Una storia triste, un’altra che ha come protagonista una donna. “Per sette anni ho servito il mio Paese come ufficiale dell’Esercito. Addestrata a usare armi di ogni tipo, a lavorare fianco a fianco con gli uomini, mai discriminata, mai giudicata, ho ricevuto attestati di stima. Agli ordini di altre donne soldato come me, sono stata a Camp Arena, a Herat, dove si trovava il contingente militare italiano. Con loro e per loro ho lavorato nella speranza di costruire le basi per un Afghanistan libero dal terrore. I talebani hanno distrutto i nostri sogni, ora faranno lo stesso con le nostre vite. Sono già venuti a cercarmi a casa, non potevo che fuggire”. In fila da quattro giorni per il ponte aereo, al di fuori dell’aeroporto di Kabul, c’è anche Zahra, una afghana di Herat, 35 anni e mamma di due bambini, che non somiglia affatto all’ideale di donna imposto dalla Sharia.
A Silvia Mancinelli dell’Adnkronos mostra i documenti che attestano i lunghi anni di servizio in divisa, le foto che la ritraggono con alte cariche dell’esercito, con soldati Nato, a imbracciare pistole e fucili con il volto truccato a combattere chi la vuole in casa, coperta da un velo lungo fino ai piedi. “Oggi però non avevo alternative – racconta all’Adnkronos Zhara – oggi dovevo pensare alla mia famiglia, al mio compagno, soldato come me, a un futuro che sognavo qui, per il quale mi sono messa in gioco in prima persona. E che oggi è stato cancellato”.