Shireen Abu Akleh: in Palestina anche un funerale diventa per Israele un campo di battaglia
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Shireen Abu Akleh: in Palestina anche un funerale diventa per Israele un campo di battaglia

La brutale condotta della polizia israeliana ai funerali della reporter di al Jazeera, hanno smosso anche l’amministrazione Usa e sollevato l’indignazione di importanti congressisti.

Shireen Abu Akleh: in Palestina anche un funerale diventa per Israele un campo di battaglia
Carica della polizia ai funerali di Shireen Abu Akleh
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

14 Maggio 2022 - 13.36


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L’uccisione di Shireen Abu Akleh e la brutale condotta della polizia israeliana ai funerali della reporter di al Jazeera, hanno smosso anche l’amministrazione Usa e sollevato l’indignazione di importanti congressisti.

L’irritazione del presidente

A darne conto è il corrispondente di Haaretz da Washington, Ben Samuels.

Scrive Samuels: “Venerdì l’amministrazione Biden ha lanciato forse il più duro rimprovero pubblico a Israele per le scene di violenza della polizia israeliana al funerale della giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh, uccisa all’inizio della settimana mentre copriva un raid militare israeliano nella città cisgiordana di Jenin. Le riprese televisive del corteo funebre hanno mostrato le forze israeliane usare granate stordenti sulla folla nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, e colpire con dei bastoni i fedeli che trasportavano il feretro della defunta giornalista di al Jazeera. Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato che gli Stati Uniti sono “profondamente turbati dalle immagini della polizia israeliana che si intromette nel corteo funebre della palestinese americana Shireen Abu Akleh”, aggiungendo che “ogni famiglia merita di deporre i propri cari in modo dignitoso e senza ostacoli”.Il rimprovero di Blinken è arrivato poco dopo che il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato: “Non conosco tutti i dettagli, ma so che bisogna indagare” quando gli è stato chiesto dell’azione delle forze israeliane al funerale. L’addetta stampa della Casa Bianca Jen Psaki, che ha definito le immagini “profondamente inquietanti”, ha affermato che “questo è un giorno in cui dovremmo tutti celebrare, compresi tutti coloro che si trovano lì, la memoria di una straordinaria giornalista che ha perso la vita”.

Psaki ha dichiarato che gli Stati Uniti “si rammaricano per l’intrusione in quella che avrebbe dovuto essere una processione pacifica”, aggiungendo di aver “sollecitato il rispetto per il corteo funebre, i partecipanti al lutto e la famiglia in questo momento delicato”.

Ha aggiunto che gli Stati Uniti rimangono in stretto contatto con le autorità israeliane e palestinesi e stanno lavorando per fornire assistenza e cooperazione, “soprattutto alla luce delle immagini che abbiamo visto oggi”, anche se al momento non sono coinvolti in alcuna indagine. Il senatore Chris Murphy, il democratico del Connecticut che presiede la sottocommissione del Senato che si occupa del Medio Oriente, ha descritto le scene come “terribili da guardare”, aggiungendo che il suo team sta “lavorando per ottenere risposte su ciò che è accaduto qui”.

Alcune ore dopo, Murphy ha dichiarato: “Non ho sentito alcuna spiegazione credibile sul perché sia stato usato un tale livello di forza su questi lutti. Quello che è successo è inaccettabile”.

l senatore Chris Van Hollen ha fatto eco ai commenti di Murphy, affermando che la violenza “aggiunge semplicemente un trauma a una tragedia”. Il democratico del Maryland ha chiesto “l’immediata assunzione di responsabilità per questi attacchi alle persone che piangono la morte di Abu Akleh”, ribadendo l’appello già lanciato in precedenza a consegnare il suo assassino alla giustizia.

Il senatore Bernie Sanders ha chiesto che gli Stati Uniti condannino le azioni di Israele, affermando che “l’attacco delle forze israeliane contro i partecipanti al funerale della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh è un oltraggio”.

La senatrice Elizabeth Warren ha definito “profondamente inquietanti” sia l’uccisione di Abu Akleh che gli attacchi delle forze israeliane contro i partecipanti al funerale, chiedendo un’indagine indipendente completa.

