Processato in Virginia uno dei tagliagola dell'Isis si dichiara colpevole
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Processato in Virginia uno dei tagliagola dell'Isis si dichiara colpevole

Li chiamavano 'Jihadi Beatles' per il loro marcato accento inglese, quattro militanti che hanno dato vita a una delle piu' brutali cellule dell'Isis rapendo e decapitando gli ostaggi occidentali

Alexanda Kotey
Alexanda Kotey
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3 Settembre 2021 - 22.26


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Assassini spietati che, però, ora sono diventati docili e pentiti. Troppo facile adesso. Li avevano ribattezzati ‘Jihadi Beatles’ per il loro marcato accento inglese, quattro militanti che hanno dato vita a una delle piu’ brutali cellule dell’Isis e seminato il terrore durante la guerra civile in Siria, rapendo una ventina di cittadini occidentali e mostrando la decapitazione di alcuni di loro in video di propaganda. 
Ora uno di loro, Alexanda Kotey, davanti a una corte federale della Virginia e ai familiari delle vittime americane, si e’ dichiarato colpevole, ammettendo di aver partecipato a crimini orribili che vanno dal sequestro alla tortura e, in alcuni casi, all’uccisione degli ostaggi. Ostaggi non solo americani, ma anche cittadini del Regno Unito, dell’Italia, della Danimarca, della Germania.
Kotey, 37 anni, era ‘Jihadi Ringo’. Erano stati gli stessi ostaggi a soprannominare lui e i suoi complici, tutti britannici, con i nomi dei componenti dei Beatles. ‘Jihadi John’, al secolo Mohammed Emzawi, e’ morto in un raid aereo in Siria nel 2015. E’ lui che ha decapitato i reporter americani James Foley e Steven Sotloff e l’operatore umanitario statunitense Peter Kassig. Mentre la volontaria Kayla Mueller, dopo essere stata tenuta come schiava del sesso forse dallo stesso leader dell’Isis al Baghdadi, sarebbe stata uccisa per non essersi mai voluta convertire all’Islam.
Aine Davis, noto come ‘Jihadi Paul’, e’ invece in un carcere della Turchia con l’accusa di terrorismo. Mentre El Shafee Elsheikh, ‘Jihadi George’, e’ in carcere negli Usa. Fu catturato nel 2018 dalle milizie curde in Siria proprio insieme ad Alexanda Kotey, mentre i due tentavano di fuggire in Turchia.
Lui continua a dichiararsi non colpevole.
Alexanda invece si e’ presentato nell’aula della corte federale di Alexandria, in Virginia, dove ad ascoltarlo in silenzio c’erano i familiari delle vittime americane. Calmo e senza tradire particolari emozioni ha ripercorso le drammatiche vicende in cui e’ stato coinvolto, pur sottolineando di non aver partecipato alla decapitazione degli ostaggi americani. Ma sapeva pero’ la fine che avrebbero fatto. Il suo racconto parla delle torture inflitte dai rapitori: dal waterboarding alle finte esecuzioni, all’elettroshock, con gli ostaggi che venivano costretti a combattere tra di loro e ad assistere alle brutali esecuzioni.
Donald Trump avrebbe voluto spedirlo e rinchiuderlo per sempre a Guantanamo insieme al complice Elsheikh. Ma sono state le famiglie delle vittime a impedirlo, chiedendo lo svolgimento di un regolare processo federale. Forse anche nella speranza di scoprire un giorno dove sono finiti i resti dei propri cari.
Intanto grazie alla sua collaborazione Kotey fra 15 anni puo’ sperare di tornare in patria per scontare il resto dell’ergastolo in un carcere britannico. 

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