Perché l'Europa dei muri è una vergogna che non ci potrà mai appartenere
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Perché l'Europa dei muri è una vergogna che non ci potrà mai appartenere

Dodici Stati europei chiedono all'Ue nuovi strumenti per proteggere le frontiere esterne di fronte ai flussi migratori, anche col finanziamento europeo di recinzioni e muri.

Il muro al confine dell'Ungheria
Il muro al confine dell'Ungheria
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Ottobre 2021 - 17.19


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Questa non è l’Europa. L’Europa dei suoi padri fondatori. L’Europa della sua carta costitutiva, del Trattato di Roma. L’Europa dell’inclusione. Non è Europa quella che innalza muri e chiude i porti. L’Europa che respinge, che reprime, che marchia i reietti. L’Europa degli Orban, dei Kurz, dei sovranisti senza umanità. Questa Europa non ci appartiene. In questa Europa non ci riconosciamo. Questa Europa non ha da esistere. 

La vergogna dei Dodici

Dodici Stati europei chiedono all’Ue nuovi strumenti per proteggere le frontiere esterne di fronte ai flussi migratori, anche col finanziamento europeo di recinzioni e muri. E’ quanto si legge in una lettera inviata alla Commissione e alla presidenza del Consiglio Ue da parte dei ministri dell’Interno di Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Slovacchia. Il tema del rafforzamento dei confini esterni dell’Unione sarà affrontato dalla riunione dei ministri dell’Interno dei 27 Stati membri in programma a Lussemburgo. 

“Evitare di sovraccaricare i sistemi di accoglienza” 

 Nella loro lettera, i 12 Paesi chiedono “nuovi strumenti che permettano di evitare, piuttosto che affrontare in seguito, le gravi conseguenze di sistemi migratori e di asilo sovraccarichi e capacità di accoglienza esaurite, che alla fine influiscono negativamente sulla fiducia nella capacità di agire con decisione quando necessario”. Nello stesso tempo, continua il documento, “queste soluzione europee dovrebbero mirare a salvaguardare il sistema comune di asilo riducendo i fattori di attrazione”. 

Moria 2.0

Tra i 12 c’è la Grecia. La Grecia di Moria 2.0

“Un anno fa bruciava il campo Moria di Lesbo, quando il Commissario Ue Ylva Johansson dichiarò ‘mai più campi come questo’ Eppure per i rifugiati che stanno a Moria 2, una struttura temporanea e allestita in tutta fretta, le condizioni di vita sono tutt’ora indicibili. – rimarca Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie- Allo stesso tempo nulla è cambiato nell’impostazione dell’Unione europea e dei leader dei paesi membri sull’accoglienza di chi è in fuga in cerca di salvezza come gli afghani, ora al centro dell’attenzione internazionale, nessun passo concreto è stato fatto per garantire diritti e dignità. Al contrario, dopo la prima fase di evacuazione e il grande moto di solidarietà espresso al popolo afghano, l’unica strategia messa in atto è bloccare i flussi migratori a monte e lungo la rotta balcanica, nel tentativo di delegare a paesi terzi il controllo delle frontiere e di scaricare sui paesi al confine con l’Afghanistan, la gestione del possibile esodo che si registrerà nei prossimi mesi”.

Il 16 agosto, il giorno dopo la caduta di Kabul, il ministro greco per le migrazioni, Notis Mitarachi, ha affermato che la Grecia non sarebbe diventata la porta di ingresso per gli afghani in Europa, in palese violazione degli obblighi internazionali che prevedono l’accoglienza di chi è in cerca di sicurezza.