La deputata Sara Jacobs ha definito gli eventi “orribili e imperdonabili”, chiedendo un’indagine completa sia sulla violenza al funerale che sulla morte di Abu Akleh.

“La diretta degli agenti israeliani che attaccano i partecipanti al funerale di Shireen Abu Akleh, facendo quasi cadere la bara a terra, mi ha profondamente turbato”, ha dichiarato il deputato Andy Levin. “Cosa può giustificare questo?”.

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“Nessuno dovrebbe essere attaccato mentre è in lutto. Non ci sono scuse”, ha detto il deputato Jamaal Bowman, che l’ha definito un “esempio lampante del trattamento disumano dei palestinesi che vivono sotto occupazione”.

Ha inoltre chiesto un’indagine completa e indipendente sull'”omicidio di Abu Akleh e su questa abominevole violenza da parte della polizia israeliana”.

L’ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite Linda Thomas-Greenfield si è detta “profondamente addolorata” dalle immagini del funerale, aggiungendo che “la tragedia della sua uccisione dovrebbe essere gestita con il massimo rispetto, sobrietà e cura”.

La deputata Rashida Tlaib ha descritto le scene come “nauseanti” e di “violento razzismo, permesso da 3,8 miliardi di dollari di fondi militari statunitensi incondizionati”. La democratica palestinese-americana del Michigan ha aggiunto che “per il governo israeliano dell’apartheid, la vita di Shireen non contava – e la sua disumanizzazione continua dopo la morte”, chiedendo direttamente al Dipartimento di Stato se “condanna questo orrore o se essere palestinese ti rende meno americano? Questo è semplicemente crudele”.

Tlaib è uno dei quattro legislatori statunitensi che hanno pubblicamente chiamato in causa Israele per l’uccisione di Abu Akleh. Almeno altri otto democratici alla Camera e tre al Senato si sono uniti alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato per sollecitare un’indagine approfondita e l’accertamento delle responsabilità, pur non accusando Israele di averla uccisa”.

Fin qui Samuels.

Indagare su se stessi? Non va bene

Lo rimarca l’editoriale del quotidiano progressista di Tel Aviv: 

“La morte della giornalista Shireen Abu Akleh richiede un’indagine autentica e completa, senza insabbiamenti, che mostri al mondo cosa è realmente accaduto mercoledì nei vicoli di Jenin. Affinché la verità venga alla luce, dobbiamo assicurarci che investigatori indipendenti, credibili e rispettati indaghino a fondo su questo tragico incidente. Questi investigatori devono essere completamente distaccati dalle forze di combattimento, visti gli interrogativi sulla loro condotta a Jenin e sulla possibilità che abbiano sparato ad Abu Akleh.

Ma anche in questa fase ci si può chiedere se le Forze di Difesa Israeliane vogliano davvero che la verità venga alla luce o preferiscano occuparsi prima dei propri. Poco dopo la sparatoria, il Capo di Stato Maggiore Aviv Kochavi ha annunciato che l’Idf aveva istituito una task force speciale “per arrivare alla verità, chiarire tutti i fatti e presentarli il prima possibile”. Ma poi ha detto che la task force sarebbe stata guidata nientemeno che dal col. Meni Liberty, capo dell’89ª Brigata “Oz” – nota anche come Brigata Commando – a cui è subordinata l’unità d’élite antiterrorismo Duvdevan, i cui soldati potrebbero essere stati responsabili della sparatoria mortale.

Come ci si può aspettare che qualcuno – israeliani, palestinesi o persone di qualsiasi altro Paese – dia credito a un’indagine condotta da qualcuno che interroga i suoi stessi subordinati? C’è un conflitto di interessi intrinseco: Il comandante dell’incidente è colui che determinerà se i suoi soldati hanno agito correttamente. Senza contare che Liberty è un ufficiale dell’esercito, non un investigatore esperto. Cosa ne sa di campi come la balistica forense? Questa nomina rafforza ciò che il Ministro degli Affari della Diaspora Nachman Shai ha detto giovedì: “La credibilità di Israele non è il massimo in incidenti come questi, lo sappiamo”. Shai ha semplicemente detto l’amara verità: non ci si può fidare che l’Idf indaghi da sola su un incidente per il quale è sotto una pesante ombra. E va da sé che se i palestinesi avessero condotto un’indagine del genere, Israele avrebbe deriso i risultati “predeterminati”.

