Dall'Arizona al Texas, il tour dell'odio di Donald Trump con obiettivo Casa Bianca
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Dall'Arizona al Texas, il tour dell'odio di Donald Trump con obiettivo Casa Bianca

Il golpista mancato: "Il nostro Paese è arrabbiato e vuole essere rispettato di nuovo. Insieme dobbiamo salvare l'America"

Dall'Arizona al Texas, il tour dell'odio di Donald Trump con obiettivo Casa Bianca
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Gennaio 2022 - 16.22


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Dopo l’Arizona, il Texas. Cambia lo Stato ma non il leitmotiv. Donald Trump vola in Texas, a Conroe, per un nuovo comizio, il secondo dell’anno. “Il nostro Paese è arrabbiato e vuole essere rispettato di nuovo. Insieme dobbiamo salvare l’America”, afferma l’ex presidente Usa.

“L’incompetenza di Joe Biden ci sta facendo rischiare una terza guerra mondiale”. “Quello che Putin e la Russia stanno facendo con l’Ucraina non sarebbe mai accaduto con me presidente. Sotto il mio sguardo l’America era rispettata, forse più rispettata che mai”, afferma Trump davanti ai suoi fan in giubilo. “E’ disdicevole e una disgrazia quello che è accaduto all’America nell’ultimo anno”, aggiunge il tycoon.

Biden il “traditore”

“Il nostro Paese sta morendo. Io sto cercando di salvare gli Stati Uniti: con me avremmo avuto un accordo con l’Iran una settimana dopo le elezioni e Putin non avrebbe mai mosso truppe vicino all’Ucraina”.

L’ex presidente torna a parlare di elezioni rubate, di sistema elettorale “corrotto. Siamo un paese del terzo mondo. Siamo a nove mesi dalle elezioni di medio termine e abbiamo bisogno di una vittoria a valanga in modo che i democratici non possano rubarci il risultato. Questo è l’anno che ci riprendiamo il Congresso. E nel 2024 ci riprendiamo la Casa Bianca”.

“Se dovessi correre e vincere, tratteremo in modo corretto e giusto” coloro che hanno partecipato all’assalto del 6 gennaio e sono stati condannati, “anche se questo volesse dire concedere la grazia”.

“Tutti a Washington sembrano ossessionati ciò che accade ai confini dell’Ucraina, ma per noi i confini più importanti al mondo sono quelli americani. Prima di inviare soldati” in Ucraina, “invii soldati al confine col Messico e fermare l’immigrazione. Solo lo scorso anno cinque milioni di persone hanno attraversato il confine” illegalmente. 

“Biden ha tradito Israele e ha presieduto alla catastrofe dell’Afghanistan. Con me invece abbiamo costruito la più grande economia al mondo e fronteggiato la Cina”, afferma Trump sottolineando che quando i repubblicani conquisteranno il Congresso saranno lanciate indagini nei confronti del presidente Usa e della sua famiglia: “La sua sarà indagata e esposta” agli occhi di tutti, dichiara il tycoon mettendo in evidenza che la sua amministrazione ha distrutto l’Isis e riportato le truppe Usa a casa.

Propositi vendicativi

“Nel 2022 mettiamo fine alla carriera politica di Nancy Pelosi una volta per tutte” e” strappiamo” la Camera ai democratici, afferma Trump, sottolineando che è arrivato il momento per gli americani di andare avanti e abbandonare tutte le restrizioni introdotte con il Covid-19. “E’ il momento di andare avanti, siamo con i camionisti canadesi che protestano”, mette in evidenza l’ex presidente Usa.

Un anno dopo, l’America si riscopre spaccata in due. Lo attestano anche alcuni sondaggi. Secondo una rilevazione del Washington Post, il 34% degli americani pensa che la violenza contro il governo a volte sia giustificata. La percentuale cambia a seconda della posizione politica, aumentando sino al 40% tra i repubblicani e scendendo al 23% tra i democratici. Una divisione confermata anche quando si tratta di giudicare la responsabilità di Trump nell’attacco al Capitol: per il 60% degli americani ha una “grande” o “buona” quota di colpa, ma se la percentuale sale tra i dem (92%) cala invece tra i repubblicani (27%) e gli indipendenti (57%). Per il 72% dei repubblicani e l’83% degli elettori del tycoon, inoltre, l’ex presidente ha solo “qualche responsabilità” o non ne ha “affatto”. Stando ad un sondaggio della Monmouth University, infine, quasi tre quarti dei repubblicani crede alle accuse (infondate) di Trump sui brogli elettorali, mentre secondo una rilevazione della Quinnipiac University quasi 8 su 10 vogliono che corra per la Casa Bianca nel 2024. 

