Presidente Draghi, ecco lo stato di polizia dell'amico Erdogan
Top

Presidente Draghi, ecco lo stato di polizia dell'amico Erdogan

Ad aprile, il tribunale di Ankara ha accettato l’incriminazione. A luglio, lo stesso permesso è stato concesso per l’indagine contro esponenti dell’ordine degli avvocati di Istanbul e Smirne per “insulto ai valori religiosi”

Presidente Draghi, ecco lo stato di polizia dell'amico Erdogan
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Luglio 2022 - 17.54


ATF

Per gli “smemorati” di Governo e per la stampa mainstream, ecco pronto un corso d’aggiornamento accelerato. Tema: i diritti umani nella Turchia di Erdogan. La lezione è tenuta da Amnesty International

Radiografia di uno stato di polizia

Fonte: Rapporto  di AI sullo stato dei diritti umani nel mondo 2021-2002.

Dal capitolo sulla Turchia

Abuso di potere statale

Magistratura e avvocati

A gennaio, il ministero della Giustizia ha concesso il permesso di aprire un’indagine contro 12 dirigenti dell’ordine degli avvocati di Ankara, accusati di “insulto a un pubblico ufficiale”, per aver criticato le osservazioni omofobe e discriminatorie fatte dal presidente del direttorato per gli affari religiosi, durante un sermone del venerdì nel 2020. Ad aprile, il tribunale di Ankara ha accettato l’incriminazione. A luglio, lo stesso permesso è stato concesso per l’indagine contro esponenti dell’ordine degli avvocati di Istanbul e Smirne per “insulto ai valori religiosi”. A fine anno, le indagini e i procedimenti giudiziari erano in corso.

A luglio, il parlamento ha approvato un disegno di legge omnibus che ha esteso i poteri di emergenza per un altro anno e ha consentito il licenziamento di impiegati pubblici, compresi giudici e procuratori, per presunti legami con organizzazioni “terroristiche”, senza possibilità di revisione giudiziaria.

 Repressione del dissenso

A gennaio, il tribunale di Ankara ha accettato un atto d’incriminazione di 3.530 pagine, per sottoporre a processo 108 persone, tra cui esponenti, precedenti e attuali, del Partito democratico dei popoli (Halkların Demokratik Partisi – Hdp) e il suo ex copresidente Selahattin Demirtaş. L’atto d’incriminazione conteneva 29 capi d’accusa separati, tra cui “omicidio intenzionale” e “interruzione dell’unità e dell’integrità territoriale dello stato”. Sono stati accusati di aver mobilitato masse per commettere violenze durante le proteste del 6-8 ottobre 2014 secondo le istruzioni del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Partîya Karkerên Kurdistanê – Pkk). Il procedimento, soprannominato “processo di Kobane”, a fine anno era ancora in corso.

A marzo, il difensore dei diritti umani e parlamentare dell’opposizione Ömer Faruk Gergerlioğlu è stato privato dell’immunità e incarcerato dopo che la Corte di cassazione ha confermato la condanna a due anni e mezzo di carcere per aver condiviso un tweet nel 2016. Dopo quasi tre mesi di detenzione è stato rilasciato a seguito di una sentenza emessa a luglio dalla Corte costituzionale secondo cui era stato violato il suo diritto alla libertà e alla partecipazione alla vita politica.

Ad aprile, in un altro caso contro Selahattin Demirtaş, la Corte di cassazione ha confermato la condanna a quattro anni e otto mesi di carcere per “aver fatto propaganda per un’organizzazione terroristica”. A settembre e dicembre, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che monitorava l’attuazione della decisione Demirtaş vs. Turchia del dicembre 2020, emessa dalla Corte europea dei diritti umani, ha ribadito la richiesta per il suo immediato rilascio.

