Nell’epoca della “Terza guerra mondiale a pezzi” l’ultimo pezzo, l’Ucraina, minaccia ogni giorno di riunire i suoi tanti frammenti, spesso dimenticati perché lontani, per trasformarsi nella catastrofe finale per il pianeta. E nonostante l’aperta contrarietà dello stesso Papa Francesco, sembra che l’unica strada possibile dei governi occidentali sia quella di un gigantesco riarmo globale.
Il ventunesimo secolo rischia di mandare definitivamente in soffitta il pacifismo di quelle menti illuminate del ‘900, da Gandhi a Martin Luther King, ai nostrani Aldo Capitini, Danilo Dolci, Don Milani, Davide Maria Turoldo, don Tonino Bello e altri ancora. Li accomunava la consapevolezza che non con le armi si ottiene la pace, ma solo con lo sviluppo e la giustizia. Lottare contro le disuguaglianze e le povertà è il primo passo della strada verso la pace, mentre ogni guerra produce una falsa pace perché qualsiasi conflitto esaspera le differenze e fa crescere i nazionalismi e l’odio fra i popoli. E se pure i russi decidessero finalmente di fermare le loro armi dopo oltre un mese di distruzioni, quale pace sarà mai possibile, non solo fra russi e ucraini ma anche fra Russia e Occidente, finchè al Cremlino ci sarà Putin? Ricordate la lezione dell’ ex-Jugoslavia degli anni novanta? Finchè ha governato Slobodan Milosevic, la Serbia ha continuato a minacciare tutto ciò che la circondava e a trasformare prima bosniaci e croati, poi i kosovari, in profughi.
Qualcuno ancora mostra meraviglia per l’interesse dell’Occidente al conflitto ucraino, qualcuno si ostina a domandare polemicamente “come mai di Siria, Palestina, Afghanistan, Yemen e delle altre circa sessanta guerre in atto da anni non se ne parla quasi?” senza comprendere che l’Ucraina sembra essere la miccia perfetta per innescare un conflitto nucleare e definitivo per il pianeta. Poi ci sono i profughi e quelli ucraini ci sorprendono , quasi ci scandalizzano, forse perché eravamo piuttosto abituati al clichè del migrante che arriva da qualche remota contrada asiatica o africana, il profugo che consuma i suoi risparmi nel viaggio della speranza e che arriva stremato, magari dopo un naufragio e senza uno straccio addosso. Gli ucraini invece arrivano a volte col gatto o il cagnolino e questo fa quasi inorridire chi è troppo legato a quella stereotipata immagine del migrante. Forse le donne e i bambini ucraini toccano le nostre corde proprio perché così simili a noi, perché non sembrano nati nel lato sbagliato del mondo e per questo nei loro sguardi leggiamo tutta la nostra angoscia e paura di trasformarci anche noi, gente da divano più che da battaglia, in migranti.
Il secondo fattore che ci rende più sensibili alla tragedia ucraina è che per la prima volta vediamo quotidianamente sugli schermi il leader del popolo invaso appellarsi alla comunità internazionale. Se all’inizio dell’agosto 2021, col ritiro degli americani e l’avanzata dei talebani, il presidente afgano Ashraf Ghani fosse intervenuto “a reti unificate” nei parlamenti europei, forse avremmo avuto maggiore empatia per quel popolo, invece a settembre abbiamo già spento i riflettori su quel Paese, abbandonandolo al suo destino.
Ultimo fattore è che vediamo intimamente correlate alla guerra in Ucraina le nostre sempre più incredibili bollette energetiche, per non parlare dei carburanti e di tutta l’inflazione correlata.
Ma fra tutte le tragedie che porta ogni guerra, rischia di passare in secondo piano quella che resta la sfida finale e decisiva di questo secolo, ovvero la lotta contro i cambiamenti climatici. Una sfida messa anche questa in soffitta dalla crisi energetica e dalla cieca corsa al riarmo, compreso quello più terribile del nucleare. La mia generazione è cresciuta negli ultimi decenni del secolo scorso con la pallida chimera dell’equilibrio del terrore, russi e americani si dotavano di testate nucleari e chi voleva vedere il bicchiere mezzo pieno pensava che finchè ognuna delle due potenze fosse in grado di impaurire l’altra, quello del conflitto nucleare sarebbe rimasto solo uno spauracchio. La chiamavano “deterrenza del terrore”, un equilibrio che si basava sul timore reciproco e che sarebbe saltato solo se fosse impazzito uno di quelli in possesso dei codici nucleari. Ma il pazzerello oggi c’è e sembra avere il volto di Putin, il cui nome, Vladimir (lo stesso del presidente ucraino), pare derivi dall’unione di due parole, “vlasti” (governare) e “miru” (pace, mondo). Insomma, il nome Vladimir potrebbe significare “governatore della pace” oppure “governatore del mondo” e temo purtroppo che sia quest’ultimo l’obiettivo dello zar!
Crisi climatica e riarmo sono le due facce di una medaglia sempre più nera per la Terra. Il 2030 è sempre più vicino e potrebbe segnare il punto di non ritorno se non saremo capaci subito, non domani ma ora, di invertire la rotta che sta portando non solo allo scioglimento dei grandi ghiacciai e all’innalzamento dei mari, ma anche alla desertificazione di grandi territori . E per cambiare occorre che tutte le risorse, a partire da quelle accumulate da tutti i miliardari del pianeta (oligarchi russi compresi!), siano investite per salvare la terra, non certo per finanziare la costruzione di armi sempre più sofisticate e inquinanti.
Affinchè non si avveri quel triste presagio che faceva scrivere al pacifista padre David Maria Turoldo
“Ma il rame vale più dell’uomo / il petrolio vale più dell’uomo / il prestigio la potenza il sistema /valgono più dell’uomo./ Meglio che la terra ritorni deserta/ meglio che i fiumi scorrano liberi/nel verde intatto del mondo…”.