Non bastava la vergogna dell’esternalizzazione delle frontiere. Non era sufficiente il reiterare accordi scellerati, quanto a dispregio dei più elementari diritti umani, come quello con la Turchia di Erdogan. Per non parlare, vero presidente Draghi, del rifinanziamento da parte italiana di quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica. E ancora: i respingimenti di migranti ai confini tra la Bielorussia e la Polonia, la discriminazione tra rifugiati di serie A, gli ucraini, e quelli di serie Z, tutti gli altri.
Europa, ennesima vergogna
Non è bastato tutto questo. Ora il libro delle vergogne europee e occidentali in tema di migranti si arricchisce di un altro capitolo: quello dell’esternalizzazione degli obblighi di asilo. Apripista il Regno Unito.
La denuncia dell’Unhcr
“A seguito di annunci pubblici fatti ieri, l’Unhcr, Agenzia ONU per i Rifugiati, ha espresso forte opposizione e preoccupazione per i piani del Regno Unito di esternalizzare i suoi obblighi di asilo e ha esortato il paese ad astenersi dal trasferire richiedenti asilo e rifugiati in Rwanda per l’esame delle richieste di asilo.
“L’Unhcr rimane fermamente contraria ad accordi che cercano di trasferire rifugiati e richiedenti asilo in paesi terzi, in assenza di salvaguardie e standard sufficienti. Tali accordi non fanno altro che spostare le responsabilità riguardanti l’asilo, eludono gli obblighi internazionali e sono contrari alla lettera e allo spirito della Convenzione sui Rifugiati”, ha detto Gillian Triggs, Assistente Alto Commissario dell’Unhcr per la Protezione.
“Le persone che fuggono da guerre, conflitti e persecuzioni meritano compassione ed empatia. Non dovrebbero essere scambiate come merci e trasferite all’estero per l’esame della loro richiesta di asilo”. L’Unhcr ha esortato entrambi i paesi a ripensare i piani. Ha anche avvertito che invece di dissuadere i rifugiati dal ricorrere a viaggi pericolosi, questi accordi di esternalizzazione non faranno altro che aumentare i rischi, inducendo i rifugiati a cercare canali alternativi, ed esacerbare le pressioni sugli stati in prima linea. Sebbene il Rwanda abbia generosamente fornito un rifugio sicuro ai rifugiati in fuga da conflitti e persecuzioni per decenni, la maggior parte vive in campi con un accesso limitato alle opportunità economiche. L’Unhcr ritiene che le nazioni più ricche debbano mostrare solidarietà nel sostenere il Rwanda e i rifugiati che già ospita, e non il contrario.
Il Regno Unito ha l’obbligo di garantire l’accesso all’asilo a coloro che cercano protezione. Le persone a cui viene riconosciuto lo status di rifugiato possono essere integrate, mentre coloro che non hanno bisogni di protezione internazionale e non hanno altre basi legali per rimanere nel paese, possono essere rimpatriati in sicurezza e dignità nel loro paese d’origine.
Il Regno Unito, invece, sta adottando provvedimenti che abdicano la responsabilità ad altri e quindi minacciano il regime internazionale di protezione dei rifugiati, il quale ha resistito alla prova del tempo e ha salvato milioni di vite nel corso di decenni.
Il Regno Unito ha sostenuto il lavoro dell’Unhcr molte volte in passato, e sta fornendo importanti contributi che aiutano a proteggere i rifugiati e a sostenere paesi in conflitto come l’Ucraina. Tuttavia, il sostegno finanziario all’estero per alcune crisi di rifugiati non può sostituire la responsabilità degli stati e l’obbligo di ricevere i richiedenti asilo e proteggere i rifugiati sul proprio territorio – indipendentemente dalla razza, dalla nazionalità e dal canale di ingresso.
Mentre l’Unhcr riconosce le sfide poste dalle migrazioni forzate, i paesi sviluppati ospitano solo una frazione dei rifugiati globali e sono ben equipaggiati per gestire le richieste di asilo in modo umano, equo ed efficiente”.
Fin qui il comunicato dell’Unhcr.
Un Rapporto illuminante
Il supporto che l’Unione europea ha accordato a regimi che commettono abusi per tenere i migranti e i richiedenti asilo lontani dalle sue frontiere nel corso del 2021 è la prova dell’enorme distanza fra la retorica comunitaria sui diritti umani e la pratica, afferma Human Rights Watch nel rapporto annuale 2022. Gli esempi più lampanti sono la militarizzazione e l’emergenza umanitaria al confine tra la Bielorussia e la Polonia, e i respingimenti in atto sulle altre frontiere esterne dell’UE.
“In più di un’occasione abbiamo visto che l’impegno dell’Unione europea sui diritti umani tende a vacillare quando il gioco si fa duro” afferma Benjamin Ward vice direttore per l’Europa e l’Asia Centrale di Human Rights Watch. “In un momento in cui le persone soffrono e vedono i loro diritti minacciati dentro e fuori dal territorio comunitario, abbiamo bisogno di una Unione europea disposta a schierarsi in loro difesa”.