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Per chiarire le circostanze della morte di Abu Akleh sarà necessaria un’indagine con un coinvolgimento internazionale approfondito e su larga scala. Non si deve permettere che la “battaglia per la narrazione” sconfigga la battaglia per la verità. Israele deve a se stesso e al mondo una risposta chiara e onesta a ciò che è accaduto a Jenin: come e perché Shireen Abu Akleh è stata uccisa?”, conclude Haaretz.

Escalation di violenza

A documentarla è Amnesty International. In un comunicato, AI

ha dichiarato o che le autorità israeliane devono porre fine alle uccisioni illegali, ai ferimenti gravi e alle punizioni collettive nei confronti dei palestinesi, molti dei quali minorenni.

L’ultimo episodio ha avuto per vittima la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, colpita da un proiettile al capo l’11 maggio mentre stava seguendo un’incursione dell’esercito israeliano nella città di Jenin.

Molti palestinesi sono stati uccisi o feriti a causa dell’uso eccessivo della forza da parte dei militari israeliani durante le proteste o nel corso di perquisizioni e raid. In alcuni casi le uccisioni sono avvenute con modalità equivalenti a esecuzioni extragiudiziali, che sono un crimine di diritto internazionale.

L’uccisione di Shireen Abu Akleh, una giornalista di lungo corso, è un sanguinoso monito del sistema mortale con cui Israele circonda i palestinesi, che vengono impunemente uccisi ovunque. Quanti altri di loro dovranno essere uccisi prima che la comunità internazionale chiami Israele a rispondere di questi continui crimini contro l’umanità?”, ha commentato Saleh Higazi, vicedirettore di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

La violenza ha conosciuto un’escalation dal 21 giugno 2021, giorno dell’insediamento del primo ministro israeliano Naftali Bennett. Marzo e aprile del 2022 sono stati i mesi col più alto numero di palestinesi e israeliani uccisi in un contesto diverso dal conflitto armato: mai dal 2008 c’era stato un bimestre così sanguinoso.

Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari e i dati di Amnesty International, dal 21 giugno 2021 all’11 maggio 2022 le forze israeliane hanno ucciso almeno 79 palestinesi, tra i quali 14 minorenni, nei Territori palestinesi occupati. Solo nel marzo 2022, le forze israeliane hanno ucciso 12 palestinesi, tra i quali tre minorenni. Un altro palestinese è stato ucciso da un colono israeliano.

Nell’aprile 2022, le forze israeliane hanno ucciso almeno 22 palestinesi, tra i quali tre minorenni. In diversi attacchi da parte di uomini armati palestinesi all’interno di Israele, dal 22 marzo 2022 sono stati uccisi 18 israeliani.

Questo preoccupante aumento delle violazioni dei diritti umani avviene mentre le autorità israeliane stanno minacciando ulteriori violenze nei confronti dei palestinesi. Il primo ministro Bennett, oltre ad aver dato l’ordine di sparare a palestinesi il cui operato non costituisce un’immediata minaccia, ha più volte fatto dichiarazioni che incitano alla violenza e incoraggiano l’uso illegale della forza. Altri esponenti politici hanno apertamente incitato alla violenza, evidenziando fino a che punto sia arrivata la discriminazione istituzionalizzata nei confronti dei palestinesi.

Mentre le autorità palestinesi della Cisgiordania hanno condannato tutti gli attacchi contro i civili israeliani, alcuni gruppi armati palestinesi li hanno incoraggiati.

“Gli Stati del mondo hanno la responsabilità morale e giuridica di agire immediatamente per porre fine ai continui crimini che Israele commette contro i palestinesi per mantenere quella calamità che si chiama apartheid. Il procuratore del Tribunale penale internazionale dovrebbe impostare la rotta verso la giustizia, la verità e la riparazione, onde spezzare quell’impunità che favorisce i crimini in atto, ha aggiunto Higazi.

