Ritirano i soldati. Ritornano i bombardieri a stelle e strisce.
I talebani hanno stretto la loro presa sull’Afghanistan settentrionale, espugnando tre capoluoghi di provincia, tra cui la seconda città del Paese, Kunduz, nella grande offensiva che l’esercito sembra incapace di fermare. Le città di Sar-e-Pul e di Kunduz, due capoluoghi di provincia nell’Afghanistan settentrionale, sono cadute nelle mani dei Talebani a poche ore di distanza una dall’altra. Lo hanno confermato funzionari delle due città, parlando di intensi combattimenti tra gli insorti e le forze locali. I talebani hanno conquistato anche Taloqan, il terzo capoluogo di provincia afghano caduto questa domenica, rendono noto fonti di sicurezza. Kunduz, che era già caduta due volte negli ultimi anni nelle mani degli insorti nel 2015 e nel 2016, è un crocevia strategico nel nord dell’Afghanistan, tra Kabul e il Tagikistan.
Bandiera nera su Kunduz
La sua conquista è il principale successo militare dei talebani dall’inizio della loro offensiva in maggio, lanciata con il ritiro delle forze internazionali, che deve essere completato entro il 31 agosto. Dopo aver occupato vasti territori rurali senza incontrare molta resistenza, i talebani hanno concentrato i loro sforzi dall’inizio di agosto sulle grandi città dove l’esercito di Kabul ha ammassato le sue forze, circondando diversi capoluoghi di provincia. Ambasciata Usa: americani, andatevene immediatamente L’ambasciata degli Stati Uniti esorta i cittadini statunitensi a lasciare “immediatamente” l’Afghanistan, utilizzando le opzioni di volo commerciale disponibili, perché “date le condizioni di sicurezza e il personale ridotto, la capacità dell’ambasciata di assisterli è estremamente limitata anche all’interno di Kabul”, ha fatto sapere la sede diplomatica, in una nota diffusa sul suo sito web. A fine aprile il Paese aveva ordinato la partenza dei dipendenti non indispensabili dell’ambasciata. L’avviso di viaggio per l’Afghanistan rimane di livello 4: “non viaggiare a causa di criminalità, terrorismo, disordini civili, rapimenti, conflitti armati e Covid-19. I voli nazionali e le rotte di trasporto via terra al di fuori di Kabul sono fortemente limitati e soggetti a cancellazione o chiusura”. Biden segue situazione ma non cambia piani Anche se tre città afghane sono cadute in un solo giorno nelle mani dei talebani il presidente americano Joe Biden per ora non cambia i piani del ritiro delle truppe Usa dal Paese entro la fine del mese. Lo riporta il New York Times citando fonti dell’amministrazione che spiegano come Biden sia stato aggiornato sugli ultimi sviluppi.
Arrivano i bombardieri
Funzionari della Casa Bianca sarebbero quindi in costante contatto con l’ambasciata americana a Kabul. Media: il Pentagono ha inviato i bombardieri Gli Stati Uniti hanno inviato in Afghanistan alcuni bombardieri B-52 e AC-130H Spectre per fermare l’avanzata dei talebani. Lo riportano alcuni media Usa citando fonti del Pentagono del quotidiano britannico The Times. I bombardieri, che vanno ad affiancare i droni Reaper già in azione, sarebbero partiti da una base aerea in Qatar e verrebbero impiegati per colpire obiettivi nelle zone di Kandahar, Herat e Lashkar Gah. “Bombardieri Usa in azione da giorni contro talebani” Aerei militari americani stanno bombardando da giorni postazioni talebane per fermare l’avanzata dei ribelli verso Kandahar e altre città afghane. Lo ha confermato a Bloomberg la portavoce del comando centrale dell’aviazione Usa, Nicole Ferrara. “Le forze statunitensi hanno condotto diversi attacchi aerei in difesa dei nostri alleati afghani negli ultimi giorni”, ha dichiarato Ferrara, interpellata su un’indiscrezione del Daily Mail, secondo cui il presidente Usa, Joe Biden, aveva ordinato l’impiego di bombardieri B-52 e cannoniere Ac-130 Spectre a sostegno delle operazioni dell’esercito di Kabul. Un portavoce dei talebani, Yousef Ahmadi, in un comunicato ha garantito che gli attacchi Usa verranno vendicati con “piena forza”. Ahmadi ha inoltre accusato gli Usa di aver colpito infrastrutture civili, come scuole e ospedali, nella provincia di Helmand.
