Se non esistesse bisognerebbe inventarla. Per la profondità dei suoi rapporti, per la capacità di unire il lavoro sul campo ad una elaborazione analitica che mette a fuoco i grandi problemi del nostro tempo. Questa è Oxfam.
A confermarlo, è l’ultimo rapporto. Nel mondo ogni minuto 11 persone rischiano di morire di fame, quasi il doppio delle vittime provocate dal Covid 19 che uccide 7 persone al minuto. È l’allarme lanciato oggi da Oxfam con il rapporto Il virus della fame si moltiplica, che fotografa le cause e le dinamiche dell’aumento esponenziale della fame globale dall’inizio della pandemia: 155 milioni di persone in questo momento sono colpite da insicurezza alimentare o denutrizione, ossia 20 milioni in più rispetto all’anno scorso.
La fame usata come arma
La guerra resta la prima causa della fame: 2 persone su 3 – quasi 100 milioni in 23 paesi – vivono infatti in aree di conflitto. Oltre mezzo milione di persone in più nell’ultimo anno si trovano sull’orlo della carestia: un numero sei volte superiore rispetto a 12 mesi fa.
All’impatto dei conflitti in corso, nonostante l’appello del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Gutteres di oltre 1 anno fa per un cessate il fuoco globale, si aggiungono la crisi economica e il progressivo peggioramento dell’emergenza climatica.Il vertiginoso aumento della disoccupazione globale e le prolungate interruzioni nel ciclo della produzione alimentare – che in molti paesi si sono verificate nel corso del 2020 e dall’inizio dell’anno – hanno causato un aumento del 40% dei prezzi globali, il più alto degli ultimi 10 anni.
“Siamo di fronte alla tempesta perfetta in cui guerre, pandemia e caos climatico stringono popolazioni inermi in una morsa che non lascia via di scampo. – rimarc Petrelli, policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia –In molte aree attraversate da sanguinosi conflitti si continua ad usare la mancanza di cibo come un’arma, lasciando le persone senza acqua o beni di prima necessità e impedendo l’arrivo degli aiuti umanitari alle comunità più colpite.Di fronte a tutto questo, dobbiamo quindi chiederci, come milioni di persone in paesi già poverissimi possano far fronte anche alle più basilari necessità quotidiane, con la pandemia ancora in corso; se il mercato accanto a casa viene bombardato e i raccolti e gli allevamenti da cui dipendono per sopravvivere vengono distrutti.”
Nonostante la pandemia, la spesa militare globale è aumentata di 51 miliardi di dollari, una cifra sei volte e mezzo superiore al totale dei finanziamenti richiesti dalle Nazioni Unite per fronteggiare la crescita della fame a livello mondiale.
I conflitti in corso hanno inoltre portato alla cifra record di 48 milioni gli sfollati interni a fine 2020 “Mio marito è troppo vecchio per lavorare e io sono malata. Per sopravvivere non abbiamo altra scelta che mandare i nostri figli a cercare avanzi di cibo, ma non basta mai”, racconta Bahjah, madre di otto figli, che dall’inizio della guerra in Yemen è stata costretta a fuggire più volte dalla sua casa, nel governatorato di Hajjah, per mettere in salvo la sua famiglia.
La pandemia ha anche aggravato enormemente le disuguaglianze: la ricchezza dei 10 uomini più facoltosi del pianeta l’anno scorso è aumentata di 413 miliardi, ossia 11 volte quanto le Nazioni Unite stimano basterebbe per finanziare l’intera risposta umanitaria globale.
Una risposta che deve essere potenziata al più presto per salvare i milioni di persone, che oggi affrontano livelli di insicurezza alimentare senza precedenti in molti aree del mondo.
“In paesi come Afghanistan, Etiopia, Sud Sudan, Siria e Yemen la guerra nell’ultimo anno ha portato a un aumento esponenziale del numero di persone che si trovano ad un passo dalla carestia. – aggiunge Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Secondo gli ultimi dati, 350.000 persone nella regione etiope del Tigray vivono ora in questa condizione, il numero più alto mai registrato dal conflitto in Somalia del 2011, quando morirono di fame oltre 250 mila persone. In Yemen più della metà della popolazione (oltre 15 milioni di persone) è a rischio, a oltre 6 anni e mezzo dall’inizio del conflitto, che ha già causato centinaia di migliaia di vittime”.
