivamente. A fine anno, i respingimenti della polizia oltre la recinzione di confine avevano superato i 30.000, in violazione dell’obbligo di valutare individualmente il rischio di refoulement, il ritorno forzato d’individui in paesi in cui rischiano gravi violazioni dei diritti umani. A dicembre, la Corte di giustizia dell’Ue ha stabilito che tali rimpatri violavano il diritto dell’Ue. 

Così Amnesty International. 

Facciamo nostro quanto avrebbe detto direttamente ad Orban il leader olandese: “Perché non lasci l’Ue? “L’articolo 50 esiste per una ragione”, ha sbottato Rutte vocando la norma attivata dal Regno Unito dopo il referendum sulla Brexit..

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