Turchia-Grecia: una partita sulla pelle dei migranti
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Turchia-Grecia: una partita sulla pelle dei migranti

Circa 30 migranti salpati dalla Turchia con un mare in tempesta, senza neanche indossare i giubbotti di salvataggio, molti i bambini. Poi la tragedia: morti annegati quattro bambini

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27 Ottobre 2021 - 15.58


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Litigano mentre in mare si continua a morire.

Circa 30 migranti salpati dalla Turchia con un mare in tempesta, senza neanche indossare i giubbotti di salvataggio, molti i bambini. Poi la tragedia: morti annegati quattro bimbi, disperso un migrante, salvati dal mare un’altra ventina.  Il tweet del ministro delle migrazioni greco, Notis Mitarachi: “Nonostante i migliori sforzi della guardia costiera ellenica, quattro bambini sono morti”, e poi, l’affondo contro Ankara: “Le autorità turche devono fare di più per prevenire lo sfruttamento alla fonte da parte di bande criminali, questi viaggi non dovrebbero mai essere consentiti”.  I marinai greci hanno tratto in salvo in tutto 22 migranti, soccorsi vicino all’Isola di Chios: 14 uomini 7 donne ed un altro bambino. Il barcone era salpato in mezzo a forti venti, ed i trafficanti che li trasportavano non hanno fornito alcun giubbotto di salvataggio. 

La querelle politica tra Grecia e Turchia

Secondo la ricostruzione della Guardia costiera greca, il grande numero di passeggeri a bordo assieme alle condizioni meteo ha portato al distacco del fondo del gommone. Il ministro greco Mitarchi ha accusato la Turchia di non osservare le condizioni dell’accordo del 2016 con l’Unione Europea. 

La replica di Ankara

 il governo turco ha risposto sottolineando che ospita “il più grande numero di rifugiati al mondo: circa 4 milioni”, e accusa l’Ue di essere stata lenta nel rispettare le promesse di sostegno finanziario.

“I rifugiati sono la nuova arma del millennio. Vengono usati per portare avanti agende politiche dalle più disparate finalità – rimarca su Il Fatto quotidiano  lo scrittore Shady Hamadi – Assomigliano a un flusso di acqua che viene lasciato andare quando si decide di aprire la diga, come ha fatto la TurchiaErdogan insieme a Putin e Assad sono gli artefici materiali e morali di una grande catastrofe umanitaria che passa in secondo piano da troppo tempo. Una distrazione di massa oggi giustificata, a ragione o meno, dalla presenza di una malattia che cambia le nostre priorità. Ma prima? Prima che la paura di massa ci colpisse dove eravamo?…”. Per concludere: “L’Onu calcola in un milione, di cui 60% minori, i fuggitivi. La Turchia, per mettere pressione all’Europa e dirgli di “non indignarsi” – come se ci fosse un reale rischio! -, ha aperto le frontiere verso la Grecia. Così, oggi, proprio mentre leggi queste parole, chi ha inventato i diritti umani, ha deciso di sovvenzionare la Grecia con 700 milioni perché faccia da scudo all’Europa. Ma nessuno ha criticato questa scelta, anzi: quando Bruxelles, con le stesse identiche motivazioni, dava 6 miliardi alla Turchia tutti, invece, alzavano la voce. Sono due facce della stessa medaglia: ammettiamolo. Oggi come ieri ce ne vogliamo lavare le mani, come abbiamo sempre fatto. Con buona pace dei bambini siriani”.

L’epicentro della tragedia umanitaria in atto è, nell’Egeo, l’isola di Lesbo. La Croce Rossa locale non esita a denunciare l’azione del governo greco. “In effetti si stanno infrangendo le convenzioni umanitarie. La scelta greca di non accogliere visti d’ingresso per un mese, in risposta alla strumentalizzazione del problema migranti da parte turca, viola il diritto internazionale. Abbiamo verificato che obbligano la gente a firmare i documenti per l’espulsione, sono scritti in greco, che nessuno tra loro sa leggere”, spiegano. 

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Pagate, altrimenti…

Se la Ue paga, staccando un assegno da 3miliardi di euro in un’unica soluzione, dei sei che l’Europa gli ha concesso, tutto tornerà come prima. In questa ipotesi “A”, una volta intascata la cifra, Erdogan alzerà ancora di più la posta e chiederà nuovi finanziamenti, questa volta senza alcun vincolo di destinazione. È probabile che questo denaro lo voglia utilizzare per acquistare nuove armi, per aumentare il controllo e la repressione in casa e continuare a soffocare il dissenso curdo.