A settembre, il tribunale penale di primo grado di Eruh ha condannato Zana Aksu, obiettore di coscienza ed ex direttore della sezione di Siirt dell’Associazione per i diritti umani (İnsan Hakları Derneği – İhd), a 18 mesi di reclusione e al pagamento di una multa di 10.000 lire turche (circa 700 euro), per “diserzione”. A fine anno, il caso era pendente dinanzi alla corte d’appello regionale di Diyarbakır. Zana Aksu era già stato condannato per la stessa accusa nel 2018 e assolto in un caso separato nel 2020 poiché era stato processato due volte per lo stesso reato.

Libertà d’espressione

Ad aprile, la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che erano stati violati i diritti alla libertà d’espressione e alla libertà e alla sicurezza del giornalista Ahmet Altan. Il giorno seguente, la Corte di cassazione ha ribaltato il verdetto, ma ha ordinato il suo rilascio immediato basandosi sull’eccessiva durata della sua detenzione. Anche il verdetto per la sua coimputata, Nazlı Ilıcak, è stato ribaltato. Il loro caso è stato rinviato a un tribunale di livello per un nuovo processo. A dicembre, la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che, analogamente, anche i diritti di Nazlı Ilıcak alla libertà, alla sicurezza e alla libertà d’espressione erano stati violati.

A settembre, un tribunale di Diyarbakır ha condannato l’avvocata per i diritti umani Nurcan Kaya a una pena sospesa di un anno e tre mesi di reclusione, per “aver fatto propaganda per un’organizzazione terroristica”; l’accusa riguardava un tweet del 2015 sull’assedio di Kobane da parte dello Stato islamico.

Leggi anche:  La "nuova Siria" protettorato turco: una minaccia per Israele e non solo

A ottobre, il tribunale di Malatya ha condannato Meral Şimşek, scrittrice ed esponente curda della Pen International, a un anno e tre mesi di reclusione per “aver fatto propaganda per un’organizzazione terroristica”, in relazione ai suoi scritti, ai premi che ha ricevuto e al contenuto di conversazioni intercettate. A luglio, Meral Şimşek era stata torturata e respinta con violenza dalle forze di frontiera greche.

Sempre a ottobre, con una storica decisione nel caso Vedat Şorli vs. Turchia, la Corte europea dei diritti umani ha ritenuto che l’art. 299 del codice penale, che punisce l’oltraggio al presidente, fosse incompatibile con il diritto alla libertà d’espressione e ha sollecitato il governo ad allineare la legislazione all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti umani.

Difensori dei diritti umani

A gennaio, la corte d’appello regionale di Istanbul ha annullato le assoluzioni del febbraio 2020 di Osman Kavala e di altre otto figure della società civile, nel processo sui fatti di Gezi Park. A febbraio, le autorità giudiziarie hanno messo insieme i capi di imputazione di Osman Kavala per “tentativo di rovesciare l’ordine costituzionale” e “spionaggio”, con quello relativo a Gezi Park di “tentativo di rovesciare il governo”. Ad agosto è stato inoltre deciso di unire questi procedimenti giudiziari combinati con il nuovo processo nel caso non correlato di Çarşı, in cui 35 tifosi di calcio sono stati perseguiti per la presunta partecipazione alle proteste di Gezi Park del 2013. Sebbene tutti e 35 fossero stati assolti nel dicembre 2015, a marzo la Corte di cassazione ha annullato le assoluzioni, raccomandando di unire il caso con il processo relativo a Gezi Park. A dicembre, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha notificato formalmente alla Turchia l’intenzione di avviare un procedimento d’infrazione per non aver ottemperato al giudizio della Corte europea dei diritti umani che chiedeva il rilascio di Osman Kavala.

A febbraio, l’avvocata e difensora dei diritti umani Eren Keskin è stata condannata a sei anni e tre mesi di reclusione per “appartenenza a un’organizzazione terroristica”, nel processo al giornale Özgür Gündem, per aver partecipato a una campagna di solidarietà. A fine anno, il caso era pendente in appello.