Nelle 752 pagine del rapporto annuale, giunto alla sua 32a edizione, Human Rights Watch analizza la situazione dei diritti umani in quasi 100 paesi. Il direttore esecutivo Kenneth Roth propone una visione alternativa alla tesi diffusa secondo cui le autocrazie sarebbero in ascesa.
Di recente, in un paese dopo l’altro, tantissime persone sono scese in piazza anche a rischio di essere arrestate o ferite con armi da fuoco, a dimostrazione che la voglia di democrazia è sempre forte. Al contempo, gli autocrati hanno sempre più difficoltà a manipolare le elezioni a loro favore. Tuttavia, ai leader democratici spetta il compito di dimostrarsi all’altezza delle sfide nazionali e globali e di garantire che la democrazia mantenga le sue promesse.
Human Rights Watch ha evidenziato le criticità diffuse che riguardano immigrazione e asilo, discriminazione e intolleranza, povertà e disuguaglianza, stato di diritto e politica estera comunitaria. Il rapporto contiene capitoli specifici su Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Polonia e Spagna, e su altri paesi del continente che non fanno parte dell’Unione come Bosnia Erzegovina, Serbia, Kosovo e Regno.
Nel corso dell’anno, il rispetto dello stato di diritto è stato messo in discussione in diversi paesi membri. La Polonia e l’Ungheria sono finite più volte sotto la lente di ingrandimento a causa degli attacchi mossi ai diritti delle persone LGBT, all’indipendenza della magistratura e alla libertà di stampa, ai diritti delle donne e a determinati gruppi della società civile, come i difensori dei diritti delle donne. La situazione in entrambi i paesi ha provocato reazioni forti da parte di alcune istituzioni europee, tra cui spiccano le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione.
Ma se la retorica degli stati membri è stata ferma nel condannare questi attacchi allo stato di diritto e alle istituzioni democratiche, sono mancate le azioni concrete previste dalla procedura dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea, così come l’attivazione di sistemi per condizionare l’invio di fondi al rispetto dei principi dell’UE.
Gli stati membri hanno fatto pochi passi avanti nello sviluppo di politiche migratorie basate sui diritti umani e nell’equa condivisione delle responsabilità sui migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati, mostrando segnali di intesa solo sulla chiusura e l’esternalizzazione delle frontiere a scapito dei diritti umani. Inoltre, pur avendo evacuato migliaia di cittadini afghani da Kabul nel mese di agosto, hanno offerto un numero di posti per il reinsediamento di rifugiati afghani inferiore al bisogno e hanno continuato a collaborare con paesi come la Libia, nonostante i gravi e dimostrati abusi contro i migranti e i rifugiati. Frontex, l’Agenzia europea per la gestione delle frontiere, respinge le accuse mosse nei suoi confronti e rifiuta di aprire le dovute indagini, ignorando le prove sempre più numerose degli abusi commessi ai confini dell’UE.
Croazia, Grecia, Cipro, Ungheria, Slovenia, Spagna, Lituania, Lettonia e Polonia hanno praticato dei respingimenti, gli ultimi tre paesi hanno anche modificato la propria legislazione per dare una copertura legale a queste pratiche illecite. La Danimarca ha adottato una legge che consente di trasportare i richiedenti asilo in un paese terzo per l’esame delle loro richieste e ha creato un pericoloso precedente eliminando la “protezione temporanea” per le persone provenienti da Damasco e dalla regione circostante. Le autorità francesi hanno sottoposto i migranti al confine con il Regno Unito a trattamenti degradanti, in una maldestra strategia politica per scoraggiare gli arrivi nel nord del paese. I gruppi che difendono i diritti dei migranti e dei rifugiati in Grecia, Italia e Cipro, fra gli altri, si sono dovuti confrontare con un ambiente ostile che talvolta è sfociato in azioni legali.
Le risposte degli stati al razzismo, alla violenza e alla discriminazione verso le donne, le minoranze etniche e religiose, le persone LGBT e con disabilità, si sono spesso rivelate inadeguate e, in qualche caso, hanno persino aggravato le violazioni dei diritti. La pandemia ha esacerbato i crimini d’odio e le discriminazioni, ad esempio, online sono aumentati i discorsi d’incitamento all’odio verso determinati gruppi sociali. L’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali e il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa hanno chiesto agli stati membri di attivarsi per eliminare le discriminazioni strutturali, come la profilazione etnica da parte della polizia. Un’iniziativa positiva è stata invece intrapresa dalla Commissione europea, che ha presentato una nuova strategia sui diritti delle persone con disabilità valida fino al 2030.
Il Covid-19 ha inasprito le disuguaglianze e la povertà sul territorio europeo, nonostante gli ingenti fondi messi a disposizione dall’UE per contrastare l’esclusione sociale e adottare misure di mitigazione nei singoli stati. Le stime ufficiali indicano che circa un quinto della popolazione europea è a rischio di indigenza o esclusione sociale. Il ricorso ai banchi alimentari e la povertà infantile sono aumentati, mentre le azioni per compensare il rincaro dell’energia si sono dimostrate insufficienti. Le persone rom continuano a essere esposte a un altissimo rischio di povertà ed esclusione sociale.