L’Afghanistan, la Repubblica Democratica del Congo, la Siria e lo Yemen, ossia alcuni dei peggiori hotspot della fame mondiale, sono tutti Paesi devastati dalla guerra2. In base a recenti analisi dell’IPC, tra maggio e giugno 2021 nella regione etiope del Tigray si registravano più di 350.000 persone in condizioni di carestia: si tratta della cifra più elevata rilevata dal 2011, quando in Somalia circa 250.000 persone persero la vita a causa della fame. Si prevede che all’inizio di luglio il 74% della popolazione del Tigray e delle aree limitrofe dovrà affrontare livelli critici o più che critici di fame acuta. Quasi un decennio di guerra ha spogliato gli yemeniti dei loro risparmi, privandoli delle risorse necessarie ad acquistare cibo. I blocchi alla mobilità e il conflitto hanno causato un aumento vertiginoso dei prezzi alimentari; quelli degli alimenti di base sono aumentati di oltre il 100% rispetto al 201628. Si prevede che nel corso di quest’anno, nello Yemen, quasi 16 milioni di persone raggiungeranno livelli critici o più che critici di insicurezza alimentare
In proporzione, donne e ragazze sono colpite in misura maggiore dai conflitti e dalla fame Normalmente sono loro ad affrontare gravi pericoli per procurarsi il cibo, ma troppo spesso mangiano per ultime e si nutrono meno degli uomini. Conflitti e sfollamento hanno anche costretto le donne ad abbandonare il lavoro o a perdere la stagione della semina. Sono costrette a fare scelte impossibili come quella tra l’andare al mercato, col rischio di essere aggredite fisicamente o sessualmente, o guardare le loro famiglie soffrire la fame.
Molti paesi colpiti dalla guerra sanno fin troppo bene che “la gente non solo sta morendo di fame, ma viene affamata di proposito” Le parti in conflitto hanno intenzionalmente trasformato la fame in un’arma di guerra, ad esempio privando i civili di cibo e acqua impedendo i soccorsi umanitari, bombardando i mercati, incendiando i raccolti e uccidendo il bestiame.
Benché la Risoluzione 2417 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu abbia riconosciuto la connessione tra fame e conflitti, il blocco degli aiuti umanitari resta una pratica comune nelle zone di conflitto di tutto il mondo: gli attacchi contro i civili, le colture, il bestiame e le forniture idriche continuano su larga scala e nella totale impunità.
“Conosco molta gente di qua che preferirebbe morire di coronavirus anziché di fame e povertà”, dice una donna afghana di Guzara, Herat
I paesi più colpiti al mondo dall’aumento della fame in questo momento.
• Brasile: le misure per frenare la diffusione del virus hanno costretto le piccole imprese a chiudere e portato, lasciando oltre la metà dei lavoratori senza occupazione. Triplicato nel paese il numero di persone colpite da povertà estrema, dal 4,5% al 12,8%, con circa 20 milioni di brasiliani ridotti alla fame. Il Governo federale ha assicurato sostegno solo a 38 milioni di famiglie vulnerabili, lasciando milioni di persone senza un reddito minimo.
Mia figlia è nata estremamente prematura e da allora la mia situazione finanziaria è andata a rotoli perché eravamo senza lavoro. Appena è stata dimessa dall’ospedale le è stato prescritto un latte molto costoso”. E’ la testimonianza di una madre venticinquenne, Distretto Federale, Brasile
• India: l’aumento vertiginoso delle infezioni da Covid-19, oltre che sulla salute pubblica, ha avuto un impatto devastante sui redditi, in particolare per i lavoratori migranti e gli agricoltori costretti a lasciar marcire i raccolti nei campi. Oltre il 70% delle persone intervistate da Oxfam in 12 stati ha dichiarato di non poter comprare cibo sufficiente a sfamarsi. La chiusura delle scuole ha anche privato 120 milioni di bambini del loro pasto principale.