Chiamiamolo “pizzo”

Di grande interesse è l’inchiesta su dataroom del Corriere della Sera a firma Milena Gabanelli e Francesco Battistini.

“La Turchia – scrivono . oggi è uno dei Paesi al mondo col più alto numero di rifugiati, oltre 5 milioni, su una popolazione di 80.

Stanco di fare da portinaio al passaggio via terra di siriani e iracheni, pakistani e afghani, dal 2016 decide di monetizzare l’emergenza -6 miliardi e 600 milioni di euro incassati dall’Ue, più un altro mezzo miliardo in arrivo, purché i gommoni non sbarchino sulle isole greche – e di farne uno strumento di ricatto per acquisire peso internazionale. All’assemblea generale dell’Onu, il 24 settembre 2021, mentre Kabul precipitava nel caos, il leader turco ha dichiarato: «Se gli americani mandano da noi i profughi afghani, ci diano il sostegno logistico, diplomatico e finanziario che ci serve. E coi talebani tratteremo noi». Il governo di Ankara, senza fornire dettagli, ha stimato in 40 miliardi di dollari gli aiuti necessari a gestire i dieci anni di crisi siriana. . E ora che le emergenze si sono moltiplicate, la sua politica è diventata quella di «esternalizzare» il controllo delle frontiere europee: io mi tengo i migranti che verrebbero da voi, ma in cambio voi mi pagate in denaro sonante e in aperture politiche”. E ancora: “Dopo l’accordo con l’Ue sui migranti siriani, il gioco turco è evidente: le frontiere prima si chiudono, passando dal milione 300 mila profughi sulle rotte balcaniche del 2015 a una media di 20 mila nel 2018, per poi riaprirsi nel 2019 con 159 mila profughi sulle coste greche. E quando l’Europa decide di imporre sanzioni economiche per le operazioni militari di Erdogan in Siria, o peggio ancora sui curdi, ecco la minaccia: «Se provate a chiamare invasione le nostre operazioni – dice il leader turco nel 2019 –, spalancheremo i nostri confini e vi manderemo tre milioni e mezzo di rifugiati». E le sanzioni si attenuano. La promessa è mantenuta l’anno dopo: nel 2020 Ankara batte cassa, ma Bruxelles è lenta a rispondere, e allora la Turchia sposta 130 mila disperati sui 120 km di frontiera terrestre con la Grecia. Tempo pochi mesi e l’accordo economico con l’Ue viene rinnovato. E’ un gioco facile – rimarcano ancora Gabanelli e Battistini – se sei tu a regolare i rubinetti delle migrazioni sia da Est sia da Sud e, intanto, ti prepari a controllare anche quelli di gas e petrolio. E in spregio a ogni regola: : la Turchia non ha mai rispettato la clausola, contenuta nell’accordo con l’Ue, che le impone di riaccogliere un migrante sbarcato nelle isole greche per ogni migrante che viene ricollocato in Europa. In cinque anni se n’è ripresi 2.140, contro i 15 mila sbarcati in Grecia solo nel 2020. Lo stesso vale per i soldi che l’Europa ha versato per bloccare il traffico: sono destinati al riammodernamento di dogana e frontiere, in realtà vengono usati per comprare armi e combattere la minoranza curda”.

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Egeo, è l’inferno

Nelle isole dell’Egeo, chiunque sia approdato dopo il 1° marzo 2020 viene trattenuto arbitrariamente nelle strutture portuali o in altre aree, senza poter chiedere asilo e sempre a rischio di essere rimandato in Turchia o nello stato “di origine o di transito”. Solo sull’isola di Lesbo circa 500 persone, tra cui più di 200 minori, sono state tenute per 10 giorni a bordo di una nave della Marina greca di solito adibita al trasporto di carri armati e di altri veicoli militari. Altre centinaia di migranti e di richiedenti asilo sono stati trattenuti in altri porti dell’Egeo.

In fuga da persecuzioni e torture, trattenuta senza cibo né acqua e respinta. La storia di K.

“Sono scappata dal mio paese per non finire in carcere dopo una condanna ingiusta. Ci avrei passato la mia giovinezza tra maltrattamenti e torture” racconta K., una giovane rifugiata politica, fuggita dal suo paese per evitare persecuzioni e torture.

Dopo essere stata arrestata dalle forze dell’ordine in Grecia – nonostante avesse presentato richiesta di asilo – K. è stata trattenuta per quasi un giorno insieme ad altre persone in un vecchio edificio, al freddo senza né acqua né cibo. “Ho capito che ci avrebbero rispedito indietro. Lo fanno sistematicamente, è una prassi consolidata”. La storia si conclude infatti con un respingimento: messa su una barca dalle autorità greche, insieme ad altre 150 persone provenienti da Siria e Afghanistan con la sola prospettiva di finire in mano turca o morire.