Il nuovo processo a Şebnem Korur Fincancı e Erol Önderoğlu, per il loro sostegno al quotidiano Özgür Gündem, diventando “direttori per un giorno”, è cominciato a febbraio, dopo che le loro assoluzioni del 2019 erano state annullate in appello.

A marzo, Öztürk Türkdoğan, copresidente dell’İhd, è stato arrestato durante un’irruzione della polizia in casa sua, con l’accusa di “appartenenza a un’organizzazione terroristica”. È stato rilasciato il giorno stesso, con misure di controllo giudiziario.

A marzo, il procuratore della Corte di cassazione ha emesso un parere con cui chiedeva la conferma, senza darne giustificazione, della condanna di Taner Kılıç, ex presidente di Amnesty International Turchia, e l’annullamento delle condanne di Özlem Dalkıran, Idil Eser e Günal Kurşun. A fine anno il caso era pendente dinanzi alla Corte di cassazione.

A settembre, Raci Bilici, ex presidente della sezione di Diyarbakır dell’İhd, è stato nuovamente processato dopo che, a dicembre 2020, la corte d’appello regionale aveva annullato la sua condanna. Il tribunale di Diyarbakır ha di nuovo condannato Raci Bilici a sei anni e tre mesi di reclusione per appartenenza a un’organizzazione terroristica. A fine anno, il caso era in attesa di appello.

A ottobre, il difensore dei diritti umani Mehmet Selim Ölçer è stato condannato a due anni e un mese di reclusione per “sostegno a un’organizzazione terroristica”, poiché era socio dell’associazione Sarmaşık, con sede a Diyarbakır, un’organizzazione della società civile che lottava contro la povertà, chiusa con decreto esecutivo nel 2016.

A Diyarbakır è proseguito il processo a tre agenti di polizia e a un presunto membro del Pkk, accusati di aver ucciso l’avvocato per i diritti umani Tahir Elçi. Gli agenti sono stati incriminati per omicidio colposo causato da negligenza grave.

Diritti di donne e ragazze

Il 20 marzo, con decisione presidenziale, la Turchia si è ritirata dalla Convenzione di Istanbul, privando donne e ragazze di uno strumento vitale di protezione da ogni forma di violenza, senza discriminazioni. L’annuncio ha coinciso con un’impennata dei casi di violenza domestica durante la pandemia da Covid-19 e ha scatenato proteste in tutto il paese. Il ritiro è entrato in vigore il 1° luglio. Secondo organizzazioni indipendenti per i diritti delle donne, durante l’anno 280 donne sono state uccise a causa della violenza di genere e 217 sono state trovate morte in circostanze sospette.

Leggi anche:  Siria: la Turchia chiede che alla nuova leadership di Damasco venga concesso di governare

Diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate

In un tweet di gennaio, il ministro degli Interni si è riferito a quattro studenti dell’università del Bosforo definendoli “pervertiti Lgbt”. Stava commentando l’arresto degli studenti in relazione a una mostra d’arte nel campus, raffigurante un sito religioso con simboli della comunità Lgbti.

A marzo, il governo ha tentato di giustificare il ritiro dalla Convenzione di Istanbul sostenendo che la Convenzione era strumentalizzata per “normalizzare l’omosessualità” e che questo era “incompatibile con i valori sociali e familiari della Turchia”.

Libertà di riunione

La polizia ha fatto uso non necessario ed eccessivo della forza per arrestare centinaia di studenti durante riunioni pacifiche per protestare contro la nomina del professor Melih Bulu a rettore dell’università del Bosforo, voluta dal presidente. Almeno 11 studenti sono stati rinviati in custodia preventiva e altri 31 posti agli arresti domiciliari, insieme a centinaia di altri sottoposti a controlli e procedimenti giudiziari per aver violato la legge sugli incontri e le manifestazioni. Sette studenti sono stati perseguiti con l’accusa di “incitamento pubblico all’inimicizia e all’odio” e rischiavano pene detentive fino a tre anni in relazione alla mostra nel campus dell’università del Bosforo. A fine anno, altri due studenti erano stati rinviati in custodia cautelare per aver protestato contro il nuovo rettore subentrato a Melih Bulu, ad agosto.