Quando il Covid-19 ha colpito la nostra zona, nel marzo di quest’anno, da un giorno all’altro sono rimasto senza lavoro e senza soldi. Il lockdown e le altre restrizioni mi hanno costretto a interrompere il mio lavoro di cucito o ad accettare lavori occasionali, e il nostro reddito familiare è sceso a zero”, racconta Mohammed Iliyas.
• Yemen: la guerra, il blocco sulle importazioni di beni essenziali e l’aumento del prezzo del carburante hanno determinato il raddoppio dei prezzi degli alimenti di base dal 2016. Gli aiuti umanitari sono stati dimezzati, limitando la risposta delle agenzie umanitarie e tagliando l’assistenza alimentare a 5 milioni di persone. Situazione che secondo le stime porterà fino a 47 mila persone entro fine luglio alla carestia; “Quando abbiamo appreso la notizia dei tagli agli aiuti umanitari, per noi è stata una catastrofe. Mio marito è troppo vecchio per lavorare e io sono malata. Non abbiamo avuto altra scelta che mandare i nostri figli ad elemosinare cibo o raccogliere gli avanzi dei ristoranti. Ma anche il cibo che sono riusciti a racimolare non era sufficiente.”, racconta Bahjah, yemenita e madre di 8 figli, sfollata nel governatorato di Hajjah a causa della guerra.
• Regione del Sahel: paesi distrutti da conflitti e violenza come il Burkina Faso, hanno visto un aumento della fame di oltre il 200% tra il 2019 e il 2020, passando da 687.000 a 2,1 milioni di persone in condizione di grave insicurezza alimentare. Mentre l’aggravarsi degli scontri nel Sahel centrale e nel bacino del lago Ciad ha costretto 5,3 milioni di persone a fuggire e portato l’inflazione dei prezzi dei beni alimentari ai massimi da cinque anni; le inondazioni hanno devastato i raccolti.
• Sud Sudan: a 10 anni dall’indipendenza, oltre 100.000 persone sono sull’orlo della carestia. Nell’ultimo anno gli scontri e le inondazioni hanno messo in ginocchio l’agricoltura e costretto 4,2 milioni di persone ad abbandonare le proprie case. Finora è stato finanziato meno del 20% dell’appello delle Nazioni Unite (per 1,68 miliardi di dollari) per la risposta umanitaria nel paese.
“Sono venuta a Mekele perché ho sentito che venivano offerti cibo e latte per i bambini. – ha raccontato a Oxfam Mulu Gebre, madre di 26 anni, che ha dovuto lasciare la sua città natale nel Tigray, in Etiopia, mentre era incinta di 9 mesi-Quando sono arrivata qui, non sono riuscita a trovare cibo nemmeno per me stessa. Ho bisogno di cibo soprattutto per mio figlio, che ora ha solo quattro mesi ed è già nato sottopeso”.
“La nostra casa è stata inondata, le nostre capre rubate quando abbiamo dovuto rifugiarci a Pibor. Ce ne siamo andati [da Verteth] con i soli vestiti che avevamo addosso”, le fa eco
Ngachibaba, la cui storia è simile a quella di centinaia di altre famiglie.
Serve un cessate il fuoco globale e un vaccino per tutti
“L’emergenza è globale e colpisce soprattutto le fasce più vulnerabili della popolazione, a partire dalle donne, che in molti casi rinunciano al cibo per sfamare i propri figli, ed in molti contesti sono esposte al rischio di abusi e violenze. – conclude Petrelli – Ma porre un freno a tutto questo è ancora possibile, per salvare tantissime vite. Per questo lanciamo un appello urgente alla comunità internazionale perché intervenga per il rispetto di un cessate il fuoco globale; ai grandi paesi donatori perché finanzino al più presto l’appello per la risposta umanitaria delle Nazioni Unite nelle più gravi aree di crisi, prima che sia troppo tardi; contribuendo a creare un sistema alimentare più giusto; ai paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu perché intervengano sulle parti in conflitto che continuano a usare la fame che colpisce civili inermi come un’arma. Ma per prevenire morti che si possono ancora evitare è allo stesso tempo indispensabile sconfiggere la pandemia. Un risultato che potrà essere raggiunto solo se al più presto i vaccini Covid diventeranno un bene pubblico globale, accessibile a tutti. E’ inoltre essenziale rafforzare o creare sistemi di protezione sociale sostenendo politiche pubbliche adeguate. Un paese come il Brasile, ad esempio, era riuscito ad azzerare la fame estrema, ma oggi anche a causa del venir meno di strumenti di sostegno alle fasce più deboli della popolazione, sta affrontando un aumento esponenziale di fame e povertà”.