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Tredici mesi dopo, gli americani restano preoccupati per la loro democrazia e quasi un terzo (il 28%) ritiene che l’uso della forza a volte possa essere giustificato per difendere le proprie idee e il risultato di un’elezione. Dal sondaggio di Cbs News pubblicato recentemente emerge che per i due terzi del campione intervistato l’attacco dei sostenitori di Donald Trump alla sede del Congresso il 6 gennaio di un anno fa è stato “un segno di crescente violenza politica” e la democrazia americana è ancor oggi “sotto minaccia”. 

Secondo il rapporto di Washington Post e Università del Maryland, invece, l'”orgoglio” degli americani per la loro democrazia, è sceso dal 90% del 2002 al 54%.

Nel dicembre scorso la Camera Usa ha votato, con 222 sì e 208 no, perché  Meadows, sia perseguito per mancata collaborazione con la commissione che indaga sull’assalto del 6 gennaio al Campidoglio. E’ la seconda volta che la commissione agisce per punire per oltraggio un testimone che ha sfidato un mandato di comparizione, come già accaduto per l’ex stratega di Donald Trump, Steve Bannon. “La storia sarà scritta su questi tempi, sul lavoro che questo comitato ha intrapreso”, ha detto il deputatoBennie Thompson, presidente della commissione, “e la storia non considererà nessuno di voi come un martire, come una vittima”. Il voto della Camera invia la questione al ministero dellaGiustizia, dove ora spetterà ai pubblici ministeri decidere se presentare il caso a un gran giurì per eventuali accuse penali. Se condannati, Bannon e Meadows rischiano ciascuno fino a un anno di carcere per ogni accusa. 

A tredici mesi di distanza si contano settecento persone incriminate. Di queste, seicento sono state accusate di violazione di zona riservata, reato per il quale sono previste una pena massima di un anno di carcere e una multa di 100 mila dollari. Per altri – chi era armato, chi aveva messo in conto di arrestare i rappresentanti del Congresso, chi pensava a un golpe – le accuse sono più gravi, e comportano pene tra dieci e vent’anni anni di carcere.

In trenta sono stati accusati di furto di proprietà del governo. In 75 sono stati accusati diaver usato armi potenzialmente letali contro i poliziotti, tra cui gas irritanti e un’ascia. Per 275 è scattata anche l’incriminazione per ostruzione e impedimento del normale processo di certificazione elettorale, di fatto hanno attentato alla vita democratica del Paese, reato che può portare a un massimo di vent’anni di carcere.

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Cinque si sono dichiarati colpevoli di “cospirazione”: sono membri di gruppi di estrema destra, quattro fanno parte degli “Oath Keepers”, uno dei “Proud Boys”. Più di cinquecento devono ancora essere processati, ma i casi più gravi verranno esaminati a partire da aprile, come quelli che riguardano i trenta veterani dei Marine che attaccarono i poliziotti. Tra loro, Thomas Webster, 54 anni, ex soldato e per vent’anni poliziotto del dipartimento di New York. Gli sono stati contestati sette reati. Rischia dieci anni. 

Robert Scott Palmer, un uomo della Florida che ha ammesso di aver aggredito un agente a colpi di estintore, a dicembre è stato condannato a cinque anni e tre mesi di carcere. E’ la pena più dura emessa finora.  

Ma a essere chiamati in causa sono anche le persone più vicine all’ex presidente. Come Ivanka Trump. La figlia di The Donald chiese al padre di intervenire per fermare l’assalto dei suoi sostenitori al Congresso. Lo dice la rappresentante repubblicana Liz Cheney, vicepresidente della commissione d’inchiesta sul ‘6 Gennaio’, che parla di “testimonianza di prima mano” a conferma del retroscena. 

“Noi sappiamo che la figlia – ha detto Cheney ad Abc News – intervenne almeno due volte per dirgli, ‘per favore, blocca questa violenza’. Abbiamo una testimonianza di prima mano”. Sarebbe stato solo uno dei molti appelli a intervenire rivolti a Trump durante le drammatiche ore dell’assedio a Capitol Hill.

Un anno dopo, rimangono indelebili nella memoria collettiva immagini che passeranno alla storia. Le immagini dei rivoltosi mascherati, che brandiscono armi, bandiere confederate e simboli suprematisti, che si fanno beffe delle forze di polizia mentre scalano i balconi, che devastano le scrivanie degli uffici, che umiliano i politici riuniti nell’aula, costretti ad accovacciarsi sotto le poltrone e a indossare maschere anti gas, che sfregiano il tempio della democrazia, fanno il giro del mondo.