Il controllo delle vie dell’oppio
Non si tratta solo di una disputa sul controllo del territorio. Perché dire Afghanistan, significa parlare di traffico di droga, che frutta ai signori della guerra un giro di affari miliardario. Quella dei Talebani è una holding plurimilionaria che supporta a pieno regime l’azione militare. “Nei report del SIGAR del 2015 e del 2016 – annota in proposito Marco Leofrigio, in un articolato saggio su AD (AnalisiDifesa): – si legge che la ‘fabbrica’ talebana di oppiacei mantiene salda la prima posizione mondiale, infatti l’eroina afgana raggiunge quasi tutto il globo, citiamo due dati: copre il ‘fabbisogno’ del 90% del Canada e dell’85% circa delle richieste mondiali. La produzione e gestione del traffico di droga è la fonte principale di finanziamento dei Talebani. Un traffico enorme, fortemente consolidato nella sua catena di produzione-vendita-incasso di milioni di dollari di profitti. Il prodotto viaggia sfruttando tutti i mezzi di trasporto: le rotte aeree e marittime permettono all’eroina afgana di giungere ovunque (eccetto il Sud America, qui vi sono i cartelli narcos che hanno il ‘loro’ prodotto). Le vie terrestri coinvolgono pesantemente Iran e Pakistan, costretti ad impiegare sempre più risorse per contrastare questi flussi…”.Il responsabile dell’agenzia Onu anti-droga a Kabul, Andrey Avetisyan, realisticamente ammette: “il papavero fornisce sostentamento da tre a quattro milioni di afgani”, ovvero oltre il 10% la popolazione del Paese. Purtroppo l’uso delle droghe si è via via diffuso anche tra la popolazione afgana, con una incidenza media del circa 6%. UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime) evidenzia che nel 2016 la produzione di oppio è aumentata del 43%, difatti nel 2015 la produzione totale era di 3300 tonnellate di oppio, mentre nel 2016 si è arrivati ad oltre 4800 tonnellate; ecco quindi un dato nuovo che emerge: questo incremento della produzione di oppio è collegata ad una maggiore resa per ettaro. Cinque anni dopo quel rapporto, i dati aggiornati indicano che la produzione è ulteriormente aumentata, così come i profitti della vendita.
Ma i Talebani hanno ora un concorrente agguerrito, ferocemente determinato a conquistare la guida della Jihad e degli affari ad essa collegati: è lo Stato islamico. La regione, in cui Isis continua a crescere gettando la propria sfida ai Talebani e dalla quale partono “missioni” terroristiche che nell’ultimo anno e mezzo hanno creato grossi problemi nelle due città di Kabul e Jalalabad, è quella del Khorasan, tra Afghanistan e Pakistan. Prende, infatti, proprio il nome di Wilayat Khorasan, il movimento terroristico affiliato ad Isis in Afghanistan che è riuscito, pur di fronte all’azione di contrasto da parte di Usa ed esercito afghano, a guadagnare posizioni. Anche gli Usa, infatti, non riescono più a negare che Isis abbia ormai il controllo di vaste e popolate aree nella provincia di Nangarhar e che la sicurezza, nella zona, sia particolarmente deteriorata . La strategia dell’Isis in Afghanistan è stata quella di attingere le nuove forze fresche proprio dal movimento talebano. Una recente inchiesta della Bbc metteva in evidenza come l’adesione allo Stato Islamico fosse divenuta economicamente più appetibile per gli afghani, considerato lo stipendio di 500$ mensili, cui il movimento talebano (in guerra dal 2001) non può sicuramente entrare in concorrenza.
La sfida dell’Isis
E per contrastarne la penetrazione i talebani schierano le loro forze speciali contro Isis. Il loro nome ufficiale è saraqitah “Red Group, Danger Group o Red Cell”. L’Emirato Islamico ha annunciato di aver schierato nell’est del Paese, in particolare tra le province di Laghman e Nangarhar, le sue unità top per dare la caccia ai piccoli gruppi Daesh presenti in zona e consolidare la leadership. Ciò dopo che i miliziani dello Stato Islamico avevano inflitto perdite alla formazione concorrente, conquistando porzioni di territorio. Finora, invece, i commandos jihadisti avevano operato soprattutto nel sud della nazione asiatica, nella guerra contro le forze di sicurezza (ANSF) di Kabul. Perciò, l’Isis – che in passato era definita spregiativamente poco più di una banda di criminali – è stato promosso a nemico numero. Forse anche prima delle forze internazionali e delle istituzioni afghane. Il pericolo di un progressivo sbilanciamento di forze a favore delle bandiere nere era stato denunciato dallo stesso leader Mullah Omar, ora defunto, in una lettera proprio rivolta al Califfo Al-Baghdadi., anche lui passato a miglior vita. Nella stessa il Mullah intimava il Califfo di “non cercare di penetrare in Afghanistan” e che la sua azione stava “pericolosamente dividendo il mondo musulmano. Nessuno – spiega un comandante talebano intervistato dal Guardian – – sa chi sia la figura di riferimento di queste persone in Afghanistan e Pakistan. Semplicemente sono gruppi di una decina di persone che vanno su e giù per le montagne”. Le giovani reclute, sottolinea l’intervistato, e i Talebani sono mondi separati. Entrambi i gruppi puntano all’imposizione della sharia, la legge islamica, ma il Califfato non riconosce Stati né confini nazionali, mentre i Talebani sono nazionalisti che vogliono trasformare il proprio Paese. Sempre secondo il comandante talebano intervistato dal quotidiano inglese, ci sarebbe anche una differenza dottrinale. “Quando le persone – afferma – chiedono ai militanti del Califfato che missione stia compiendo, loro rispondono ‘la vostra fede è debole e noi vogliamo renderla più forte'”. Gli ideologi dell’Isis sarebbero quindi troppo settari e intolleranti per i Talebani. Ed eserciterebbero una violenza cieca e insensata che i ribelli afgani avrebbero da anni respinto. Questi ultimi avrebbero quindi rinnegato la furia distruttrice verso opere d’arte e intere comunità esercitata in passato.