Dall’inizio della pandemia Oxfam ha soccorso 15 milioni di persone
Dall’inizio dell’emergenza Covid19, Oxfam ha soccorso quasi 15 milioni di persone nelle comunità più povere e vulnerabili del pianeta garantendo l’accesso a cibo e acqua pulita, sostegno al reddito, supportando i piccoli agricoltori. Al momento è al lavoro per sconfiggere fame, povertà e contenere l’impatto della pandemia in 68 paesi insieme a oltre 694 partner, con l’obiettivo di raggiungere milioni di persone allo stremo nei prossimi mesi.
Le donne siriane pagano il prezzo della fame
L’anno scorso pochi Paesi sono stati colpiti tanto duramente dalla fame quanto la Siria. Tre siriani su cinque, pari a 12,4 milioni di persone, sono attualmente vittime di fame acuta47, con un aumento dell’88% rispetto all’anno precedente. Si tratta di uno dei tassi più alti al mondo48. Le conseguenze economiche del Covid-19, sommate agli effetti di 10 anni di guerra, hanno condotto in soli 12 mesi ad una drastica svalutazione della valuta locale e ad un aumento del 313% dei prezzi del paniere alimentare49. Inoltre il conflitto siriano ha messo in ginocchio la vitale infrastruttura agricola, facendo crollare il reddito dei coltivatori e devastando la produzione alimentare.
Sono le donne e ragazze siriane a pagare il prezzo maggiore di questa crisi. La guerra ha obbligato molte di loro a diventare le principali fonti di sostentamento delle proprie famiglie, molte hanno dovuto iniziare a lavorare per la prima volta nella vita seppure con scarse competenze che potessero garantire loro un posto di lavoro dignitoso e una retribuzione equa. Il poco che guadagnano copre a malapena le spese famigliari. Secondo uno studio di Oxfam, i nuclei familiari con capofamiglia donne sono tra i più duramente colpiti dalla fame, con notevole riduzione del consumo alimentare e abolizione di alcuni pasti50. Per far fronte a tale situazione alcune famiglie hanno dovuto ricorrere a matrimoni precoci per garantirsi il sostentamento.
“Siamo rimasti intrappolati in città per quasi tre anni. Abbiamo perso i raccolti e tutti i nostri risparmi, abbiamo dovuto vendere il bestiame per sopravvivere. Come vi sentireste se poteste offrire ai vostri figli solo un piatto di erbe bollite? Andare a letto a stomaco vuoto è diventata un’abitudine” racconta Leena, 32 anni e tre figli, residente nel sud della Siria.
Come Leena, anche molte altre persone non riescono da tempo a sfamare le proprie famiglie. Ad Aleppo, il più grande governatorato siriano, le coltivatrici hanno perso il lavoro nel Settore agricolo e sono state obbligate ad accettare qualsiasi altra offerta pur di guadagnare di che vivere. Alcune hanno perso il lavoro a causa delle riduzioni di personale causate dal Covid-19.
“Prima della guerra avevo delle piccole attività economiche che consentivano a me e alla mia famiglia di vivere in modo dignitoso. Poi nel mio Paese è scoppiata la guerra e mi ha tolto tutto. I prezzi dei generi alimentari sono aumentati, io ho perso il lavoro e non riesco più a sostenere il costo della vita. Ci sono giorni in cui non ho di che nutrire i miei (cinque) figli.”, racconta
Wafaa, 38 anni, madre di famiglia, Siria settentrionale.
Questo e molto altro ancora documenta il rapporto di Oxfam. Corredato di proposte che renderebbero il mondo un posto migliore. Per tutte e tutti.
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