A marzo è iniziato il processo a 46 persone, tra cui difensori dei diritti umani, attivisti politici, giornalisti e parenti delle vittime di sparizioni forzate, soprannominate “Madri/persone del sabato”. Gli imputati erano stati incriminati ai sensi della legge sulle riunioni e le manifestazioni, per essersi rifiutati di disperdersi durante la loro settecentesima veglia settimanale, il 25 agosto 2018. Il caso è rimasto in sospeso.

Diciassette donne, che hanno partecipato alla Marcia notturna per celebrare la Giornata internazionale della donna dell’8 marzo, sono state arrestate e successivamente rilasciate sotto misure di controllo giudiziario per “aver insultato il presidente” e violato la legge sulle riunioni e le manifestazioni. Ad agosto, un tribunale di Istanbul ha accettato l’incriminazione e ha chiesto fino a otto anni di reclusione per ognuna.

Ad aprile, la gendarmeria ha risposto con gas lacrimogeni alla protesta degli abitanti del villaggio di İkizdere, nella provincia di Rize, contro la decisione di aprire una cava di pietra nel villaggio perché, secondo loro, avrebbe distrutto l’ambiente e inquinato l’acqua potabile. Alcuni sono stati arrestati e successivamente rilasciati. Le proteste sono continuate nonostante il divieto imposto dal governatorato di Rize.

A giugno, la marcia del Pride di Istanbul è stata vietata per il sesto anno consecutivo. La polizia ha fatto uso non necessario ed eccessivo della forza per disperdere le proteste e ha arrestato almeno 47 persone, tra cui il giornalista Bülent Kılıç. Sono stati rilasciati tutti più tardi in giornata. A novembre si è tenuta la prima udienza del procedimento giudiziario contro otto manifestanti ai sensi della legge sulle riunioni e le manifestazioni.

A ottobre, dopo due anni di processo per aver preso parte a una marcia del Pride nel campus, 18 studenti e un accademico del Politecnico di Ankara sono stati assolti. Il procuratore ha impugnato la decisione e a fine anno il caso era pendente in appello.

Libertà di associazione

La nuova legge sulla prevenzione del finanziamento della proliferazione delle armi di distruzione di massa ha influenzato negativamente le attività delle organizzazioni della società civile. A ottobre, il Gruppo di azione finanziaria internazionale ha aggiunto la Turchia alla sua “lista grigia” per un maggiore monitoraggio. Il Gruppo ha citato l’incapacità della Turchia di affrontare le sue gravi mancanze negli sforzi per combattere il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, compresa l’incapacità di applicare un approccio basato sul rischio alla supervisione del settore senza scopo di lucro.

A giugno, la Corte costituzionale ha accettato l’incriminazione emessa dal procuratore capo della Corte di cassazione, che chiedeva la chiusura dell’Hdp e il divieto di partecipare alla vita politica per cinque anni per i 451 suoi dirigenti e membri. L’Hdp è stato accusato di essere diventato il fulcro di azioni contrarie all’integrità dello stato, sulla base di procedimenti penali e condanne contro 520 persone, ai sensi di leggi antiterrorismo eccessivamente ampie.

Leggi anche:  La "nuova Siria" protettorato turco: una minaccia per Israele e non solo

Tortura e altri maltrattamenti

A gennaio, un giudice di pace penale di Diyarbakır ha respinto l’appello di Mehmet Sıddık Meşe contro la decisione di non dar corso alle sue denunce, secondo cui era stato gravemente picchiato dalle guardie nel carcere di tipo T n. 3 di Diyarbakır, nel dicembre 2020. Per tutto l’anno, l’ordine degli avvocati di Diyarbakır ha ricevuto segnalazioni simili da parte dei detenuti della stessa prigione. Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha visitato il carcere a gennaio, ma a fine anno la sua relazione non era ancora stata pubblicata.

