In ricordo di Abraham Yehoshua, profeta di pace e grande d'Israele
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In ricordo di Abraham Yehoshua, profeta di pace e grande d'Israele

Due dei tre grandi – Amos Oz e ora Abraham Yehoshua – non ci sono più. Ma la loro lezione resta in vita grazie ai loro libri che hanno dato lustro e grandezza a Israele nel mondo. 

In ricordo di Abraham Yehoshua, profeta di pace e grande d'Israele
Abraham Yehoshua
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

14 Giugno 2022 - 11.50


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Nel giorno in cui Israele piange la scomparsa di un grande della sua letteratura, Abraham Bet Yehoshua, la sinistra israeliana, della quale Yehoshua è stato da sempre un punto di riferimento, riflette sul suo suicidio politico.

Cupio dissolvi

Di grande efficacia, a tal proposito, è una riflessione Nehemia Shtrosler 

 “È successo nel 2000 – scrive su Haaretz – Dopo aver sconfitto Benjamin Netanyahu e il Likud, Ehud Barak era primo ministro. Sì, c’è stato un tempo in cui è stato così. Verso la fine di quell’anno, United Torah Judaism presentò una proposta di legge che portava gli assegni familiari alla folle cifra di 850 shekel (250 dollari al cambio attuale) al mese per figlio, a partire dal quinto figlio. Il Likud ha annunciato che avrebbe appoggiato la proposta di legge.

Ho chiesto all’allora legislatore del Likud Ruby Rivlin come una persona che si definisce sionista possa sostenere una legge che incoraggerebbe gli haredim antisionisti, così come gli arabi e i beduini, ad avere famiglie ancora più numerose e a vivere di elemosine governative invece di lavorare. Rivlin non ha esitato a rispondere: “È vero che è una cattiva legge, ma senza gli Haredim non possiamo formare un governo e io voglio essere al potere”.

Lo stesso vale ora. Netanyahu e il Likud votano con un unico obiettivo: far cadere il governo. Anche se la questione è perfettamente in linea con la loro ideologia, voteranno contro.

Per questo motivo hanno votato contro l’estensione delle norme di emergenza in Cisgiordania, senza le quali la vita nei territori occupati diventerà un caos. Miri Regev ha dato voce alla posizione del Likud nel modo più chiaro possibile, durante le discussioni della fazione sulla legge che prevede la retta scolastica per gli ex soldati combattenti: “Abbiamo deciso di far cadere il governo, quindi non voglio sentir parlare di mal di pancia quando si tratta di stupri, donne maltrattate o soldati”. Yuval Steinitz si è spinto oltre: “Domani saranno le vedove, gli orfani, la periferia, un milione e uno di disabili, i malati, gli anziani, i sopravvissuti all’Olocausto, qualsiasi cosa”.

Quindi, sì, il Likud è pronto a bruciare il Paese per tornare al potere. Ma c’è un’altra faccia della medaglia. Sì, se si vuole sostituire il governo, bisogna opporsi ad esso in (quasi) ogni situazione e votare contro (quasi) ogni legge che sponsorizza. Ma quando si conquista il potere, si riparano i danni fatti e si attuano politiche sulle questioni che contano davvero.

A differenza della brama di potere del Likud, i politici di sinistra soffrono di un inestinguibile impulso suicida. Amano criticare tutto, anche votare contro il governo di cui fanno parte. Si sentono più a loro agio all’opposizione, dove possono criticare il mondo intero senza doversi assumere alcuna responsabilità. Abbiamo visto più volte quanto siano esperti nel distruggere i loro stessi leader, quindi cosa gli importa di distruggere il Primo Ministro Naftali Bennett, che non è nemmeno “uno dei nostri”. Cosa pensano esattamente Ghaida Rinawie Zoabi di Meretz e Mazen Ghanaim della Lista Araba Unita? Che il governo di cui fanno parte, con una chiara maggioranza di destra, non cercherà di mantenere lo status quo in Cisgiordania? Come sarà mai possibile stringere un’alleanza con un partito arabo, quando tutti i membri della UAL si asterranno o voteranno contro l’estensione delle norme di emergenza? Non si preoccupano affatto degli ingenti stanziamenti di bilancio che la comunità araba ha ricevuto o dell’impegno per ridurre la criminalità nella comunità araba, che sta effettivamente avendo successo? Si aspettano di ottenere maggiori vantaggi in un governo in cui Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich sono ministri e Benzi Gopstein e Baruch Marzel sono consiglieri senior?

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Le stesse domande dovrebbero essere rivolte a Merav Michaeli dei laburisti e a Nitzan Horowitz di Meretz, che non perdono occasione per indebolire il governo, dall’opposizione al bilancio alla lotta contro le riforme per ridurre il costo della vita. La scorsa settimana, membri di entrambi i partiti hanno sfidato la disciplina della coalizione e hanno fatto perdere una votazione sul salario minimo. La deputata laburista Naama Lazimi ha dichiarato che la questione “le brucia l’anima”. Michael Biton di Kahol Lavan ha annunciato lunedì che non voterà più con la coalizione. Ci si chiede cosa diranno quando il governo cadrà e Avi Maoz e Shlomo Karhi condurranno Israele nella follia messianico-nazionalista-kahanista.

Lunedì è passato un anno dalla formazione del governo Bennett. Il governo ha risolto il caos lasciato da Bibi e può vantare importanti risultati in termini di economia, sicurezza, questioni sociali e diplomazia. Ma invece di lodare questi risultati e votare all’unanimità a suo favore, la sinistra continua a lanciare pietre contro il governo e a indebolirlo. Potrebbe avere una lezione da Rivlin su cosa significhi il potere”, conclude Shtrosler.

