Se voleva essere una missione “distensiva”, ha ottenuto, come era prevedibile, anzi certo, l’esatto opposto. Nancy Pelosi sarà pure diventata la nuova eroina del popolo taiwanese, la sua visita “blindata” rischia di scatenare pesanti reazioni, non solo verbali, di Pechino, facendo salire la già alta temperatura politico-militare nel Pacifico.
Visita “esplosiva”
Atterrata ieri sera all’aeroporto Taipei Songshan Airport di Taiwan, la speaker della Camera dei Rappresentanti Usa ha in programma, oggi, l’incontro con la presidente Tsai Ing-Wen, in un faccia a faccia che la Cina considera una «grave provocazione» nei suoi confronti. Pelosi è la più alta carica Usa degli ultimi 25 anni a visitare l’isola, rivendicata dalla Cina come parte integrante del suo territorio. Appena atterrata sull’isola, accolta dal ministro degli Esteri taiwanese Joseph Wu, la speaker della Camera ha scritto su Twitter che «la visita a Taiwan dimostra l’incrollabile impegno dell’America nel sostenere la vivace democrazia taiwanese», sottolineando l’intenzione Usa di riaffermare il sostegno al partner asiatico e promuovere gli «interessi condivisi, incluso il progresso di una regione indo-pacifica libera e aperta».
La tensione è già elevatissima, con la Cina che annuncia esercitazioni militari nell’arco di qualche giorno e Taiwan che denuncia il blitz di oltre 20 caccia cinesi nella sua area di identificazione di difesa. Il ministero degli Esteri cinese ha convocato l’ambasciatore Usa a Pechino, Nicholas Burns, esprimendo «forte opposizione e ferma condanna» per la visita a Taiwan di Pelosi. Gli Stati Uniti hanno comunicato che vigileranno sul viaggio di Pelosi nell’isola. «Stiamo monitorando il viaggio della Pelosi e vigileremo per garantire la sua sicurezza» ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby. Pechino ha accusato gli Usa di «tradimento » e di essere «il più grande distruttore della pace odierna». Il ministro degli Esteri Wang Yi, in una nota, ha detto che il principio della Unica Cina «è il consenso universale, la base politica per gli scambi della Cina con altri Paesi, il nucleo di interessi fondamentali e una linea rossa e di fondo insormontabili».
Alcuni politici «si preoccupano solo dei propri interessi, giocano apertamente con il fuoco su Taiwan e diventano nemici di 1,4 miliardi di cinesi che non finiranno mai bene». L’Ufficio per gli affari di Taiwan del Comitato centrale del Pcc rincara la dose, scrivendo che la visita di Pelosi «è un’escalation della collusione tra Taiwan e Stati Uniti, che è di natura pessima e che ha conseguenze molto gravi», «di una grave violazione della sovranità e dell’integrità territoriale della Cina, una grave violazione del principio della Unica Cina». Situazione critica anche sul fronte militare e del controllo domestico. Pechino ha annunciato che si terranno esercitazioni militari al largo di Taiwan dopo lo sbarco della presidente della Camera dei rappresentanti Nancy Pelosi. Le esercitazioni, che si terranno in sei zone attorno a Taiwan dal 4 al 7 agosto, includeranno operazioni di tiro di artiglieria a lungo raggio e lanci di missili nel mare a Est di Taiwan. Il ministero della Difesa di Taipei ha risposto dicendo di avere «piena comprensione delle attività vicino a Taiwan’’ e che ’’invierà forze appropriate in relazione alle minacce” Taiwan ha già denunciato l’incursione di 21 caccia cinesi nella sua area di identificazione di difesa, tra cui otto J-11 e dieci J-16, tutti entrati nell’area di sudest rispetto all’isola, come prova di forza in vista della visita a Taipei della presidente della Camera Usa. Il ministero della Difesa taiwanese, inoltre, ha risposto «alle voci online secondo cui i caccia Su-35 della Pla avrebbero attraversato lo Stretto di Taiwan», definendole solo «fake news». Il blitz dei Su-35 era stato annunciato con enfasi dal network statale di Pechino, la Cctv. Linea dura anche nei confronti delle attività per l’indipendenza taiwanese. «Qualsiasi attività che cerchi l’indipendenza di Taiwan sarà schiacciata dalle potenti forze anti-secessione e pro-riunificazione del popolo cinese». Nessuna delle più alte cariche degli Stati Uniti d’America aveva messo piede a Taiwan negli ultimi 25 anni, e i due Paesi non hanno relazioni diplomatiche formali, ma forti legami economici e militari. La Borsa di Hong Kong ha triplicato le perdite segnate in apertura in scia ai timori di una crisi Usa-Cina per la possibile visita della presidente della Camera americana: l’indice Hang Seng cede il 3,01%, a 19.558,69 punti, mentre affonda il comparto dei tecnologici con l’Hand Seng Tech a -4,37%.