A partire da quella della forca eretta davanti a Capitol Hill. “Hang Pence”, impicchiamo Pence, grida la folla rivolta al vicepresidente, accusato di non avere obbedito agli ordini di Trump permettendo la proclamazione di Biden.

L’immagine simbolo però resta quella dello “sciamano” Jake Angeli. Statunitense con un nome che suona italiano (ma quello vero è Jacob Chansley) finisce sulle copertine di tutto il mondo. Impossibile che passi inosservato per via delle corna e le pelli di bisonte che indossa: non nuovo a manifestazioni di protesta, appartenente all’organizzazione di estrema destra QAnon, si è dichiarato colpevole ed è stato condannato a 41 mesi di prigione.

Poi ci sono Adam Johnson che sorride e saluta portando via con sè il leggio di Nancy Pelosi e Richard Barnettcon i piedi sulla scrivania della speaker della Camera.

Resta il fatto che ad un anno dall’assalto dei suoi fan a Capitol Hill, in seguito al quale era dato per finito politicamente, The Donald è risorto dalle ceneri e può contare su un dominio incontrastato sui potenziali avversari repubblicani per il 2024. Almeno questa è la fotografia scattata da un sondaggio di Reuters e Ipsos, secondo cui il 54% degli elettori repubblicani sosterrà il tycoon alle prossime presidenziali, con un vantaggio di ben 43 punti sul secondo favorito, il governatore della Florida Ron De Santis, fermo all’11%. Seguono l’ex vice presidente Mike Pence, all’8%, e l’ex ambasciatrice all’Onu Nikki Haley, al 4%. 

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Documenti scottanti

Tra i documenti acquisiti dalla commissione del Congresso che indaga sull’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 c’è anche la una bozza di un ordine esecutivo con cui Donald Trump, dopo la sconfitta elettorale del novembre 2020, dava pieni poteri al Pentagono per sequestrare le macchine elettorali utilizzate per l’Election Day negli stati contestati. È uno dei documenti che i legali di Donald Trump hanno cercato di nascondere fino a ricorrere alla Corte Suprema. A riportarlo è il sito Politico.  L’ordine non è mai diventato effettivo e non è chiaro chi fosse stato l’autore del testo, datato 16 dicembre 2020, ma può essere fatto risalire alla strategia di negare la sconfitta, parlando di brogli inesistenti, orchestrata da Trump con i suoi consiglieri legali. Una delle più controverse consigliere dell’ex presidente, Sidney Powell, l’ex consigliere alla Sicurezza Michael Flynn, l’ex legale dell’amministrazione, Emily Newman, e l’ex amministratore delegato di Overstock.com, Patricky Byrne, avevano incontrato Trump nello Studio Ovale, alla Casa Bianca il 18 dicembre. In quella riunione, secondo l’agenzia Axios, Powell fece pressione su Trump perché sequestrasse le macchine elettorali.

Le bozze dell’esecutivo disegnerebbero uno scenario inquietante. Nelle settimane tra l’Election Day e quello dell’assalto a Capitol Hill, il 6 gennaio 2021, la situazione poteva diventare molto più caotica. L’ordine esecutivo avrebbe dato al segretario della Difesa il potere di “sequestrare, raccogliere e analizzare tutti i macchinari, l’equipaggiamento e le informazioni conservate elettronicamente”. Inoltre veniva assegnato al segretario alla Difesa un tempo di sessanta giorni per stilare un documento finale sulle elezioni. Un escamotage che sarebbe servito a Trump per restare al potere ben oltre la scadenza naturale, almeno fino a metà febbraio 2021. 

L’azione sarebbe stata giustificata dai poteri di emergenza che possono essere esercitati dal governo federale. Ad eseguire l’ordine, datato 15 dicembre 2020, sarebbe dovuto essere l’allora segretario alla Difesa Mark Esper e nel testo si parlava anche di “interferenze straniere e internazionali sul voto”, accusando la società di software elettorali Dominion di essere controllata da agenti, paesi e interessi stranieri”. Il decreto alla fine rimase lettera morta. I sospetti su chi abbia messo a punto la bozza ricadono soprattutto su uno dei componenti del team legale di Trump guidato da Rudolph Giuliani e che cercò in tutti i modi di dimostrare la teoria delle elezioni rubate: l’’avvocata Sidney Powell, nota per le sue posizioni cospirazioniste.

Posizioni che Trump ha fatto sue. E come lui, i suoi pasdaran.  Il tour dell’odio e della vendetta continua, Obiettivo finale: riconquistare la Casa Bianca.

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