I disperati del Tigray. Una tragedia dimenticata
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I disperati del Tigray. Una tragedia dimenticata

L’Unhcr è preoccupata per la sorte di migliaia di rifugiati eritrei attualmente intrappolati in due campi di rifugiati nella regione etiope del Tigray, mentre i combattimenti tra gruppi armati si intensificano

Crisi umanitaria nel Tigray
Crisi umanitaria nel Tigray
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27 Luglio 2021 - 18.31


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Tigray, quei disperati dimenticati dal mondo. A dare conto di una tragedia umanitaria in atto è l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr).

L’Unhcr, recita una nota ufficiale, è estremamente preoccupata per la sorte di migliaia di rifugiati eritrei attualmente intrappolati in due campi di rifugiati nella regione etiope del Tigray, mentre i combattimenti tra gruppi armati si intensificano all’interno e nei dintorni. Si stima che circa 24.000 rifugiati eritrei nei campi di Mai Aini e Adi Harush nella zona di Mai Tsebri nel Tigray stiano subendo intimidazioni e violenze e vivano in uno stato di terrore costante, senza poter accedere ad alcuna assistenza umanitaria. Negli ultimi giorni abbiamo ricevuto segnalazioni inquietanti e credibili dal campo di Mai Aini secondo le quali almeno un rifugiato è stato ucciso da gruppi armati che operano all’interno del campo. Quest’ultimo decesso si aggiunge all’uccisione di un altro rifugiato il 14 luglio.
L’Unhcr fa appello a tutte le parti in conflitto a rispettare i loro obblighi di diritto internazionale, compreso il rispetto del carattere civile dei campi di rifugiati, e il diritto dei rifugiati e di tutti i civili ad essere protetti dalle ostilità.
Il nostro staff ha perso ogni accesso ai campi di rifugiati nelle ultime due settimane. I rifugiati intrappolati hanno urgente bisogno di assistenza salvavita. L’acqua potabile sta finendo, non sono disponibili servizi sanitari e la fame è una minaccia reale. L’ultima distribuzione di cibo ad entrambi i campi risale a fine giugno, quando sono state fornite razioni per un mese.
Gli scontri armati recenti hanno anche costretto alla fuga migliaia di persone nella regione di Afar che confina a est con il Tigray e dove sono ospitati altri 55.000 rifugiati eritrei. Ci sono segnalazioni di scontri armati vicino alle località in cui vivono.
Nel frattempo, la principale strada di rifornimento umanitario tra Semera nell’Afar e Mekelle nel Tigray è completamente bloccata dal 18 luglio. Le forniture dell’Unhcr, come quelle di altre agenzie, sono bloccate a Semera.
L’Unhcr sollecita tutte le parti in conflitto a garantire immediato accesso umanitario e sicurezza agli operatori umanitari che tentano di fornire assistenza salvavita”.

Corsa contro il tempo.

Se entro due settimane non saranno ripristinati i servizi essenziali (accesso stradale, comunicazioni, servizi bancari), le Nazioni Unite e le organizzazioni non governative non saranno più in grado di offrire aiuti alle popolazioni del Tigray duramente provate dal conflitto civile. La denuncia arriva da un comunicato congiunto di Onu e Ong dopo un sopralluogo effettuato la scorsa settimana nella regione settentrionale dell’Etiopia.

L’obiettivo principale della visita era valutare l’aggravarsi della crisi umanitaria che si è manifestata con i combattimenti tra il Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf) e le forze governative etiope ed eritrea. Centinaia di migliaia di persone sono sfollate all’interno del Tigray e delle vicine regioni di Afar  e Amhara, mentre oltre 60.000 hanno attraversato il confine con il Sudan. Tutti i voli nella regione sono stati sospesi e tutte le linee di comunicazione sono interrotte. Viaggiare via terra è estremamente difficile, denunciano gli operatori umanitari. A giugno, tre agenzie delle Nazioni Unite, il Fondo per l’infanzia (Unicef), l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e il Programma alimentare mondiale (Pam) hanno lanciato un appello per un’azione urgente e senza ostacoli alle persone nella regione, affermando che “il rischio di carestia è imminente”. Il coordinatore umanitario globale della Lutheran World Federation (Lwf, una delle Ong impegnata a portare aiuti), Allan Calma, che ha preso parte alla visita, ha affermato che il team ha assistito in prima persona all’impatto devastante dei combattimenti in alcune città e villaggi. Molti fiumi sono contaminati ed è aumentato il rischio di colera e altre malattie.

