Il centrosinistra italiana farebbe bene ad andare a lezione di francese. Enrico Letta la lingua la conosce bene, ora sarebbe il caso di utilizzarla per capire al meglio il messaggio, forte e chiaro, che arriva dai risultati delle elezioni legislative dei nostri vicini transalpini. A ben vedere, i messaggi sono più d’uno. E tutti possenti. La buttiamo giù brutalmente, perché a volte la miglior cosa è usare la sciabola e non il fioretto.
Lezioni di francese
Prima lezione: il voto francese liquida la ridicola narrazione, tanto cara a parte dei politologi italiani, quelli bene introdotti nei salotti mediatici e nelle prime pagine dei giornali mainstream, secondo cui si vince al centro. A parte che cosa sia, dal punto di vista sociale, culturale, d’interessi, questo “centro” è uno dei tre misteri di Fatima. Se centro è sinonimo di moderazione a sconfessare questa vulgata sono le elezioni che hanno riguardato Paesi modello in Occidente. L’America, in primo luogo.
Chi ha un briciolo di onestà intellettuale e due neuroni funzionanti, può mai asserire che Donald Trump ha vinto perché ha vestito i panni del tradizionale conservatore-moderato? Ed ancora: sempre che si abbia un po’ di sale in zucca e la curiosità di informarsi alla fonte – i maggiori quotidiani degli States e i più autorevoli think tank politici – che Joe Biden sia riuscito a sconfiggere il tycoon di Washington perché si è appalesato come un candidato “centrista”? Basta leggere il programma dei Democratici americani per fare giustizia di questa corbelleria: dalla tassazione ai colossi dl web alla lotta alle disuguaglianze sociali, nel programma elettorale di Biden c’erano tutti i temi sociali più cari a Sanders, il leader dell’ala “radical” del Partito, uno che non arrossisce quando si definisce socialista.
E la Germania? A guidare il Paese è un cancelliere, Olaf Scholz, che viene da quel socialismo democratico che ai suoi albori era stato il partito di Marx ed Engels, un altro, come Sanders, che rivendicare la sua appartenenza, non solo partitica, alla socialdemocrazia.
Quanto alla Francia, qui siamo oltre. Mentre in Italia si sragiona sul “campo largo” centrista, col Pd come socio di maggioranza, in terra francese Jean-Luc Mélenchon costruisce una coalizione che tiene dentro le varie anime di ciò che è sinistra, anche nella sua versione più radicale: una sinistra arcobaleno, che tiene dentro socialisti radicali, ecopacifisti, e anche ciò che resta dei comunisti francesi. Tutto, meno che “centrista, è la coalizione diventata la prima forza d’opposizione nella nascente Assemblea Nazionale.
Lì si combatte, si costruisce con fatica, sudore, pazienza, tempo, una sinistra plurale competitiva, radicale ma non di testimonianza, che punta a governare ma che non è infettata dal virus del “governismo” che tanto ha attecchito qui da noi.
Mélenchon si afferma, anche se arriva alla maggioranza assoluta, ma questa era davvero puntare all’impossibile, perché su tutte le grandi questioni che oggi investono una democrazia avanzata, ha presentato proposte di rottura: sul salario sociale, sull’inclusione, sulla guerra e la pace, sulla difesa dei beni pubblici, rispolverando anche una parola che qui in Italia suonerebbe come una bestemmia: nazionalizzazioni. Mélenchon vince perché non si traveste, non si “modera”, ma presenta un’agenda per un futuro altro rispetto a quello impersonato da Macron e dal suo rassemblement centrista.
“La sconfitta del partito del presidente” Emmanuel Macron “è totale e non c’è nessuna maggioranza, afferma Mélenchon, commentando i risultati delle legislative francesi. “Noi non rinunciamo all’ambizione di governare il Paese”, ha aggiunto.
Durante la presidenza Macron, il leader dell’estrema sinistra si è opposto alle sue politiche e ha appoggiato le proteste dei gilet gialli contro la disuguaglianza economica, sfruttando al massimo i 17 deputati del suo partito all’Assemblea nazionale. Ha dovuto respingere le recenti critiche alla sua richiesta di uscita della Francia dalla Nato, su cui non tutti i suoi nuovi alleati sono d’accordo.