La visita è durata 19 ore. Prima di ripartire, direzione Seoul, Pelosi ha incontrato un piccolo gruppo di attivisti pro-democrazia a Taiwan, tra cui l’ex proprietario della libreria Causeway Bay Lam Wing-kee, fuggito sull’isola da Hong Kong nel 2019. Si è trattato, dopo il colloquio con la presidente Tsai Ing-wen, della parte più delicata della visita a Taipei che ha scatenato le ire di Pechino. Come riferisce il South China Morning Post, all’incontro a porte chiuse al Jing-Mei Human Rights Memorial and Cultural Park c’erano anche: Lee Ming-che, dipendente di una Ong taiwanese arrestato nella Cina continentale per sovversione nel 2017 e rilasciato quest’anno e l’ex leader del movimento studentesco di Tiananmen, Wuer Kaixi. In un’intervista alla Reuters prima dell’incontro, Lam aveva anticipato di voler chiedere a Pelosi l’aiuto della Casa Bianca per coloro che da Taiwan non possono tornare a Hong Kong, ma nemmeno ottenere le carte d’identità taiwanesi per recarsi negli Stati Uniti.
Duplice partita
Di grande interesse è l’analisi, su Haaretz, di Alon Pinkas, alla vigilia dello “sbarco” a Taiwan della combattiva speaker Usa.
“[…] L’unico chiaro vantaggio della visita della speaker Nancy Pelosi a Taiwan, nell’ambito del suo tour in Asia – annotava Pinkas – è che consente a Stati Uniti e Cina di esercitare dal vivo le rispettive dottrine e meccanismi di gestione dei rischi e delle crisi. Con la Cina desiderosa di flettere i muscoli e proiettare potenza, certamente sullo sfondo del fallimento della Russia in Ucraina, e con uno zeitgeist “duro con la Cina” a Washington, entrambe le nazioni hanno avuto una rara opportunità di praticare la modalità di simulazione di crisi. Finora, gli Stati Uniti si sono mostrati moderati e misurati, mentre la Cina si è scatenata in una ridda di minacce, tra cui quella del suo ministro della Difesa, che qualche settimana fa a Singapore ha dichiarato che “la Cina non esiterà a usare la forza militare in una guerra su Taiwan”, seguita da avvertimenti inquietanti e nervosi da parte di altri funzionari cinesi su ciò che Pechino potrebbe fare se, il cielo non voglia, Pelosi atterrasse a Taipei. La risposta vocale della Cina potrebbe benissimo essere una postura predeterminata. Di sicuro, nessuno a Pechino pensa che la geopolitica sarà influenzata dalla visita, né che il potere della Cina ne sarà diminuito. La spiegazione, quindi, è probabilmente da ricercare nell’agenda politica interna del presidente Xi Jinping in vista della sua nomina a terzo mandato consecutivo come segretario generale del Partito Comunista Cinese e presidente della Cina.
Nancy Pelosi ha ragione. La speaker della Camera dei Rappresentanti è la seconda in linea di successione alla presidenza, dopo il vicepresidente, e se desidera visitare il Paese sovrano di Taiwan, sostenere la democrazia taiwanese e assicurarle gli impegni assunti dagli Stati Uniti, ne ha tutto il diritto e non le si può impedire di farlo.
Pelosi a Taiwan è un messaggio all’ecosistema della politica estera americana: Smettetela di subire le prepotenze della Cina, smettetela di essere intimiditi senza motivo e di essere ansiosi per le minacce cinesi, smettetela di analizzare ogni dichiarazione cinese alla ricerca di segni di aggressione e smettetela di flirtare con scenari apocalittici.
Joe Biden ha ragione. Se il Presidente degli Stati Uniti, nella sua veste e autorità costituzionale di leader che elabora, definisce, modella, dà priorità ed esegue la politica estera e di difesa, ritiene che una visita di Pelosi sia inopportuna in questo momento e abbia il potenziale di creare inutili tensioni, la Presidente Pelosi avrebbe dovuto ripensarci, nonostante le sue decennali aspre critiche alla Cina.
Taiwan ha ragione. Sottoposta a cinquant’anni di costanti minacce cinesi di invasione e di un’unificazione forzata a cui Taipei non è interessata, è naturale che Taiwan accolga con favore una visita della Pelosi, riaffermando l’impegno degli Stati Uniti per la sua sicurezza.
La Cina ha (mezza) ragione. Una visita di Pelosi può essere comprensibilmente interpretata come un’ingerenza americana in quella che Pechino considera una questione palesemente interna alla Cina e un intervento ingiustificato nelle relazioni tra Cina e Taiwan. La visita di Pelosi genererà ulteriore diffidenza, ma non cambierà la geopolitica della regione, quindi perché farla? Dal punto di vista del Presidente Xi Jinping, la visita di Pelosi conferma la tesi di fondo della Cina: Il sistema internazionale è modellato dagli Stati Uniti sulla base di realtà e condizioni del 1945 e risponde agli interessi egemonici americani. Non riflette l’ascesa e il potere della Cina. La Cina non sta sfidando gli Stati Uniti per la supremazia, ma vuole una divisione più chiara delle sfere di influenza. L’incontro tra Pelosi e il presidente taiwanese Thai In-wen è la prova che Washington sta facendo tutto il possibile per frenare la richiesta della Cina di essere riconosciuta come superpotenza.