Amnesty International ha parlato con nove testimoni oculari e tre avvocati che difendono detenuti palestinesi. Ha inoltre esaminato prove fotografiche e filmate, svolto osservazioni sul campo e raccolto informazioni da organizzazioni per i diritti umani. Ciò al fine di analizzare modalità ripetute di uccisioni illegali, arresti arbitrari, maltrattamenti e torture e punizioni collettive ai danni dei palestinesi. Amnesty International ha anche raccolto informazioni su attacchi mortali da parte di palestinesi armati contro civili israeliani.

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Uccisioni di minorenni palestinesi

Dall’inizio del 2022 fino all’8 maggio le forze armate israeliane hanno ucciso otto minorenni palestinesi, in circostanze che sembrano indicare che si sia trattato di uccisioni illegali attraverso l’uso eccessivo o immotivato della forza letale. Nello stesso periodo, un altro minorenne palestinese è stato ucciso da un colono armato israeliano.

Il 13 aprile 2022 le forze israeliane hanno ucciso Qusai Fuad Mohammad Hamamra, 16 anni, nelle operazioni di ordine pubblico durante una protesta in corso a Husan, nei pressi di Betlemme. Almeno uno dei diversi proiettili esplosigli contro lo ha colpito al capo. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver ucciso una persona che aveva lanciato una bottiglia Molotov contro i soldati, nessuno dei quali è rimasto ferito.

Attacchi brutali alla moschea di al-Aqsa

Durante il Ramadan, dal 3 aprile e fino all’8 maggio, le autorità israeliane hanno limitato l’accesso ai fedeli musulmani diretti alla moschea di al-Aqsa, a Gerusalemme Est, e allestito posti di blocco semi-permanenti per bloccare l’accesso alle strade che portano al luogo di preghiera.

Le forze di polizia israeliane hanno brutalmente attaccato i fedeli dentro e intorno alla moschea e hanno fatto ricorso a livelli di violenza che costituiscono maltrattamenti e torture per disperdere i fedeli.

Secondo la Mezzaluna rossa palestinese, il 15 aprile le forze israeliane hanno arrestato oltre 400 palestinesi, molti dei quali minorenni, dopo un’escalation di violenza durata sei ore in cui almeno 150 palestinesi sono stati feriti da proiettili di gomma e manganellate.

Testimoni oculari hanno riferito che i proiettili di gomma erano diretti a parti superiori del corpo, come la testa, la schiena e il petto. Sono stati presi di mira anche giornalisti, donne, personale paramedico, anziani e persone con disabilità.

Attacchi contro cittadini israeliani

In vari attacchi portati a termine da palestinesi armati, dal 22 marzo 2022 sono stati uccisi 18 cittadini israeliani, fra cui tre agenti di polizia e due persone di nazionalità straniera. Sei palestinesi responsabili degli attacchi sono stati uccisi dalle forze israeliane, un altro da un cittadino israeliano armato.

Il 7 aprile un palestinese del campo rifugiati di Jenin ha aperto il fuoco in un ristorante di Tel Aviv uccidendo tre persone e ferendone oltre una decina. Dopo l’attacco le autorità israeliane hanno arbitrariamente limitato la libertà di movimento di tutti gli abitanti di Jenin fino al 17 aprile. I due principali check-point attraverso i quali si esce da Jenin e vi si rientra sono stati chiusi.

“Attaccare i civili è un fatto scioccante che giustamente viene condannato in ogni parte del modo. Israele ha il dovere di proteggere tutte le persone che sono sotto il suo controllo e di dare il giusto valore alla vita di tutti. Per farlo, deve affrontare le cause di fondo della violenza e agire per porre fine all’apartheid. Israele ha dato prova più volte di non tenere in considerazione il diritto internazionale e, pertanto, sono gli stati del mondo a dover agire chiamando Israele a rendere conto del suo operato e a smantellare il sistema di apartheid contro i palestinesi”, ha concluso Higazi.

Un sistema che Shireen Abu Akleh ha documentato con i suoi servizi televisivi. Sul campo, là dove la repressione si fa crimine e l’illegalità istituzionalizzata. Per questo è morta. C’è chi parla di terrorismo di Stato. Come dargli torto. 

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