Le amicizie italiane di Aleksandr Dugin: allarme "nero"
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Le amicizie italiane di Aleksandr Dugin: allarme "nero"

Dugin sostiene che le ancore tradizionali che in passato fornivano accesso al metafisico, al sublime e al sacro sono state sradicate e dimenticate.

Le amicizie italiane di Aleksandr Dugin: allarme "nero"
Dugin e Gianluca Savoini il leghista vicino a Matteo Salvini
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

21 Agosto 2022 - 17.33


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Un “ideologo” a tutto campo. E’ Aleksandr Dugin. A darne conto è sempre Amit Varshizky.

“La dottrina di Dugin – annota lo storico su Haaretz – non si limita agli interessi politici o economici. Egli pretende di esporre una rivoluzione concettuale, una visione olistica del mondo che ha implicazioni per tutte le sfere della vita sociale e radica gli assunti di base sulle questioni esistenziali, metafisiche e morali. La civiltà occidentale, sostiene, è in uno stato di declino e disintegrazione. La ragione: è basata su false fondamenta filosofiche, una visione del mondo spuria la cui genesi risiede nel modernismo, che lui definisce un “errore catastrofico”. Le prove del collasso interno dell’Occidente sono ovunque: dal radicamento del relativismo morale, la politica dell’identità e la correttezza politica, all’aumento dell’individualismo rapace e l’indebolimento della solidarietà sociale, aggravato dall’abbandono della tradizione, della religione e dalla santificazione dell’utilitarismo materiale.

Come vede Dugin, sulla scia della caduta dell’Unione Sovietica e del trionfo del capitalismo, il liberalismo ha cessato di esistere come una teoria politica tra le tante, ed è diventato il modo esclusivo, percepito come una necessità storica. Il politico si fonde così nell’economico mentre gli interessi e i confini nazionali vengono ridisegnati in base alle condizioni del mercato globale. Ma la verità è che il globalismo economico non è altro che un assalto del mondo liberale alle civiltà non occidentali, un tentativo di cancellare le loro culture singolari e i loro valori tradizionali e di subordinarli all’idea di un mondo unipolare governato dagli Stati Uniti.

Il modernismo, sostiene Dugin, non è un periodo storico. È un paradigma di pensiero, un’epistemologia che si basa sull’idea che nulla è sacro, tutto è materiale. L’esistenza moderna si basa su un approccio materialista, meccanicista e determinista, che riduce le persone a processi causali esterni e le priva della libertà interiore. Le ancore tradizionali che in passato fornivano accesso al metafisico, al sublime e al sacro sono state sradicate e dimenticate. L’individuo rimane così solitario e alienato, privato di un’esperienza interiore formativa, privo di coscienza storica e disconnesso dall’ambiente sociale.

Le libertà individuali e i diritti umani e civili, che sono presentati come verità universali, sono solo astrazioni artificiali, strumenti ideologici che servono ai gruppi di potere per gettare fumo negli occhi delle masse e preservare il loro dominio economico e politico. Valori come l’universalismo, l’oggettivismo e il positivismo sono una copertura per un apparato dittatoriale destinato a costruire una coscienza liberale. L’inevitabile punto finale del “dogmatismo liberale”, come lo definisce lui, è annullare la cultura – una guerra di tutti contro tutti che porta i principi della libertà liberale alle loro assurde estremità ed espone la spinta dittatoriale del pensiero liberale.

In risposta a tutto questo, Dugin propone una nuova teoria politica, una che metta al centro i principi di giustizia sociale, sovranità nazionale e valori tradizionali, e che agisca come un ponte tra la sinistra sociale e la destra politica, tra il nuovo e il vecchio, tra la ragione e la fede. Nel 2009, ha pubblicato un trattato, “La quarta teoria politica”, che propone un’alternativa ai tre grandi paradigmi politici della teoria modernista: liberalismo, comunismo e fascismo. Il comunismo, sostiene, ha fallito a causa del suo approccio materialista alla storia, la sua ossessione per le strutture di classe, il suo atteggiamento eretico verso la religione e l’aspettativa errata di un progresso unidirezionale. Il fascismo era destinato al fallimento perché basato sulla supremazia razziale e sul culto dello Stato. Il liberalismo, che poneva l’individuo al centro della vita economica e politica, lasciava le persone deboli e scollegate e minava la società.