Quando tutti hanno ragione, cosa si ottiene? Una crisi. Non voluta e prevenibile, ma comunque una crisi. I ministeri cinesi della Difesa e degli Esteri hanno messo in guardia da una conflagrazione, con vari portavoce agitati che hanno descritto nei dettagli ciò che pensano possa fare la Cina. Allo stesso tempo, oltre 250.000 utenti di Internet sono incollati alle applicazioni di tracciamento dei voli e alle mappe che seguono ogni miglio del volo C40 SPAR19 dell’aeronautica statunitense, l’aereo che trasporta Pelosi.
Ma la verità è che il Presidente Biden può solo cercare di persuadere, ma non può impedire a Pelosi di andare a Taiwan. La separazione dei poteri tra il ramo esecutivo e quello legislativo negli Stati Uniti è chiara e la presidente Pelosi è a capo di un ramo del governo separato ma coeguale. Questo è un aspetto che i cinesi possono comprendere in teoria, ma con cui non riescono a fare i conti. Per quanto ne sanno, il Presidente avrebbe potuto e dovuto cancellare il viaggio.
La Casa Bianca non ha potuto fare altro che cercare di esprimere il proprio disappunto attraverso il Pentagono e il Consiglio di Sicurezza Nazionale. Ma se Biden fosse riuscito a persuadere la Pelosi che l’equazione costi-benefici di una simile visita è nettamente negativa, ciò avrebbe incoraggiato la Cina, che avrebbe dedotto che l’intimidazione e le minacce funzionano e che ha il potere di porre il veto a una visita del Presidente della Camera in un Paese terzo. Questo non sarebbe di buon auspicio per futuri stalli.
La visita della Pelosi presenta anche un dilemma di politica estera, evidenziando la difficoltà di trovare un equilibrio tra l’impegno a difendere Taiwan dall’aggressione cinese, assunto dal Presidente Biden in tre diverse occasioni nell’ultimo anno, e l’adesione ufficiale di Washington alla politica di “una sola Cina” e alla politica complementare di “ambiguità strategica” americana su Taiwan.
La storia del coinvolgimento americano a Taiwan è di per sé piuttosto ambigua. Nel 1954, dopo la guerra di Corea, gli Stati Uniti firmarono un trattato di difesa con Formosa – il nome portoghese dell’isola, che precedeva “Taiwan”. Un anno dopo, il Congresso degli Stati Uniti approvò la Risoluzione di Formosa, che autorizzava il Presidente a proteggere le isole situate nello Stretto di Taiwan, vicino alla Cina continentale, in seguito ai bombardamenti cinesi sulle isole nel 1954-1955.
L’innovativo viaggio del presidente Richard Nixon in Cina nel 1972 diede il via a una nuova era nelle relazioni tra America e Cina e nel 1979 il presidente Jimmy Carter stabilì relazioni diplomatiche complete. Su richiesta della Cina, gli Stati Uniti declassarono le relazioni con Taiwan, senza mai riconoscerne ufficialmente la sovranità, ma Carter firmò la legge sulle relazioni con Taiwan, che stabiliva che gli Stati Uniti avrebbero fornito a Taiwan mezzi e piattaforme militari sufficienti per difendersi, lasciando però vaga la portata dell’impegno.
I due pilastri della politica statunitense, “ambiguità strategica” e “una sola Cina”, sono rimasti intatti, fino a quando Biden ha promesso la protezione degli Stati Uniti nonostante non esista alcuna alleanza o patto formale con Taiwan. Per la Cina, queste dichiarazioni sono state interpretate come un flagrante allontanamento dalla politica precedente e sono state ulteriormente rafforzate dalla creazione da parte degli Stati Uniti dell’alleanza Quad con India, Australia e Giappone.
Questi sviluppi hanno alienato la Cina e l’hanno convinta che l’aggressione di Washington è volta a limitare lo spazio di manovra e la sfera di influenza di Pechino nel Mar Cinese Meridionale.
Vista da Pechino, la visita di Pelosi è deliberata e coerente con questa traiettoria. Dal suo punto di vista, è impensabile che non ci sia dietro il presidente Biden.
Questa crisi artificiale si concluderà probabilmente con un retorico “tit-for-tat”. Ma in base all’evoluzione delle relazioni tra Stati Uniti e Cina e all’animosità e al fervore suscitati dal viaggio di Pelosi, non sarà certo l’ultima crisi di questo tipo”.
Così l’analisi di Pinkas.
Mentre Nancy Pelosi salutava Taiwan, la Cina apriva le grandi manovre militari. Morale: quando le buone intenzioni, almeno quelle dichiarate, finiscono per rendere il Pacifico una polveriera pronta a esplodere. E se così fosse, la guerra in Ucraina apparirebbe come una rissa da discoteca.