A dicembre è stato avviato un processo penale contro Osman Şiban per “appartenenza a un’organizzazione terroristica”. Secondo quanto riferito, era stato torturato dai soldati a Van, nel 2020. A fine anno continuava il procedimento giudiziario contro quattro giornalisti che avevano seguito il caso di tortura.

A dicembre, Garibe Gezer, reclusa per crimini legati al terrorismo nel carcere di Kandira, è stata trovata morta per presunto suicidio nella sua cella d’isolamento. Prima della sua morte, aveva riferito di essere sistematicamente torturata e aggredita sessualmente dagli agenti di custodia. La procura aveva respinto un’indagine sulle sue accuse.

Sparizioni forzate

Hüseyin Galip Küçüközyiğit, ex consulente legale del primo ministro, accusato di legami con il movimento Fettullah Gülen, è riapparso nel carcere di Ankara a settembre, nove mesi dopo la sua sparizione forzata. Le autorità avevano negato che fosse in custodia ufficiale. A fine anno non si conoscevano ancora i dettagli su cosa gli era accaduto e dove era stato durante quei mesi.

A fine anno sono rimasti sconosciuti anche il destino e l’ubicazione di Yusuf Bilge Tunç, scomparso da agosto 2019.

Diritti di rifugiati e migranti

Secondo le autorità turche per l’immigrazione, a novembre la Turchia ospitava circa 5,2 milioni di rifugiati e migranti, tra cui 3,7 milioni di siriani con status di protezione temporanea.

A luglio, le autorità hanno annunciato l’ampliamento del muro esistente al confine con l’Iran. Nello stesso mese, il governatorato di Van ha annunciato che, da gennaio, era stato impedito a 34.308 persone l’ingresso nel paese da quel confine. Sono emersi rapporti secondo cui la Turchia ha continuato a respingere in Iran afgani che tentavano di entrare nel paese in modo irregolare. Ad agosto, dopo la presa di potere da parte dei talebani in Afghanistan, le autorità turche hanno dichiarato che non avrebbero permesso l’arrivo di un gran numero di afgani.

Ad agosto, 145 afgani sono stati arrestati in incursioni della polizia e trasferiti in un centro di rimpatrio nel distretto di Tuzla, a Istanbul. Nello stesso periodo, 30 afgani sono stati arrestati ad Ankara e detenuti dalle autorità di immigrazione in attesa dell’espulsione.

A settembre, le autorità di immigrazione hanno posto fine alla registrazione dei siriani per la protezione temporanea ad Ankara e hanno annunciato che avrebbero espulso i migranti irregolari senza status di protezione o permessi di soggiorno.

Sono aumentate le aggressioni violente contro i siriani. Ad agosto, una grande folla ha attaccato le case e le proprietà dei siriani nel distretto di Altındağ di Ankara, in seguito all’accoltellamento fatale di un giovane turco durante una rissa di strada tra giovani turchi e siriani.

A ottobre e novembre, le autorità di immigrazione hanno arrestato e detenuto, a fini di espulsione, 45 rifugiati siriani, perché avevano partecipato a un trend sui social media in cui condividevano video mentre mangiavano banane. Il trend, emerso come reazione a un video virale in cui una donna siriana era stata rimproverata dalla gente del posto che sosteneva di non potersi permettere le banane, è stato descritto dalle autorità come intenzionalmente provocatorio. Il giornalista siriano Majed Shamaa è stato tra gli arrestati.

La “lezione” potrebbe proseguire ancora a lungo. Ma basta e avanza per rendersi conto a chi l’Italia si è genuflessa. 

(seconda parte, fine)

Native

Articoli correlati