Libano, un governo “misogino” per un Paese fallito. Ovvero, i Talebani fanno scuola
Dopo 13 mesi di vuoto istituzionale, il Libano ha un nuovo esecutivo. Per quasi un anno, il Paese è stato guidato da un governo provvisorio con poteri limitati.
Il nuovo esecutivo è formato da 24 ministri, ripartiti tra personalità cristiane e musulmane. Ma ha solo una donna tra le sue file, Najla Riachi, alla quale è stato affidato il Dicastero delle riforme amministrative, senza portafoglio. Una circostanza che ha suscitato dure reazioni da parte di attivisti della società civile libanese, indignati per quella che hanno definito “la talebanizzazione delle istituzioni” del Paese.
Il governo è diviso in tre blocchi politici tra loro alleati: uno controllato dagli Hezbollah sciiti e filo-iraniani e che controllano, tra l’altro, i dicasteri chiave delle finanze e dei lavori pubblici; un blocco espressione del potere del presidente cristiano maronita Michel Aoun, stretto alleato di Hezbollah e vicino al regime siriano e che controlla altri ministeri sensibili come energia, difesa, giustizia; un terzo del premier Miqati e del leader druso Walid Jumblatt e che si è assicurato, oltre alla presidenza del consiglio, anche i ministeri Dell’economia e degli interni. Negli ultimi due anni Miqati è stato più volte accusato di atti di corruzione e clientelismo, ed è uno dei leader politici libanesi fortemente contestati dal movimento di protesta scoppiato nell’autunno del 2019 in corrispondenza del palesarsi della crisi economica. Proprio i leader del movimento di contestazione ribadiscono nei media indipendenti e sui social che “la nascita del governo Miqati non è un segnale di cambiamento nè di riforme”, ma è il frutto del “consolidato meccanismo clientelare di spartizione delle risorse di un “Paese fallito”.
La “benedizione” dell’Eliseo
Emmanuel Macron, ha salutato la formazione di un nuovo governo in Libano, “tappa indispensabile” per “far uscire il Paese dalla crisi profonda nella quale si trova”. Un passo utile a “Prendere le misure urgenti che i libanesi si aspettano” per lasciare il momento di difficoltà, si legge in una nota diffusa dall’Eliseo. Al tempo stesso Macron ha sottolineato “la necessità che tutti i leader politici rispettino gli impegni presi” per far sì che si possano compiere “le riforme necessarie per costruire il futuro del Libano e permettere alla comunità internazionale di fornire un aiuto decisivo”.
Il Libano sta attraverso oggi “forse il momento difficile dal 2006 ad oggi” ed in questo contesto è “essenziale mantenere la sicurezza e la stabilità nel Sud del Libano”. Lo ha detto oggi il generale Stefano Del Col, Head of Mission e Force Commander di Unifil (la Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite), durante un incontro con generale il capo del Comitato militare dell’Unione Europea, Generale Claudio Graziano. L’incontro si è svolto presso il quartier generale del comando Unifil a Naqoura. Il generale Del Col, si legge in un comunicato, ha sottolineato quanto sia stato fondamentale il rinnovo del mandato e l’importanza che il Consiglio di sicurezza dell’Onu, con la nuova risoluzione 2591/2021 ha posto all’implementazione degli aspetti previsti dalla risoluzione dello stesso Consiglio di sicurezza numero 1701 del 2006 e le prescrizioni contenute nelle successive, fino all’ultima che ha esteso il mandato fino ad agosto del 2022. “Dobbiamo continuare a lavorare sulla delicata questione lungo la Blue Line. Il nostro impegno comune, ancor di più insieme a supporto delle LAF e della comunità tutta, come partner affidabili, è essenziale per mantenere sicurezza e stabilità nel Sud del Libano in un momento davvero difficile per questo Paese, forse il più difficile dal 2006 ad oggi”, ha affermato il capo missione.
Crack economico
Peggiora sempre più la crisi economica in quello che un tempo era definito “la Svizzera del Medio Oriente”, con la mancanza di benzina che sta innescando sempre più rabbia e violenze tra la popolazione. Secondo i media locali, nella sola giornata di ieri i prezzi del carburante sono aumentati fino al 70% in seguito all’ennesimo taglio dei sussidi pubblici, con il costo della benzina che è quasi triplicato negli ultimi due mesi, da quando cioè la banca centrale ha iniziato a tagliare il suo sostegno alle importazioni per mancanza di soldi.
Ad alimentare le tensioni, l’annuncio in tv del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che le consegne di carburante iraniano arriveranno “nei giorni a venire”. “La prima nave, dal momento in cui salperà fino a quando sarà nel Mediterraneo sarà considerata territorio libanese. Lo dico a israeliani e americani: sarà territorio libanese”, ha detto Nasrallah. Secondo il leader di Hezbollah “i milioni di litri di gasolio e diesel sequestrati dall’esercito israeliano confermano che la crisi è stata creata di proposito”.