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“Abbiamo assistito a gravi danni a un ospedale locale e anche a una scuola in cui si erano rifugiati gli sfollati interni, ha detto. Secondo Calma, c’è un urgente bisogno di fornire cibo, forniture mediche e accesso all’acqua potabile alle persone più colpite dal conflitto, osservando che la stragrande maggioranza degli sfollati interni nella regione sono donne e bambini. Per fare questo, ha detto, occorre sgomberare le strade, ripristinare i servizi essenziali e garantire la protezione delle persone. “Normalmente la stagione della semina dovrebbe svolgersi da qui a settembre, ma se gli agricoltori non possono seminare, continueremo a vedere livelli crescenti di malnutrizione nei prossimi mesi”, ha aggiunto. Da quando è scoppiato il conflitto sono state anche diffuse segnalazioni di stupri e uccisioni di civili. Almeno 12 operatori umanitari sono morti nel Tigray da novembre.

Spiega a Vita Daniel Mekonnen, avvocato per i diritti umani, consulente indipendente con sede a Ginevra e membro dell’African Studies Centre, Università di Leiden: “Pochi giorni prima del bombardamento del mercato di Togoga, il Tplf insieme al Tdf avevano annunciate la loro più importante controffensiva militare, chiamata “Operazione Ras Alula” (In onore del generale Alula, protagonista della resistenza agli italiani nelle battaglie di Dogali e Adua, ndr). Secondo me, si è trattata della più larga e meglio pianificata offensiva del Tdf dall’inizio del conflitto. In questa occasione le forze armate etiopi hanno subito molto perdite, vedo il bombardamento di Togoga in relazione alla sconfitta patita dagli etiopi. Purtroppo varie fonti confermano vittime civili».

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Le condizioni della popolazione sono drammatiche, continua l’osservatore: “A inizio giugno il Word Food Program ha rilevato che il 91% della popolazione del Tigrai (circa 5,2 milioni di persone) ha bisogno di aiuti umanitari d’emergenza. Solo da questo dato si capisce chiaramente quanto sia diffusa la crisi umanitaria. La situazione potrebbe essere peggiore nelle aree sotto il controllo dell’esercito dell’Eritrea, poiché queste forze sono persistentemente accusate di bloccare gli aiuti umanitari”. Torna a spiegare uno dei testimoni da Macallè raggiunti da Vita: «La carestia è alle porte. I campi sono incolti, spostarsi lungo le vie di comunicazione del paese è rischiosissimo. Chi si avventura incappa in feroci rastrellamenti ed esecuzioni sul posto. Un mio zio è scomparso così, non abbiamo più notizie. Inizierà presto la stagione delle piogge e se gli agricoltori non potranno sfruttarla per piantare, allora l’anno prossimo ci ritroveremo senza il minimo raccolto”.

