Myanmar, a un anno dal golpe militare: 1.400 manifestanti uccisi, 11.000 persone arrestate
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Myanmar, a un anno dal golpe militare: 1.400 manifestanti uccisi, 11.000 persone arrestate

Amnesty international accusa: "A questi dati vanno aggiunti il caos, l'insicurezza economica e la crisi sanitaria che stanno mettendo in pericolo la vita di milioni di persone

Myanmar, a un anno dal golpe militare: 1.400 manifestanti uccisi, 11.000 persone arrestate
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27 Gennaio 2022 - 16.54


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Repressione nella ex Birmania, ora Myanmar.
In Myanmara dall’1 febbraio scorso oltre 1.400 manifestanti sono stati uccisi, 11.000 persone arrestate, più di 8.000 delle quali ancora in carcere, e l’ex leader del governo civile Aung San Suu Kyi condannata a sei anni per false accuse e a rischio di ulteriori 100 anni di reclusione. Molti dei suoi più stretti collaboratori – tra cui il deposto presidente Win Myint – sono stati a loro volta condannati.

A fornire il bilancio dei 12 mesi seguiti al colpo di stato militare dell’1 febbraio 2021 in Myanmar è Amnesty international. L’organizzazione in una nota riferisce che a questi dati vanno aggiunti il caos, l’insicurezza economica e la crisi sanitaria che stanno mettendo in pericolo la vita di milioni di persone. La recrudescenza dei conflitti tra l’esercito e i vari gruppi armati su base etnica ha costretto centinaia di migliaia di civili alla fuga. “I cinquantacinque milioni di abitanti di Myanmar non possono sopportare un ulteriore anno di silenzio e mancanza d’azione da parte di molti governi del mondo” ha dichiarato Ming Yu Hah, vicedirettore delle campagne sull’Asia di Amnesty International, che ha evidenziato l’urgenza di “agire per chiamare a rispondere le forze armate dei crimini commessi in quest’ultimo anno e interrompere le forniture di armi in loro favore”, che Yu Hah ha definito “provvedimenti più che necessari per scongiurare un altro anno di miseria e di morte”.

Il responsabile ha poi denunciato che “con l’approssimarsi dell’anniversario del colpo di stato, i militari di Myanmar hanno ripreso gli attacchi aerei indiscriminati nel sud-est del paese, bloccato l’afflusso di aiuti umanitari indispensabili a salvare vite umane e lanciato una sanguinosa campagna repressiva contro attivisti e giornalisti. Come in passato in occasione delle operazioni militari contro i rohingya, anche adesso il mondo sta a guardare”.

La nota si chiude con un appello del vicedirettore delle campagne sull’Asia di Amnesty: “Rinnoviamo la richiesta al Consiglio di sicurezza di imporre un embargo totale sulle armi dirette a Myanmar, applicare sanzioni mirate contro i capi delle forze armate e riferire urgentemente la situazione di Myanmar al Tribunale penale internazionale. Chiediamo inoltre alle aziende locali e straniere che sono in partenariato con le forze armate di Myanmar, o con imprese da queste possedute, di porre fine alla collaborazione e al flusso di entrate che i militari usano per compiere le loro operazioni mortali. All’Associazione delle nazioni del sudest asiatico (Asean) chiediamo, infine, un’azione comune per ottenere dei militari la fine del blocco degli aiuti umanitari”, ha concluso Ming Yu Hah. La Commissione di accertamento dei fatti istituita dalla Nazioni Unite ha chiesto che il generale Min Aung Hlaing ed ulteriori alti ufficiali delle forze armate siano posti sotto inchiesta per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio.

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