Le sue amare considerazioni portano alla memoria considerazioni, altrettanto amare, del grande scrittore scomparso oggi, all’età di 85 anni. 

Lo sconforto di Abraham

“Nell’attuale realtà politica israeliana non c’è alcun dibattito politico tra opposti schieramenti. Le parole sinistra e destra rimbalzano da tutte le parti vuote di significato, utili solo come arma per infangare gli oppositori. Il termine ‘sinistra’, in particolare, viene costantemente utilizzato dagli attivisti di destra, specialmente quelli religiosi, come condanna automatica di chi non appoggia il primo ministro. Nell’attuale realtà politica israeliana non c’è invece alcun dibattito politico tra opposti schieramenti. Le parole sinistra e destra rimbalzano da tutte le parti vuote di significato, utili solo come arma per infangare gli oppositori. Il termine «sinistra», in particolare, viene costantemente utilizzato dagli attivisti di destra, specialmente quelli religiosi, come condanna automatica di chi non appoggia il primo ministro. Per evitare la prospettiva di un processo Netanyahu, da leader politico, si è trasformato in quello di una setta che, mediante minacce e lusinghe, argina l’opposizione dei suoi membri mentre il sistema politico si piega davanti a lui per garantirgli un’eventuale immunità annullando elezioni appena tenute, disperdendo il parlamento e indicendo nuove consultazioni elettorali entro tre mesi.
Nemmeno i più anziani ed esperti fra noi erano pronti a questo scenario di corruzione e di aperto attacco politico dei partiti di governo allo stato di diritto per far sì che il primo ministro non finisca in prigione. E tutto questo con il sostegno di una folla acclamante. Di fronte a tale realtà proviamo un senso di disgusto e di prostrazione. Non è più questione di posizioni politiche diverse e nemmeno di tendenziose panzane raccontate dal primo ministro e dai suoi assistenti che si succedono a ritmo incessante. Questa è una chiara e spudorata violazione dei valori di solidarietà che erano alla base della promessa sionista di riunire ebrei di diversa provenienza e livello in uno stato democratico.

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Negli anni ’70 del secolo scorso due ministri del governo laburista furono sospettati di avere preso tangenti e ancora prima di essere processati si suicidarono per la vergogna. Il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin nel 1977 diede le dimissioni perché accusato di aver mantenuto un piccolo conto corrente all’estero, cosa allora vietata ai cittadini israeliani. Il presidente Moshe Katsav fu condannato a sette anni di carcere da un giudice distrettuale arabo per aver sessualmente molestato la sua segretaria. Il primo ministro Ehud Olmert finì in carcere per aver ricevuto finanziamenti illeciti per la sua campagna elettorale. Fino a ieri potevamo consolarci con il fatto che nella palude politica israeliana ci fossero ancora principi di giustizia e di uguaglianza. Ma ecco che ora il primo ministro calpesta spudoratamente la legge per salvare la propria pelle e conduce il paese a una nuova, aspra e costosa campagna elettorale a poche settimane di distanza dalla precedente. C’è quindi da meravigliarsi che persone come me, indipendentemente dalla loro posizione politica, provino un senso di avvilimento e di paralisi?”.

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Queste considerazioni fanno parte di un lungo articolo di Abraham Bet Yehoshua, il grande scrittore israeliano, pubblicato da La Stampa l’8 agosto 2019. Trentaquattro mesi dopo, le cose sono ulteriormente peggiorate. E l’avvilimento di Yehoshua si è trasformato nel Grande sconforto condiviso da quella parte d’Israele che sogna una sinistra che non c’è. E che oggi piange uno dei suoi più grandi mentori.

E sempre sul filo della memoria, riporto un emozionante confronto a tre , riportato da Elena Lowenthal su La Stampa., con David Grossman e Abraham Bet Yehoshua. L’occasione era data dal 70°della fondazione dello Stato d’Israele. “Ho paura per il futuro. Ho paura del fanatismo e della violenza. Ma sono contento di essere cittadino di uno Stato che conta otto milioni e mezzo di profeti, otto milioni e mezzo di primi ministri, otto milioni e mezzo di messia. Non ci si annoia, qui. Ci si arrabbia, ogni tanto arrivano frustrazione e collera, ma non di rado anche fascinazione ed entusiasmo. Questo è uno dei posti più interessanti del mondo”. “Per me – dice Yehoshua – la conquista più importante di questi settant’anni è la legittimità dell’esistenza dello Stato ebraico sia nel contesto mondiale, compresa una parte del mondo arabo e islamico, sia all’interno dell’ebraismo: oggi Israele esiste perché deve esistere, perché è ovvio che esista. Questa legittimità ce la siamo conquistata non solo con la forza delle armi, ma anche nella capacità che questo Paese ha dimostrato di assorbire milioni di profughi. C’è ancora tanto da fare, sono ancora in molti a negare il suo diritto all’esistenza. Ma ci siamo e ci saremo”. 

Due dei tre grandi – Amos Oz e ora Abraham Yehoshua – non ci sono più. Ma la loro lezione resta in vita grazie ai loro libri che hanno dato lustro e grandezza a Israele nel mondo. 

Per ultimo, un ricordo personale. Chi scrive ha avuto il privilegio, la fortuna, di conoscere personalmente Yehoshua e d’intervistarlo tante volte nel corso di oltre trent’anni di frequentazione d’Israele. Sempre cordiale, disponibile, con una raffinata ironia che s’abbinava ad analisi puntuali e spesso preveggenti. Un impegno civile che ha sempre accompagnato la sua attività di romanziere e insegnante all’Università di Haifa, la sua città. Il rapporto con i giovani è sempre stato una sua cura. “E’ il modo migliore – ebbe a dirmi in uno dei nostri incontri – per frequentare il futuro”. Un impegno che non è mai venuto meno. 

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