Fin qui il Rapporto di Hrw.
Alla ricerca di nuovi Erdogan
Di grande interesse è l’inchiesta per Via a firma di Rabia Mehmood e Ottavia Spaggiari.
Scrivono tra l’altro le autrici: “Non più solo Turchia e Libia, potrebbe essere il Pakistan il nuovo alleato di Bruxelles nell’esternalizzazione delle frontiere.
Lo scorso agosto, mentre i talebani conquistavano Kabul, le truppe Nato lasciavano l’Afghanistan e il Paese piombava in quella che è stata definita l’emergenza umanitaria più grave al mondo, per l’Europa si stava profilando una nuova inaspettata intesa politica.
In quei giorni concitati, il governo pakistano aveva aiutato ad evacuare centinaia di funzionari europei e migliaia di afghani che avevano lavorato per gli Stati Uniti.
“Complimenti alle autorità pakistane per la collaborazione straordinaria,” aveva twittato l’ambasciatore tedesco in Pakistan, affermando che, senza l’aiuto di Islamabad, le evacuazioni non sarebbero state possibili. Il primo ministro pakistano, Imran Khan, aveva ricevuto chiamata di ringraziamento anche da parte del presidente del Consiglio Europeo e, dopo anni di relazioni tese, in appena una settimana, i ministri degli esteri di Germania, Gran Bretagna e Olanda avevano visitato la capitale del Pakistan, promettendo ricompense per l’impegno nella crisi umanitaria afghana.
L’improvviso disgelo dei rapporti era stato così repentino e clamoroso che, il giornalista Saim Saeed, sul quotidiano americano Politico, aveva definito il Pakistan, “Il nuovo inaspettato migliore amico dell’Europa,” sostenendo però che l’aiuto nell’evacuazione non fosse l’unica ragione della ritrovata armonia tra Islamabad e Bruxelles, arrivata dopo anni di freddezza. Secondo Saeed e diversi analisti, già dallo scorso agosto, l’Europa aveva individuato nel governo pakistano un’altra potenzialità: il Pakistan rappresentava un nuovo potenziale alleato chiave dell’UE nelle politiche di esternalizzazione delle frontiere e nel contenimento dei rifugiati afghani diretti in Europa.
Per Jeff Crisp, ricercatore al Centro di Studi per i Rifugiati dell’Università di Oxford, la strategia europea era chiara. L’emergenza Afghanistan riportava alla memoria la crisi siriana e l’ingresso in Europa, di oltre 1milione di rifugiati nel 2015. “All’epoca, l’UE era stata presa letteralmente alla sprovvista dall’arrivo di così tanti rifugiati,” ha dichiarato Crisp ad al-Jazeera.
“Con la presa dei Talebani, la priorità per l’Europa è di evitare che si ripeta lo stesso scenario.”
È così che, il 31 agosto, mentre migliaia di profughi afghani cercavano disperatamente di entrare nell’aeroporto di Kabul e salire su un aereo che li avrebbe portati in salvo, i ministri dell’Interno dell’Unione Europea si incontravano in una riunione straordinaria del Consiglio. All’ordine del giorno, la possibilità di resettlement futuri e, soprattutto, l’intenzione di sostenere nel rafforzamento delle frontiere, non solo l’Afghanistan, ma anche i Paesi confinanti e quelli che avrebbero affrontato un’eventuale nuova crisi rifugiati. Poche settimane dopo, la presidente della Commissione Europea annunciava lo stanziamento di un pacchetto da 1 miliardo di euro 1 miliardo di euro per l’Afghanistan e le nazioni limitrofe. “I vicini diretti dell’Afghanistan sono stati i primi ad offrire sicurezza agli afghani in fuga,” si legge nel comunicato della Commissione, “Ecco perché a questi Paesi verranno destinati fondi aggiuntivi nella gestione delle frontiere”.
Il linguaggio ricorda gli assai controversi accordi con Turchia e Libia. Non è la prima volta, infatti, che l’Unione Europea premia lautamente un Paese terzo per allontanare i flussi migratori, a scapito del diritto internazionale e dei diritti umani. È del 2016 il patto da 6 miliardi di Euro con la Turchia per fermare le partenze dalle coste turche di richiedenti asilo, in gran parte siriani. Dal 2017, invece, l’UE ha versato circa 57 milioni di euro alle autorità libiche per frenare gli sbarchi dalla Libia, ignorando gli appelli umanitari e, addirittura, il fatto che, in Libia, i migranti siano detenuti in centri di detenzione dove, secondo le Nazioni Unite, vengono commessi “crimini contro l’umanità”, rimarcano ancora Mehmood e Spaggiari.
Ora, è la nostra conclusione, una Europa che si comporta in questo modo, che reitera politiche respingenti, che esternalizza frontiere e obblighi d’asilo, una Europa siffatta è degna dei valori fondanti dell’Unione? La domanda è retorica. La risposta, secca è: No.