Cronaca di guerra

Le Forze di difesa del Tigray (Tdf) stanno avanzando in profondità nella regione degli Amhara e hanno catturato altre due città al termine di un’offensiva lanciata negli ultimi tre giorni. Lo ha dichiarato Tsadkan Gebretensae, alto ufficiale militare delle Tdf, aggiungendo che le milizie tigrine sono ora pronte a marciare verso la capitale dell’Etiopia Addis Abeba. Il presidente dello Stato regionale di Amhara, Agegnehu Teshager, ha esortato i giovani della regione a rispondere alla chiamata delle autorità federali e statali e ad imbracciare le armi in risposta alla “campagna per la sopravvivenza” in prima linea a partire da domani. Fin dallo scoppio del conflitto nel Tigray, nel novembre scorso, le forze amhara combattono al fianco delle Forze di difesa nazionali etiopi (Endf) e delle truppe eritree loro alleate contro il Tpf. Dopo la riconquista delle principali città della regione – tra cui il capoluogo Macallè – da parte delle milizie tigrine, nelle ultime settimane anche altre regioni oltre a quella di Amhara hanno annunciato il loro ingresso in guerra al fianco delle truppe federali: Oromia, Sidama, Somali e Benishangul-Gumuz, alimentando ulteriormente i timori che l’Etiopia sprofondi in una situazione di instabilità cronica.

Sebbene il Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf) – e il suo braccio armato, le Tdf – abbia finora dichiarato di non avere ambizioni territoriali e di volersi limitare ad indebolire il nemico anche allo scopo di scoraggiare possibili controffensive da parte delle Endf, secondo diversi analisti il vero obiettivo dei tigrini sarebbe infatti quello di controllare il collegamento stradale e ferroviario tra Addis Abeba e Gibuti – principale arteria commerciale per l’Etiopia – creando una sorta di zona cuscinetto di “profondità strategica” nella regione di Afar, dove i tigrini possono contare anche sul sostegno dei ribelli locali. In un comunicato diffuso in settimana, le Tdf hanno peraltro dichiarato di aver ricevuto la “piena collaborazione” della popolazione locale delle città in cui sono entrate – Sekota, Kobo e Woldia – e di aver intensificato le operazioni militari. Inoltre una simile strategia avrebbe l’obiettivo di lungo termine di conquistare una posizione contrattuale più forte in un’eventuale trattativa per il cessate il fuoco con il governo federale. Il vero obiettivo da parte tigrina sarebbe quello di ottenere il pieno ritiro delle forze eritree dalla regione, che – come ha denunciato l’Onu – si sono macchiate di pesanti violazioni ai danni della popolazione.

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Annota Pierre Hasky, direttore di France Inter, su Internazionale: “Inviando l’esercito nella regione del Tigrai a novembre dell’anno scorso, il primo ministro etiope Abiy Ahmed aveva promesso un’operazione rapida per riportare nei ranghi i leader locali.  Otto mesi dopo, i ribelli del Tigrai hanno riconquistato il capoluogo Mekelle, da cui erano stati cacciati, e controllano una buona parte della regione. Le sconfitte dell’esercito federale e quella personale del primo ministro sono cocenti e hanno pesanti conseguenze locali, regionali e nazionali. 

La posta in gioco è considerevole: l’Etiopia è uno dei paesi che contano nel continente africano, con più di cento milioni di abitanti. Principale potenza del corno d’Africa, l’Etiopia ha un ruolo chiave in ambito locale e globale. L’ex impero è regolarmente scosso da rivolte, conseguenza del suo mosaico di popolazioni…”. “La guerra – rimarca ancora il direttore di France Inter – ha provocato un disastro umanitario di grande portata, con parte dei sette milioni di abitanti del Tigrai costretti a rifugiarsi in Sudan o in altre aree del paese, e bisognosi di aiuti urgenti. Il problema è che gli aiuti sono bloccati e regna una totale mancanza di sicurezza: la settimana scorsa tre operatori di Medici senza frontiere sono stati uccisi  brutalmente nel Tigrai. 

Come organizzare gli aiuti in una regione tagliata fuori del mondo, dove le comunicazioni sono state interrotte, in uno stato di profonda insicurezza, nonostante il primo ministro abbia decretato un cessate il fuoco?”.

Un interrogativo angosciante. Che resta ancora senza risposta. In gioco è la vita di milioni di civili. I disperati del Tigray. Dimenticati dal mondo. 

 

 

 

 

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