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La campagna in Ucraina significa quindi una nuova era che determinerà se il futuro del mondo risiede nella molteplicità e nel pluralismo o nell’unipolarismo dittatoriale sotto l’egemonia americana.

La quarta teoria politica propone un percorso che non è stato ancora provato. Invece della classe, dello stato e della razza, o dell’individuo, pone un fondamento diverso per l’idea politica: il concetto di Dasein, la parola tedesca che significa “essere lì” o “essere nel mondo”, che ha origine con il più grande filosofo tedesco del XX secolo, e senza dubbio il più controverso di essi: Martin Heidegger.

Dugin ha scritto 14 volumi su Heidegger – i cui legami con il partito nazista continuano ad offuscare la sua eredità – e vede la sua filosofia come una chiave per superare il modernismo e il mondo materialista che rappresenta. Secondo lui, questo è il modo per scoprire il nucleo interno e autentico dello spirito russo, che è l’ultimo “altro” dell’Occidente. Come scrive, “Padroneggiare Heidegger è il principale compito strategico del popolo russo e della società russa a breve termine, la chiave del domani russo”.

Dugin applicherebbe le categorie del pensiero heideggeriano al pensiero e al linguaggio russo, e quindi rinnoverebbe l’affinità collettiva dei russi alla radice della loro esistenza: il nucleo interiore primordiale che ha generato il “russismo”, che è stato dimenticato nell’era moderna. Dugin si oppone al liberalismo, al fascismo e al comunismo perché le tre ideologie sono prodotti salienti del modernismo e si basano sullo stesso paradigma concettuale: credere nel progresso, nello sviluppo, nella crescita lineare, nell’evoluzione, nel miglioramento costante della società, nella modernizzazione. Egli definisce questo approccio alla storia un “processo monotono” e dedica ampie discussioni a confutare la sua validità logica e scientifica. Per come la vede lui, il processo monotono è un assioma che appartiene al XIX secolo ed è stato da tempo confutato dalla fisica moderna, dalle scienze sociali e dall’esperienza storica del XX secolo. Il processo monotono è scollegato dalla realtà biologica ed è contrario alla vita; può produrre solo distruzione e morte.

Per esempio, la credenza liberale nella crescita economica costante in un mondo di risorse limitate è rovinosa e porta alla perdizione inevitabile. La vita non è uno sviluppo lineare o una sequenza causale di eventi di direzione preordinata, ma un giro ciclico di nascita, crescita, vecchiaia e morte. Di conseguenza, il mito moderno del progresso deve essere soppiantato dal mito premoderno e astorico dell’eterno ritorno.

Quei legami con la Germania pre nazista

Il modello filosofico proposto da Dugin è un tipo di rivoluzionario conservatore che assomiglia alla corrente filosofica che sorse in Germania nel periodo tra le due guerre. Offuscava le distinzioni convenzionali tra destra e sinistra, fondeva elementi progressisti e reazionari, razionali e mistici, e coltivava idee che in seguito trovarono posto nell’ideologia nazionalsocialista. Secondo Dugin, il rivoluzionarismo conservatore non aspira a rallentare la corsa della storia, come farebbero i conservatori liberali, o a tornare al passato, come i conservatori tradizionali. Il suo scopo, piuttosto, è quello di “estrarre dalla struttura del mondo le radici del male, abolire il tempo come qualità distruttiva della realtà, e così facendo realizzare una sorta di intenzione segreta, parallela e non evidente della Divinità stessa”.