Una guerra nella guerra. Venticinque ottobre 2017: intensi scontri si susseguono nella provincia settentrionale afghana di Jawzjan fra militanti dei talebani e uomini dell’Isis, con un di almeno 23 morti. Le vittime sono 13 seguaci del ‘Califfo’ e dieci dell’Emirato islamico dell’Afghanistan. Lo scrive oggi l’agenzia di stampa Pajhwok. La battaglia, simile a quelle che in passato hanno contrapposto i due gruppi nelle province di Nangarhar e Nuristan, si svolge nel distretto di Qush Tepa, come ha confermato all’agenzia il suo capo amministrativo, Aminullah. La stessa fonte ha precisato che “le fazioni si stanno scontrando attualmente nei villaggi di Baiksar e Khanqa, facendo uso di armi sia pesanti che leggere”. Secondo Aminullah i Talebani avrebbero fatto convergere nella zona “almeno 1.000 combattenti provenienti dalle province di Helmand, Ghor, Badghis e Faryab. Mille combattenti armai dai russi. Perché questa è l’altra, significativa novità, sul fronte afghano. In funzione di contenimento della penetrazione dei foreign fighters di ritorno da Siria e Iraq nelle repubbliche caucasiche ex sovietiche, Mosca ha stretto un’alleanza “sotterranea” con i Talebani. Nel luglio 2017 il giornale inglese Daily Mail e la Cnn pubblicavano una serie di foto , in cui alcuni talebani venivano ritratti in possesso di armi russe. E ancora lo scorso 22 ottobre 2017 il Guardian riportava l’accusa esplicita fatta dal governo di Kabul contro Mosca, colpevole di continuare a rifornire di armi il movimento talebano. Si parla nello specifico, come era già stato dimostrato dalle foto, di armamenti leggeri e non eccessivamente sofisticati. Insomma mitragliatrici, lanciagranate e al massimo visori notturni per cecchini. Zamir Kabulov, inviato del presidente Putin in Afghanistan, sintetizza così la nuova politica: i Talebani diventano i nostri alleati contro l’espansione del Daesh (Isis in arabo) in Asia centrale e Caucaso. In cambio, gli concediamo una patente di legittimità politica (ed anche soldi e armi, ma questo Kabulov non può esplicitarlo). E anche in Afghanistan vale il patto d’azione Mosca-Teheran. Rispetto agli interessi militari e geopolitici, la religione viene accantonata e così l’Iran sciita si allea, con i Talebani (sunniti), L’obiettivo iraniano è quello di mantenere il governo afghano debole, in due modi aumentando la sua influenza nelle province occidentali afghane, vicine al suo confine, come Farah e Herat; e sostenendo i talebani, che si oppongono anche alla presenza in Afghanistan degli americani e dello Stato islamico, entrambi nemici dell’Iran. E a rendere ancora più ingovernabile il Paese è la frammentazione etnico-tribale, che ha assunto tratti sempre più profondi: alla maggioranza etnica Pashtunsi aggiungono Tajiki, Hazara, Uzbechi, Aimak, Turkmeni e Baluchi. Questo è il quadro afghano a venti anni e più dall’inizio di una guerra, post 11Settembre, che avrebbe dovuto distruggere al Qaeda, liquidare i Talebani, sradicare i gruppi jihadisti, rafforzare la sicurezza internazionale. L’avanzata talebana racconta un’altra storia. La storia di una guerra perduta (stavolta dall’Occidente, come prima era avvenuto per l’Armata rossa) nel “cimitero degli imperi”.