“La decisione del Governo greco di bandire gli afghani dall’Europa è semplicemente immorale – aggiunge Vasilis Papastergiou, esperto legale del Greek Refugees Council – Non solo va contro il diritto internazionale ed europeo, ma impedisce alle persone di ricostruirsi una vita. Attraverso un meccanismo di manipolazione burocratica nel momento in cui vengono registrati, gli viene negato ogni aiuto. In un caso che abbiamo seguito direttamente, le autorità greche si sono rifiutate di esaminare la domanda di asilo di una famiglia afghana, nonostante lo imponesse la normativa europea, dichiarando che dovevano essere rimandate in Turchia, dove avevano trascorso solo 4 giorni. Una decisione assunta nonostante il governo turco dal 2020 rifiuti qualsiasi nuovo trasferimento dalla Grecia. Il risultato è che adesso la famiglia è bloccata a Lesbo, come altre centinaia di persone che si trovano a Moria 2.0. Tutti intrappolati in un limbo in cui i richiedenti asilo vengono usati come mera merce di scambio politico”.

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Le condizioni disumane per i migranti intrappolati a Moria 2.0, costretti a passare in tenda il sesto inverno di fila, senza vaccini Covid

Il Tribunale europeo per i diritti umani ha recentemente dichiarato che le autorità greche sono state incapaci di garantire un luogo di accoglienza all’altezza degli standard europei.  Le ondate di caldo di quest’estate senza poter contare su un riparo, non hanno fatto altro che rendere impossibili le già difficili condizioni di vita a Moria 2, e la mancanza di preparazione del governo greco fa presagire che molte persone trascorreranno l’inverno in tenda per il sesto anno consecutivo. Delle oltre 3570 persone che sono intrappolate qui, il 32% sono bambini, di cui 7 su 10 ha meno di 12 anni.

Migliaia di persone, che arrivano in Grecia spesso già vittime di traumi indicibili, che oltre a non riuscire a vedere un futuro davanti, ancora adesso sono costrette a sopravvivere in condizioni limite, affrontando il rischio di contagio da Covid, dato che il 91% della popolazione del campo ancora non è vaccinata.

 La mancanza di misure di sicurezza all’interno del campo, inoltre, mette a serio rischio le donne, che rappresentano il 20% dei profughi nel campo. Secondo un recente sondaggio hanno paura di lasciare le tende dopo il tramonto per prendere l’acqua o usare docce e bagni. In questo caso sarebbe sufficiente anche solo prevedere un’illuminazione adeguata, la costruzione di servizi igienici più vicini alla sezione delle donne single e un numero maggiore di agenti di sicurezza donne.

“Moria 2 è una baraccopoli indecente, ma del resto il governo greco ha dichiarato apertamente di voler scoraggiare l’ingresso dei migranti. – conclude Pezzati – Rifugiati e richiedenti asilo, scappati da guerre e violenza, si ritrovano così in condizioni indegne per l’Europa.  L’Ue ha dichiarato di voler aiutare i rifugiati a ricostruirsi una vita, ma come si concilia questo proposito con i campi nelle isole greche?”.

Il trio dei respingenti

Immigrare in Ungheria “non è un diritto umano” e difendere i confini è necessario per “proteggere la popolazione”, e per preservare la propria sovranità nazionale che “viene da Dio e dalla natura”. Parlando all’emittente statunitense Fox News,  vicina all’ex presidente Donald Trump, il premier ungherese, Viktor Orban, ha ribadito la linea dura di Budapest sulla chiusura dei confini. “Se qualcuno entra nel tuo Paese senza permesso, devi difendere il tuo Paese. C’è una procedura legale per entrare. Non lo si può entrare senza limiti e senza il controllo dello Stato. Devi proteggere il tuo Stato dai pericoli. È il nostro Paese, il nostro popolo, la nostra lingua”, ha detto Orban. “Ovviamente se qualcuno ha bisogno di aiuto e il Paese più vicino è l’Ungheria occorre offrire assistenza”, ha continuato, aggiungendo però che “tuttavia non si può dire che questo è un bel Paese e si vuole venire qui ad abitare per avere una vita migliore”, in quanto “non è un diritto umano venire. Per niente. Questa è la nostra terra. È una nazione, una comunità, famiglia, storia, tradizione, linguaggio”.

