Con la presa del potere in Afghanistan da parte dei talebani, la sharia è tornata sotto i riflettori del mondo.
Il sistema legale islamico non è un corpus di diritto positivo: non esiste un codice scritto che dica ai suoi osservatori cosa fare e cosa non fare, mentre esiste un sistema di princìpi cui i fedeli si ispirano per la condotta personale.
Tale sistema è elaborato mediante un’interpretazione umana di quattro fonti tradizionali: Corano e Sunna (le principali) e Qiya e Ijma.
Va da sé che la sharia non si può neanche assimilare a un Codice penale così come lo intendiamo noi italiani (e occidentali).
La parola non ha un univoco significato, non indica una cosa e soltanto quella. Viene ad esempio usata dai popoli di lingua araba del Medio Oriente per designare una religione profetica nella sua totalità. Per molti musulmani, invece, il termine significa semplicemente “giustizia”.
In questo senso, allora, può apparire quantomeno fumosa la dichiarazione dei talebani nel loro ritorno al governo dopo vent’anni: “L’Emirato islamico non vuole che le donne siano vittime, dovrebbero essere nelle strutture di govero sulla base di quanto prevede la sharia”. Che cosa indica, praticamente, questa dottrina?
La legge di Dio – Tutto parte dalla parole del profeta Maometto. Da qui nascono i precetti che governano la vita pubblica e politica del Paese che adotta la sharia. Si tratta invece di una serie di consuetudini, dettami religiose e imperativi morali a cui può ispirarsi sia il fedele in quanto individuo (ad esempio per il digiuno e la preghiera) sia una comunità o uno Stato. Ma se è tutto così “interpretabile”, chi è che decide cosa è secondo sharia e cosa non lo è? I musulmani, come i cristiani e gli ebrei, è uno dei “popoli del libro”: hanno cioè avuto una rivelazione scritta.
Ma nel testo sacro del Corano sono solo 80 i versetti (su oltre 6.000) che contengono esatti obblighi di natura giuridica. E nella Sunna, l’insieme degli atti e dei detti di Maometto, sono ancora meno: non se ne trovano.
Paese che vai, sharia che trovi – Le regole della sharia sono dunque il frutto di analisi, ragionamenti e studi stratificati nel corso dei secoli da parte di dotti. Da qui nasce il cosiddetto fiqh, la giurisprudenza islamica, che però può variare anche di molto a seconda del territorio che la interpreta. Paese che vai, sharia che trovi, insomma. Questa giurisprudenza è stata in gran parte elaborata attraverso opinioni legali (fatwa) emesse da giuristi qualificati (mufti). Quella che è invece la giustizia penale vera e propria, in Afghanistan come in altri luoghi, si è soltanto ispirata alla sharia, pur seguendo la sua strada di leggi e statuti costruiti sul modello occidentale.
Il modello di giustizia occidentale – Dall’incontro-scontro fra sharia orale e giustizia scritta nascono inevitabilmente frizioni che fanno della sharia un tema controverso in tutto il mondo, non solo islamico. In età contemporanea, complici le continue incursioni dell’Occidente in quella parte di Asia, anche le procedure giudiziarie e le Costituzioni degli Stati hanno seguito la pratica europea “allentando” la morsa della legge divina. Quest’ultima non ha però mai smesso di influenzare la vita privata e pubblica di milioni di individui (soprattutto in materia familiare), dando vita a fazioni sociali talvolta in violento contrasto fra loro.
Il gioco elastico fra Stato e religione è particolarmente evidente in una decina di Paesi che hanno il Corano come fonte di “diritto” per i loro codici penali. Tra questi figurano Arabia Saudita e i “vicini” Iran e Pakistan. In altri casi, come in alcune nazioni del Nord Africa e del Vicino Oriente, si è invece imboccata la direzione “europea”: i principi religiosi regolano solo la vita privata. In altri casi ancora la separazione tra Stato e religione è totale: è il caso della Tunisia, della Bosnia e dei Paesi dell’Asia centrale nati dal crollo dell’Unione sovietica.
Le regole – C’è una premessa fondamentale: la sharia cambia o, meglio, può cambiare. Tra Stato e Stato, come abbiamo visto, ma anche all’interno dello stesso Stato, magari in momenti storici differenti. E’ dunque lecito chiedersi: quale sarà la sharia del “nuovo” Afghanistan talebano? L’Emirato islamico afghano è esistito già dal 1996 al 2001. Un periodo complicatissimo, durante il quale i talebani imposero un’interpretazione della sharia davvero rigida, che prevedeva la condanna a morte per i comunisti e la mutilazioni di mani e piedi per ladri e criminali. Si può dire inoltre, com’è noto, che le donne non possedessero diritti: non potevano uscire di casa senza burqa e senza il marito o un parente di sangue, non potevano guidare bici, motocicli e automobili. La separazione dei sessi negli spazi pubblici era totale. Non era consentito loro nemmeno apparire in fotografie, riviste, tv e giornali, né potevano lavorare fuori casa ed entrare in contatto con uomini diversi dal marito o dai parenti, compresi i medici. Assolutamente vitati poi cosmetici, gioielli, acconciature, scarpe e abiti “immodesti”.
Come sarà dunque la “nuova” sharia dell’Afghanistan? A giudicare dalle dichiarazioni dei talebani nella loro prima storica conferenza stampa dopo la presa del potere, si viaggia verso una maggiore “apertura” e un’applicazione meno rigida dei precetti religiosi nella vita pubblica. La “concessione” di una carriera politica alle donne suona come una campana a festa. La chiave di volta sarà però proprio quel “entro i limiti della sharia”.
Cos'è la sharia? Ecco la legge coranica con cui i talebani terrorizzano il loro popolo
Letteralmente significa "strada battuta" (da Dio) e include norme e princìpi, non scritti, ispirati a varie fonti islamiche, tra cui il Corano. E può cambiare, anche di molto, a seconda del luogo in cui viene interpretata e applicata
globalist Modifica articolo
18 Agosto 2021 - 12.50
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