Secondo molti analisti il Libano è un Paese già fallito. Per altri manca molto poco al crack. Certo è che il paese sta subendo una grave e prolungata depressione economica. Secondo l’ultimo rapporto della Banca Mondiale, Bank Lebanon Economic Monitor (Lem), pubblicato a giugno, la crisi economica e finanziaria del Paese dei cedri è tra le peggiori di sempre nella storia, addirittura da metà del 1800.
Per alcuni economisti quella libanese rientra nella top 10 dei default finanziari, per altri addirittura nella top 3. “Di fronte a sfide colossali, la persistente inazione politica e l’assenza di un governo pienamente funzionante, continuano ad aggravare condizioni socio-economiche già disastrose e una fragile pace sociale senza un chiaro punto di svolta all’orizzonte”, scrive l’istituto di Washington.
Il titolo del rapporto della Banca Mondiale non promette nulla di buono: “Lebanon Sinking: To the Top 3”. La pubblicazione presenta i recenti sviluppi economici ed esamina le prospettive del Paese con i rischi annessi. Per oltre un anno e mezzo, il Libano ha affrontato sfide differenti: la più grande crisi economica e finanziaria in tempo di pace, la pandemia da Covid-19 e l’esplosione del porto di Beirut, avvenuta il 4 agosto dell’anno scorso.
Come evidenziato dagli osservatori internazionali tutte le risposte politiche ed economiche della politica libanese a queste sfide sono state completamente inadeguate e fallimentari. Nel paese non si è mai arrivati a un consenso su iniziative politiche efficaci. L’unità d’intenti, invece, si è trovata nella difesa strenua di un sistema economico fallimentare che continua a favorire pochi a danno della maggioranza. A peggiorare la situazione, una prolungata guerra civile che ha aggravato condizioni socio-economiche sempre più disastrose che rischiano di provocare fallimenti nazionali sistemici con effetti regionali e potenzialmente globali.
I numeri impietosi della Banca Mondiale
I numeri della banca Mondiale non lasciano scampo e tratteggiano uno scenario con moltissime ombre. L’istituto stima che nel 2020 il Pil si sia contratto del 20,3%, dopo un calo del 6,7% nel 2019. Di fatto, il Pil libanese è crollato dai quasi 55 miliardi di dollari nel 2018 a circa 33 miliardi di dollari nel 2020, mentre il prodotto pro capite è sceso di circa il 40%. Una contrazione così forte, normalmente, è associata, spiega la Banca Mondiale, a conflitti o guerre. “Le condizioni monetarie e finanziarie rimangono altamente volatili; nel contesto di un sistema di tassi di cambio multipli”. Il cambio medio della Banca Mondiale si è deprezzato del 129% nel 2020. L’effetto sui prezzi si è tradotto in un’impennata dell’inflazione, con una media dell’84,3% nel 2020. Soggetto a un’incertezza eccezionalmente alta, si prevede che il Pil si contrarrà di un ulteriore 9,5% anche quest’anno.
“Il Libano affronta un pericoloso esaurimento delle risorse, compreso il capitale umano, e la manodopera altamente qualificata è sempre più propensa a cogliere opportunità all’estero, creando una perdita sociale ed economica permanente per il Paese”, ha detto Saroj Kumar Jha, direttore regionale del Mashreq della Banca Mondiale. “Solo un governo riformista, che intraprenda un percorso credibile di ripresa economica e finanziaria, e che lavori a stretto contatto con tutte le parti interessate, può invertire la rotta di un’ulteriore caduta e prevenire una maggiore frammentazione nazionale”.
Le condizioni del settore finanziario continuano a deteriorarsi.
L’onere dell’aggiustamento in corso nel settore finanziario è altamente regressivo, concentrato sui depositanti più piccoli, sulla maggior parte della forza lavoro e sulle pmi. Più della metà della popolazione è al di sotto della soglia di povertà nazionale, con la maggior parte della forza lavoro – pagata in lire – che soffre per il crollo del potere d’acquisto. Con il tasso di disoccupazione in aumento, una quota crescente di famiglie sta affrontando difficoltà di accesso ai servizi di base, compresa l’assistenza sanitaria in questo periodo più importante che mai.
