Nicole Gee aveva postato la foto sul suo profilo Instagram con sotto la scritta «Amo il mio lavoro». Come raccontano Andrea Marinelli e Marilisa Palumbo sul Corriere della Sera, di quel momento c’erano altri scatti, uno, quello che vedete accanto, l’aveva pubblicato il 20 agosto l’account Twitter del dipartimento della Difesa, e ha fatto il giro del mondo.
E nelle agenzie si trovano altre immagini di lei sorridente che scorta giovani afghani verso la pancia degli aerei che li condurranno a una nuova vita. Nicole era stata promossa a sergente il 2 agosto. «Credeva in quello che faceva, amava essere un Marine — ha raccontato il cognato — Non avrebbe voluto essere da nessuna altra parte». «Ha esalato l’ultimo respiro facendo quello che amava», ha detto la sua migliore amica e commilitona.
Ventitreenne di Roseville, California, Gee è una delle due donne tra i caduti americani, l’altra è la sergente Johanny Rosario Pichardo, 25, di Lawrence, Massachusetts. Alle due del pomeriggio di venerdì un aereo con 13 bare avvolte nella bandiera a stelle e strisce è partito da Kabul. Di quei caduti americani 5 avevano vent’anni (gli altri poco più, il più grande 31): l’età di questa infinita guerra. Erano neonati o bambini quando tutto è iniziato, sono arrivati in Afghanistan nel momento forse più difficile, senza i muri di solito eretti ovunque dagli americani a proteggerli. «Chi controlli è così vicino che puoi sentirgli il fiato», ha detto il comandante McKenzie. Mischiati alla folla — in braccio i neonati, un selfie con un bambino — erano certo spaventati, ma sembravano anche felici e orgogliosi. Il terrorismo ha rubato il futuro a loro come a tanti membri dell’altra generazione post 11 settembre: quella dei ragazzi afghani che stavano cercando di aiutare.