A suo avviso molti Paesi europei non lo capiscono perché “hanno deciso di aprire un nuovo capitolo nella storia delle loro nazioni”, ovvero di costruire una società “post-cristiana e post-nazionale”. “Credono fermamente che differenti comunità possano mescolarsi con successo. Per l’Ungheria si tratta di qualcosa di rischioso e ogni nazione ha il diritto di decidere se assumersi questo rischio o meno. Noi abbiamo deciso di non prendercelo ed è la ragione per la quale vengo trattato come la pecora nera dell’Unione europea”, ha detto il primo ministro magiaro.

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Austria infelix

“Non accoglieremo nel nostro Paese nessun afghano in fuga, non sotto il mio potere”. Ad affermarlo in una recente intervista a La Stampa è  Sebastian Kurz, il 35enne cancelliere austriaco. “È chiaro a tutti che la politica del 2015 sui rifugiati non può essere la soluzione, né per Kabul né per l’Unione europea. Con più di 44 mila afghani entrati nel nostro Paese in questi anni, l’Austria ospita già la quarta più grande comunità afghana nel mondo, se consideriamo la distribuzione di migranti per numero di abitanti”.

Solo quest’anno, “da noi sono arrivati circa 8.000 rifugiati, di cui un quinto da Kabul, attraverso la rotta balcanica tuttora aperta”, prosegue il cancelliere. “La nostra posizione è realista: l’integrazione degli afghani è molto difficile e richiede un dispendio di energie che non possiamo permetterci”. Quando si dice “che non siamo solidali, questo non è vero. Ci stiamo concentrando sul sostegno ai Paesi vicini all’Afghanistan e stanziamo 20 milioni di euro a questo scopo: per fornire protezione e assistenza agli afghani nella regione”. I drammatici sviluppi a Kabul “hanno colto tutti di sorpresa”. Ora, secondo Kurz, l’Europa deve esercitare “una pressione massiccia sui talebani, affinché continuino a rispettare i diritti delle donne e i diritti umani”.

Varsavia si blinda

La Polonia ha effettuato respingimenti illegali di migranti lungo il suo confine con la Bielorussia nel mese di agosto, come hanno svelato rilievi satellitari e analisi di foto e video condotti dalla Ong Amnesty International.

Amnesty ha rivelato che, tramite l’analisi di immagini satellitari catturate il 18 agosto 2021, è riuscita a determinare il movimenti di un gruppo di migranti dalla Polonia in Bielorussia, riaccendendo la luce su un caso difficile da trattare per via dello stato di emergenza al confine. “Respingere le persone che cercano di ottenere asilo senza una valutazione individuale delle loro esigenze di protezione è contro la legislazione europea e internazionale”, ha dichiarato Eve Geddie, direttrice dell’ufficio per le istituzioni europee di Amnesty International.

Il ministro dell’Interno polacco Mariusz Kaminski ha incontrato giovedì 30 settembre la commissaria europea Ylva Johansson, dichiarando successivamente che “alle azioni della Bielorussia è necessario rispondere fermamente da parte degli Stati membri dell’Ue”. Non è chiaro se durante l’incontro si sia parlato anche della possibilità per la Polonia di accogliere le guardie di frontiera europee di Frontex per aiutare a gestire la situazione al confine con la Bielorussia. La richiesta è arrivata già venerdì 22 settembre, con l’esecutivo Ue che aveva esortato Varsavia a “proteggere le vite umane”.

Nelle scorse settimane tre persone sono morte appena attraversato il confine sul territorio polacco e un’altra appena prima, ancora in Bielorussia, mentre una quinta persona è stata ritrovata venerdì 22.

La Commissione aveva riconosciuto la situazione difficile in Polonia, ma aveva anche chiesto di portare avanti gli obblighi di frontiera senza mettere in pericolo vite umane o negando alle persone le cure necessarie.

Gli attivisti per i diritti umani hanno criticato la gestione dell’emergenza da parte di Varsavia, accusando il governo di operare respingimenti illegali e di non fornire adeguato sostegno medico, cibo e rifugio ai migranti che attraversavano il confine.