Elettricità, acqua, istruzione: dove morde la crisi
L’istituto di Washington sottolinea anche l’impatto delle crisi su quattro servizi pubblici di base: elettricità, approvvigionamento idrico, servizi igienici e istruzione. La depressione ha ulteriormente minato i già deboli servizi pubblici attraverso due effetti: ha aumentato significativamente i tassi di povertà, con un numero maggiore di famiglie che non possono permettersi beni sostitutivi privati, diventando così più dipendenti dai servizi pubblici. Pone a forte rischio la sostenibilità finanziaria e l’operatività di base del settore, aumentandone i costi e riducendone le entrate.
La fornitura di servizi pubblici essenziali è fondamentale per il benessere dei cittadini. Il forte deterioramento dei servizi di base continuerà a creare implicazioni nel lungo termine: migrazione di massa, perdita di apprendimento, cattivi servizi sanitari, mancanza di reti di sicurezza adeguate. Il danno permanente al capitale umano, evidenzia la Banca Mondiale, sarebbe molto difficile da recuperare. E forse proprio questa dimensione della crisi libanese la rende unica rispetto ad altre.
L’appello di Save the Children, la denuncia dell’Unicef
Quasi un quarto della popolazione libanese e la metà dei rifugiati siriani in Libano sta affrontando carenze alimentari. A denunciarlo, il 27 agosto scorso, è Save the Children che invita il governo “a sostenere economicamente i più colpiti”. “La quantità di cibo in tavola per i bambini in Libano – si legge in un comunicato della organizzazione umanitaria – si riduce di giorno in giorno, poiché i prezzi del pane salgono di un altro 11% a causa dell’aggravarsi della crisi. Una razione di pane per un mese fa arretrare le famiglie di quasi la metà del salario minimo mensile. Un sacchetto di focaccia costa 5.000 sterline libanesi nei supermercati, oltre il triplo rispetto all’anno scorso, un effetto a catena dell’impennata dei prezzi del carburante e del collasso dell’economia”. Secondo Save the Children “le famiglie più povere del Libano hanno probabilmente bisogno di almeno due sacchi di pane al giorno a causa dell’impossibilità di permettersi cibi nutrienti come riso, lenticchie e uova. Ciò significa che il costo mensile del consumo di pane (circa 300.000 sterline) è circa il 44% del salario minimo mensile, che è di 675.000 sterline”. “Nessuna famiglia può vivere senza pane in Libano – dichiara Jennifer Moorehead, direttrice di Save the Children in Libano -. Se il pane diventerà fuori portata – cosa che in alcuni casi sta già accadendo – non c’è un piano B oltre alla fame. I bambini ci dicono che stanno andando a letto affamati e i genitori riferiscono di dover saltare completamente i pasti. Migliaia di famiglie al momento fanno affidamento su pasti a base di pane e ora sentono che questo verrà loro portato via. La situazione dei bambini, soprattutto i più piccoli, è sempre più disperata”. “Il Libano è in caduta libera e i bambini sono i primi a sentirne l’impatto. Esortiamo il governo libanese a fornire sostegno in denaro alle famiglie più povere dei gruppi economici più colpiti, per aiutarle almeno a garantire i bisogni minimi e impedire che la crisi si trasformi in una catastrofe umanitaria per i bambini libanesi”, conclude Moorehead.
“A meno che non venga intrapresa un’azione urgente, più di quattro milioni di persone in tutto il Libano – soprattutto bambini e famiglie vulnerabili – affrontano la prospettiva di una carenza critica di acqua o di essere completamente tagliati fuori dalla fornitura di acqua sicura nei prossimi giorni”, le fa eco, sempre ad agosto, direttore generale dell’Unicef, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia, Henrietta Fore.
A luglio, , l’Unicef, ricorda il direttore generale, “ha avvertito che più del 71% della popolazione del Libano potrebbe rimanere senza acqua quest’estate. Da allora, questa situazione pericolosa è continuata, con servizi essenziali come l’acqua e i servizi igienici, le reti elettriche e l’assistenza sanitaria sotto enorme tensione. Strutture vitali come gli ospedali e i centri sanitari non hanno avuto accesso all’acqua sicura a causa della mancanza di elettricità, mettendo a rischio delle vite”.
Fore chiarisce: “Se quattro milioni di persone sono costrette a ricorrere a fonti d’acqua non sicure e costose, la salute pubblica e l’igiene saranno compromesse e il Libano potrebbe vedere un aumento delle malattie legate all’acqua, oltre all’aumento dei casi di Covid-19”.
L’Unicef chiede “l’urgente ripristino della rete elettrica – l’unica soluzione per mantenere in funzione i servizi idrici”.
“I bisogni sono enormi e l’urgente formazione di un nuovo governo con chiari impegni di riforma, è fondamentale per affrontare la crisi attuale attraverso un’azione determinata e sistematica per proteggere la vita dei bambini e garantire l’accesso all’acqua e a tutti i servizi di base”, conclude Fore.
Il Libano non è un Paese per bambini.