Ha scritto di lui Paul Kirby su Bbc news: “Jean-Luc Mélenchon ha abbandonato una carriera nell’insegnamento e nel giornalismo per dedicarsi alla politica di sinistra negli anni Settanta. È stato per breve tempo ministro dell’Istruzione sotto il primo ministro socialista Lionel Jospin, ma all’inizio degli anni 2000 si è disilluso di fronte a quella che considerava una deriva a destra dei socialisti.
Nel 2009 è diventato europarlamentare con un nuovo partito di sinistra. Ma è stato solo quando ha formato France Insoumise che ha sfondato, ottenendo il 19,6% dei voti alle elezioni presidenziali del 2017.
Alle elezioni presidenziali dell’aprile 2022 ha ottenuto il 21,95% dei voti, attirando una fetta di elettori di sinistra e arrivando a battere la rivale di estrema destra Marine Le Pen per sfidare Emmanuel Macron al ballottaggio.
Immediatamente ha annunciato la sua intenzione di guidare il governo, adottando lo slogan “Mélenchon primo ministro”. […] S L’alleanza Nupes ha elaborato 650 politiche per governare la Francia, ammettendo di avere 33 differenze politiche – circa il 5% del programma. “L’idea non è stata quella di arrivare a una fusione ideologica”, ha sottolineato.
In sintesi, chiedono
L’abbassamento del pensionamento da 62 a 60 anni.
L’aumento del salario minimo (noto come Smic) di circa il 15%, fino a 1.500 euro al mese.
Il ritorno delle imposte sul patrimonio di persone e aziende
Il congelamento dei prezzi dei beni di prima necessità.
la creazione di un milione di posti di lavoro”. […]Se la sua alleanza priva il Presidente Macron di una maggioranza, ha già fatto ciò che si era prefissato.
Senza una maggioranza, per il governo Macron sarebbe molto più difficile far passare le leggi senza il sostegno dell’opposizione.
Tuttavia, i Nupes hanno puntato al governo, che richiederebbe una loro maggioranza assoluta, e ciò sembra altamente improbabile, anche se sono ancora in corsa per almeno 500 seggi.
Se ciò dovesse accadere, Macron sarebbe costretto a convivere con un’altra forza politica, come non accadeva dai tempi di Jacques Chirac nel 2002”.
Così Kirby.
Quesito interessato: quali e quante di queste proposte il centrosinistra italiano sarebbe pronto a far sue?
E la stessa impetuosa avanzata del Front National di Marine Le Pen conferma la stoltaggine di una narrazione centrista: quando le disuguaglianze sociali crescono, e sono cresciute a dismisura ai tempi della pandemia e della guerra, il malessere, e la speranza, guardano alle estreme e non ai “moderati”.
E ora, dove va la Francia?
Ci vorrà molta fantasia” per governare: la Francia si dirige verso l’ignoto dopo le elezioni legislative sim ili a un terremoto, con il campo Macron che perde la maggioranza assoluta, la forte svolta della sinistra unita e lo storico punteggio della destra di Le Pen.
I risultati del secondo turno, senza precedenti sotto la Quinta Repubblica, sollevano chiaramente la questione della capacità di Emmanuel Macron di poter governare e far passare le riforme promesse, in particolare quella delle pensioni. Si apre un delicato periodo di trattative a tutti i livelli per suggellare alleanze, rimpasto di governo e negoziare posizioni di responsabilità nella nuova Assemblea.
Dovrà stringere alleanze con LR e UDI, che hanno perso peso ma hanno conquistato 64 seggi? Rimasto in silenzio domenica sera, Emmanuel Macron, che aveva esortato i francesi a dargli “una maggioranza forte e netta”, si ritrova indebolito solo due mesi dopo la sua rielezione contro Marine Le Pen. Vede la RN, designata come nemica nuemro uno, sbarcare massicciamente e contro ogni previsione al Palais-Bourbon con 89 seggi, secondo un conteggio completo dell’Afp.
“Lavoreremo da domani per costruire una maggioranza d’azione, non c’è alternativa”, ha assicurato la premier Elisabeth Borne, lei stessa eletta proprio al Calvados, affermando che questa “situazione senza precedenti costituisce un rischio per il nostro Paese”.
