E poi ci sono quelli che hanno nostalgia di un mondo che non esiste più. Quel mondo era bipolare, si reggeva sull’equilibrio della minaccia nucleare, era diviso in zone di influenza, tracciate dai grandi della Terra, quando il collasso dei fascismi era prossimo. In quel mondo i popoli europei non potevano scegliere, i confini erano quelli che le armi e gli eserciti avevano stabilito, e nessuno poteva cambiare la propria sfera di appartenenza. Lo hanno imparato sulla loro pelle gli ungheresi nel 1956 e i cecoslovacchi nel 1968, quando hanno visto le loro speranze di un futuro autonomo e indipendente dall’Impero sovietico, brutalmente annichilite dai carri armati del Patto di Varsavia.
E quelli che hanno nostalgia di quel mondo continuano a guardare sempre nella stessa direzione ogni volta che devono ricercare le cause del conflitto esploso in Ucraina. Per questi analisti la Storia si è fermata prima del 1989 e tutto quello che è accaduto negli ultimi trent’anni è irrilevante. Putin, a loro giudizio, considera l’Ucraina un territorio russo e dunque bisogna accontentarlo, perché in fondo l’espansionismo della Nato li ha impauriti e li ha costretti a intervenire per proteggere i loro confini, il loro spazio vitale, in nome di un panslavismo che era anacronistico già nella seconda metà dell’800 e che insieme al pangermanesimo è stato una delle cause della Prima guerra mondiale.
Siamo ancora lì ci chiediamo? Siamo ancora alla politica delle corazzate, edificata sul disprezzo della volontà delle nazioni e dei popoli sovrani?
Diamo a Putin quello che chiede, si dice, come se un paese, un popolo fossero una carta di scambio, anime morte che si possono assegnare, dare o togliere al potente di turno. Era quello che forse aveva in mente il nuovo zar di tutte le Russie: lo aveva anche scritto in un saggio del 2021, l’Ucraina come stato indipendente non ha alcuna legittimità, russi e ucraini sono un unico popolo, hanno un unico destino, l’esistenza di una Ucraina indipendente è una minaccia per la Russia e l’obiettivo è rimuovere il governo e sostituirlo con un altro più favorevole alla Santa Madre Russia. Il progetto era chiaro fin dall’estate scorsa e si deve dedurre che dal luglio 2021, quando è stato pubblicato il saggio di Putin, le mire russe fossero ampiamente definite, esattamente come la decisione di invadere e di iniziare questa assurda guerra.
Però qualcuno insiste. Si deve dare a Putin ciò che vuole.
Se fossimo ancora in piena guerra fredda la resistenza sarebbe stata ampiamente soffocata, e il popolo ucraino sarebbe stato ricondotto alla logica delle superpotenze, ma a differenza di quello che pensano molti, troppi analisti, il mondo è cambiato e pur nelle sue infinite contraddizioni il corso della Storia europea vira in tutt’altra direzione. È accaduto infatti che non è stata la Nato a intralciare il piano di colonizzazione russa dell’Ucraina ma la popolazione stessa, che ha organizzato una resistenza, lo scriviamo con la erre minuscola per non turbale nessuno, imprevedibile e inaspettata, per la semplice ragione che non aveva alcun desiderio di accettare passivamente un atto violento e contrario a tutte le norme del diritto internazionale. Capisco che la volontà di autogovernarsi e di vivere liberamente nel proprio paese sia un concetto difficile da comprendere per alcuni, ma ci si deve rassegnare all’evidenza dei fatti. Gli ucraini non desiderano diventare una colonia russa e non hanno alcuna intenzione farsi stritolare dall’abbraccio fraterno di Putin.
Perché? Ecco una buona domanda. Perché tanto accanimento nel contrastare il progetto di Putin? Scire per causas, diceva Aristotele, cerchiamo le cause e magari comprenderemo anche perché non sia realistica la soluzione di accontentare la brama espansionistica della Russia.
Cominciamo da una parola che non esisteva e che è stata inventata dagli ucraini per descrivere uno dei peggiori crimini di Stalin, Holodomor, che significa letteralmente sterminio per fame e che negli anni ‘32-’33 causò la morte di circa quattro milioni di contadini ucraini, i kulaki, costretti a cedere le loro terre e i raccolti ai kolchoz, le fattorie di Stato sovietiche. Nella concezione staliniana l’Ucraina, il granaio dell’Urss, doveva essere sfruttata, e chiunque si fosse opposto veniva trattato come un nemico, e come tale ucciso. Gli ucraini erano così antirussi che, quando nel 1941 la Wehrmacht occupò il Paese, accolsero i tedeschi come liberatori, salvo rendersi conto che erano persino peggiori dei comunisti di Stalin. Quando l’Urss si dissolve, nel mese di dicembre del 1991 l’Ucraina si rende indipendente con un referendum che approva l’atto di indipendenza del parlamento ucraino con il 90% dei voti favorevoli. Da quel momento i rapporti fra Ucraina e Russia si sono logorati, anche per il tentativo russo di condizionare la vita politica del nuovo Stato, fino alla rivoluzione arancione del 2005 che vide l’elezione del Presidente Jushenko, che ha avvicinato l’Ucraina alla Comunità europea e alla Nato. Gli ultimi quindici anni sono stati segnati da una profonda instabilità politica dell’Ucraina e da due eventi che sono stati colpevolmente sottovalutati dai paesi europei, come l’annessione della Crimea e il riconoscimento della Repubblica Popolare di Doneck nel 2014 da parte della Russia. L’annessione della Crimea alla Russia è stata poi formalizzata con un referendum che l’Onu non ha ritenuto valido, mentre il Presidente della neonata Repubblica di Doneck ha dichiarato la futura annessione alla Russia. Un altro momento chiave della storia recente ucraina è stato il movimento chiamato Euromaidan, nato nel 2013, che ha portato alla messa in stato d’accusa del Presidente filorusso Yanukovich, che aveva bloccato un accordo commerciale con l’Unione Europea.
Questi pochi cenni alla storia recente dell’Ucraina sono sufficienti per comprendere le ragioni della volontà del popolo ucraino di non capitolare di fronte alle pretese imperialistiche della Russia e del desiderio della stragrande maggioranza degli ucraini di essere accolti nella Comunità Europea. Agli occhi del Presidente Putin questa aspirazione è del tutto illegittima, dal momento che egli considera l’Ucraina parte integrante della Grande Russia che ha in mente.
Appare chiaro che l’opposizione degli ucraini all’invasione delle forze armate russe è una rivolta. Gli ucraini sono un popolo in rivolta, e come scriveva Albert Camus, in un saggio degli anni ‘50, la rivolta esplode quando è stato superato un limite, e lo schiavo rialza la testa e dice No. Mi rivolto dunque siamo, e gli ucraini lo testimoniano da più di un mese. Mi rivolto dunque siamo, è l’atto di una consapevolezza collettiva che non soltanto si oppone al sopruso, ma nel moto di rivolta dichiara che ci sono valori come la dignità, la libertà, la giustizia per i quali si deve essere disposti a combattere con tutte le risorse che le nostre povere vite ci permettono. Per questo la rivolta degli ucraini è l’occasione per un risveglio delle indolenti coscienze europee, chiamate nuovamente a riscoprire il senso della propria differenza dal mondo autocratico di Putin e del suo gruppo dirigente, che vorrebbe restaurare un’idea di società patriarcale, confessionale e antidemocratica, basata sui concetti di Patria, Famiglia e Religione che appartengono al repertorio dei relitti della Storia.