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La zona di confine con la Bielorussia è sottoposta a stato di emergenza dall’inizio di settembre, risultando perciò inaccessibile per attivisti e media, che hanno comunque denunciato una situazione di difficoltà da parte dei migranti che avevano attraversato la frontiera.

Il governo manipola l’opinione pubblica

Il governo polacco ha cercato di condizionare l’opinione pubblica interna sul caso dei respingimenti di migranti, cercando di rappresentare le persone che attraversavano il confine con la Bielorussia come potenziali terroristi e maniaci sessuali.

Durante una sconvolgente conferenza stampa di lunedì 27 settembre, i ministri dell’interno e della difesa Mariusz Kaminski e Mariusz Błaszczak hanno mostrato un video, poi mandato in onda sulle televisioni nazionali, di un uomo che faceva sesso con un cavallo, sostenendo che fosse stato filmato nella zona di confine.

Inoltre, durante la stessa conferenza il ministro Kaminski ha sostenuto che, delle circa 200 persone esaminate dai servizi segreti polacchi alla frontiera, almeno 50 mostrassero segni di radicalismo islamico e potessero avere legami diretti con i talebani o con l’Isis.

Lituania, l’accoglienza non alberga lì

Il governo della Lituania ha dichiarato, lunedì 13 settembre, che, al fine di impedire ai migranti illegali di accedere al Paese, entro aprile 2022 saranno costruite recinzioni di filo spinato lungo i primi 110 chilometri di confine con la Bielorussia, accusata di servirsi dell’immigrazione clandestina per esercitare pressioni sui Paesi Baltici e sull’Unione Europea.

Il governo lituano ha dichiarato che la costruzione della prima sezione è stata affidata alla società energetica statale EPSO-G, e che il costo del primo tratto sarà di circa 36 milioni di euro. La barriera sarà composta da filo spinato, strutturato in modo piramidale, e sarà alta circa 4 metri, ha dichiarato un portavoce della società lituana. Secondo le previsioni, entro aprile 2022 i lavori della prima sezione saranno completati, mentre i restanti 400 chilometri saranno recintati entro settembre 2022. Nonostante il confine che la Repubblica Baltica condivide con la Bielorussia sia lungo circa 670 chilometri, alcune aree saranno esenti da recinzione, come ad esempio i fiumi e i laghi. Intanto, lo stesso lunedì, il ministro della Difesa della Lituania, Arvydas Anusauskas, ha accusato la Russia, uno dei principati alleati di Minsk, di cooperare con la Bielorussia al fine di destabilizzare i confini europei e alimentare la crisi migratoria, in corso dal mese di agosto. “Siamo convinti che, fin dall’inizio, la Bielorussia abbia coordinato le sue azioni con la Russia”, ha rivelato Anusauskas, mentre si trovava nella base militare lettone di Adazi dopo gli incontri con i suoi omologhi baltici e polacchi. 

A contribuire finanziariamente alla costruzione della barriera tra i due Paesi sarà anche la Repubblica Ceca. Quest’ultima ha annunciato, il 7 settembre, che fornirà alla Lituania 530.000 euro per supportare la Repubblica Baltica nella costruzione del progetto, il cui costo totale sarebbe di circa 152 milioni di euro. La donazione di Praga è giunta in un momento in cui la Lituania ha iniziato ad esercitare forti pressioni sull’Unione Europea (UE), affinché il blocco attivi fondi da destinare al finanziamento della recinzione. “È ovvio che dobbiamo proteggere al meglio i confini esterni dell’UE” ha dichiarato il ministro degli Esteri ceco, Jakub Kulhanek, aggiungendo che il blocco dovrebbe “sostenere pienamente gli Stati membri, inclusa la Lituania, che sono pronti svolgere tali operazioni”.

Recinzioni, fili spinati, muri, campi invivibili…Se questa è Europa.

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