  La testimonianza di K. dimostra uno schema che si ripete in decine di casi, confermato anche dall’Obudsman (difensore civico nazionale), secondo cui “ripetuti e costanti respingimenti si registrano sia sulla terraferma a Evros, che sulle isole dell’Egeo”.

 Sui respingimenti non si aprono indagini, nemmeno sui casi più eclatanti, quelli in cui i migranti riescono a presentare alle autorità greche la richiesta di asilo e vengono comunque respinte verso la Turchia, senza che sia presa in esame. Il tutto pur trovandosi di fronte a persone che fuggono da Paesi dove conflitti e persecuzioni sono all’ordine del giorno: a inizio giugno la stragrande maggioranza dei migranti intrappolati nel campo di Moria 2.0 proveniva dall’Afghanistan (il 65%), dalla Repubblica Democratica del Congo (l’11%), dalla Somalia (l’8%), dalla Siria (l’8%) e dall’Iran.

 Donne incinte e bambini detenuti nei campi

Al loro arrivo negli hotspot delle isole, i migranti – molti dei quali in condizione di particolare vulnerabilità, come bambini, donne incinta, disabili – vengono di fatto posti in stato di detenzione senza accesso alle necessarie cure e tutele. Il sistema rende poi incredibilmente difficile l’esame delle cause che spingono i richiedenti asilo a lasciare i propri paesi di origine, spesso attraversati da guerre e persecuzioni. Le testimonianze raccolte da Grc nel campo di Moria sono ancora una volta terribili. Rawan (nome di fantasia) arrivata dall’Afghanistan in Grecia da sola con due figli minorenni, vittima di violenza di genere, ha dovuto vivere sotto una tenda per 6 mesi in una zona del campo sovraffollata dove non ci sono nemmeno i bagni.  “La situazione nel campo era già spaventosa, ma con la pandemia è diventato peggio. Se il virus arriva qui – ci dicevamo – scaveranno una gigantesca fossa in cui seppellirci. Ci hanno dato due mascherine e un pezzo di sapone, di cui non sappiamo che farcene visto che non c’è acqua. Alla distribuzione dei pasti c’era talmente tanta gente che era impossibile mantenere la distanza”.

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Mesi e anni in cui si rimane intrappolati in condizioni disumane nei campi come Moria, con il bene placet dell’Unione europea; esposti a molestie e abusi, soprattutto se si è donne sole. Questo è l’inferno di Lesbo. Proprio durante gli ultimi mesi di lockdown dovuti all’emergenza coronavirus, si è registrato un aumento di denunce di casi di stupro e violenze.

 “Ricordo una notte in cui degli uomini hanno iniziato a minacciare un gruppo di donne, sono entrati nelle loro tende e gli hanno preso i cellulari – racconta Barlin (nome di fantasia), rifugiata somala in uno dei campi – Una donna qui deve difendersi da sola ed è pericoloso anche solo usare i bagni perché non c’è polizia, nessuno che ti protegga. Molte delle giovani ragazze sono terrorizzate e soffrono di attacchi di panico. Hanno bisogno di essere soccorse, curate, ma nel campo non ci sono medici”.

La Grecia è firmataria della Convenzione europea sui rifugiati ed è quindi illegale rifiutarsi di accogliere una domanda d’asilo o rimpatriare dei richiedenti asilo in Paesi in cui corrono dei rischi. Secondo Eleni Takou, vicedirettore e responsabile della Ong HumanRights360, ogni giorno emergono testimonianze e vittime dei cosiddetti “push-back”, i respingimenti di migranti alla frontiera al di là del fiume Evros. 

Così stanno le cose. Storie di “pizzo”, di ricatti, di milioni di disperati utilizzati come “merce” di scambio – me li tengo se tu mi riempi di miliardi -. Storia di una Europa codarda, complice, ossessionata dalla falsa narrazione dell’”invasione” di migranti. Un’invasione che non c’è ma che i sovranisti agitano strumentalmente a fini elettorali e che le forze progressiste subiscono senza colpo ferire. Includere è un verbo inesistente nel vocabolario di Bruxelles. Mentre è presente, eccome, un imperativo categorico: esternalizzare. Esternalizzare le frontiere, a tutti i costi e ogni prezzo. Anche se questo vuol dire finanziare autocrati sanguinari, sultani, presidenti-generali, aguzzini in divisa. A Sud, l’Europa ha un unico interesse: sostenere i Gendarmi delle sue frontiere. Una complicità criminale.

 

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