I simboli dello schiaffo ricevuto, le sconfitte dei leader della macronie in Assemblea, due intimi di Macron: il presidente Richard Ferrand battuto nella sua roccaforte del Finistére e il boss dei deputati LREM Christophe Castaner nelle Alpes-de -Haute- Provenza. Sconfitti anche tre ministri – Amélie de Montchalin (Transizione ecologica), Brigitte Bourguignon (Salute) e Justine Benin (Mare) – che ora dovranno lasciare il governo.
“Non è quello che speravamo”, ha ammesso il ministro dei Conti pubblici Gabriel Attal, che si è pero’ potuto accontentare delle vittorie sul filo di due ministri a Parigi, Stanislas Guerini e Cle’ment Beaune. Il tasso di astensione, del 53,79%, è in aumento di oltre un punto rispetto al primo turno (52,49%) ma non ha raggiunto il record del secondo turno del 2017 (57,36%). La coalizione presidenziale Insieme! (LREM, MoDem, Agir e Horizons) hanno ottenuto 245 seggi, secondo un conteggio completo dell’Afp, lontani dalla maggioranza assoluta di 289 deputati su 577. Ora è intrappolato tra due potenti gruppi che hanno chiaramente affermato la loro opposizione.
La battaglia si preannuncia dura contro la sinistra unita (LFI, PS, EELV e PCF), che diventa la principale forza di opposizione con 137 deputati. Jean-Luc Mélenchon ha accolto con favore la “totale disfatta” del partito presidenziale annunciando che Nupes avrebbe “messo il meglio” di se stesso “nella lotta parlamentare”. All’offensiva, il vice LFI Eric Coquerel ha stimato che la signora Borne non poteva più “continuare a essere primo ministro” e ha annunciato che l’opposizione avrebbe presentato “una mozione di censura” contro il suo governo il 5 luglio. I Nupes hanno ottenuto il grande slam a Seine-Saint-Denis (12 deputati su 12) e hanno accolto con favore l’elezione di tre personalità: la sindacalista Rachel Kéké, l’editorialista televisivo Raquel Garrido e un ex giornalista. Insieme! dovrà fare i conti anche con un Rally Nazionale chiaramente rafforzato che, con 89 posti, è la grande sorpresa di questo secondo round.
Uno “tsunami”, ha accolto anche il presidente ad interim di RN Jordan Bardella, il cui partito aveva solo otto eletti nel 2017. Di conseguenza, il RN potrà formare facilmente un gruppo parlamentare, come successo solo una volta, dal 1986 al 1988, durante il Front National di Jean-Marie Le Pen, grazie al sistema proporzionale. “Incarneremo un’opposizione ferma, senza collusione, responsabile”, ha annunciato Marine Le Pen, rieletta a Pas-de-Calais.
I repubblicani, che rappresentavano la seconda forza nell’Assemblea uscente, hanno ottenuto 64 deputati con i loro alleati dall’UDI e dai centristi, una cifra quasi inaspettata per il loro misero punteggio alle elezioni presidenziali. La loro posizione sarà centrale nell’Assemblea poiché il campo Macron avrà bisogno di voti per raggiungere la maggioranza assoluta.
Il sindaco LR di Meaux Jean-Francois Copé ha così chiesto domenica un “patto di governo” con Emmanuel Macron, ritenendo che “spetta alla destra repubblicana salvare il Paese”. Ma Christian Jacob, il suo presidente, ha assicurato che il suo partito sarebbe rimasto “all’opposizione” ed Eric Ciotti ha lasciato intendere che non sarebbe stato “la ruota di scorta di un macronismo fallito.
Ci vorrà quindi “molta fantasia” per agire in questa “situazione senza precedenti”, ha ammesso il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, considerando che, nonostante tutto, la Francia non sarà ingovernabile. Per Emmanuel Macron, “questo quinquennio sarà un quinquennio di trattative, di compromessi parlamentari. Non sarà più Giove a governare, ma un presidente alle prese con la mancanza di maggioranza in Assemblea”, prevede il professore di diritto costituzionale Domenico Rousseau. I prossimi giorni saranno frenetici per il capo di Stato, che sarà intrappolato in un tunnel di obblighi internazionali (Consiglio europeo, G7, vertice Nato) e dovrà manovrare sul fronte interno con un rimpasto del suo governo.
Di certo, dovrà fare i conti con chi ha sinistra non ha ammainato le sue bandiere. Non le ha sbianchettate ma ritinteggiate con un rosso moderno, vivido. Una tintura che in Italia si fa fatica a ritrovare.