Conoscere il nemico

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Due settimane dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Dugin ha dichiarato che la guerra (o l'”operazione”, come si è rapidamente corretto, nello spirito della terminologia dettata dal Cremlino) annuncia la fine dell’idea del mondo unipolare che è governato da una sola civiltà. Gli eventi riflettono quindi uno scontro di civiltà: “modernismo contro tradizione, materialismo contro decenza e potenza militare”. Questa lotta non riguarda la religione, la razza o il nazionalismo, è una lotta geopolitica: “Senza l’Ucraina, la Russia non sarà mai un impero, con l’Ucraina sarà un impero”. Dalla caduta dell’Unione Sovietica, dice Dugin, la Russia ha cercato di integrarsi nella visione globale ma ha fallito, perché quella visione non è compatibile con la sua vera essenza. La campagna in Ucraina significa quindi una nuova era che determinerà se il futuro del mondo risiede nella molteplicità e nel pluralismo o nell’unipolarismo dittatoriale sotto l’egemonia americana. Dugin è un filosofo profondo, incisivo e vigoroso, e le sue frecce critiche sono affilate, ben ragionate e rivolte al ventre molle del liberalismo. Di conseguenza, il suo lavoro è popolare tra ampi circoli dell’intellighenzia nel mondo non occidentale e risuona anche tra la destra profonda in Occidente, così come tra i gruppi rivoluzionari di sinistra. Tutti coloro che credono nell’importanza dei valori di libertà e democrazia farebbero bene ad ascoltare attentamente ciò che ha da dire. Il sentimento di repulsione che molti in Occidente condividono – per quanto riguarda la rapacità aziendale, le disparità economiche nella società e la disuguaglianza nella distribuzione delle risorse globali, la distruzione dell’ambiente da parte del consumismo rampante ed edonistico, la sottomissione della vita intellettuale e culturale ad un’economia di mercato iper-capitalista, e tutta una serie di altri mali neoliberali – deve servire come luce di avvertimento e suscitare una vera apprensione per il futuro dell’Occidente liberale.

Se la società aperta vuole sopravvivere, ha bisogno di prendere sul serio le idee dei suoi critici e maligni, e non liquidarle con sdegno. Perché non è stato molto tempo fa che l’opposizione al liberalismo ha generato potenti reazioni ideologiche la cui attuazione politica ha comportato uccisioni e distruzioni su una scala senza precedenti. Il filosofo ebreo-tedesco Ernst Cassirer scrisse dopo la Seconda Guerra Mondiale: “Per combattere un nemico devi conoscerlo. Questo è uno dei primi principi di una buona strategia. Conoscerlo non significa solo conoscere i suoi difetti e le sue debolezze; significa conoscere la sua forza. Tutti noi siamo stati soggetti a sottovalutare questa forza. Quando abbiamo sentito parlare per la prima volta dei miti politici li abbiamo trovati così assurdi e incongrui, così fantastici e ridicoli che difficilmente potevamo essere convinti a prenderli sul serio. Ormai è diventato chiaro a tutti noi che questo è stato un grande errore. Non dovremmo commettere lo stesso errore una seconda volta. Dovremmo studiare attentamente l’origine, la struttura, i metodi e le tecniche dei miti politici. Dovremmo vedere l’avversario faccia a faccia per sapere come combatterlo”, conclude lo storico.

Gli amici italiani

E qui si apre un altro capitolo molto interessante. E inquietante. Le amicizie italiane del “Rasputin di Putin”.

Di grande interesse è il dossier curato per fanpage.it da Marco Billeci. Il report è del 1° agosto 2019.

“Conosco Salvini personalmente, credo che sia il miglior leader dell’Europa nuova, è l’uomo del futuro”. Il filosofo russo Aleksandr Dugin non ha mai nascosto la sua ammirazione per il leader leghista Matteo Salvini. Lo ribadisce anche il 9 giugno scorso, quando parla davanti alla platea dei giovani della Lega, riuniti in una sala del castello di Monteruzzo a Castiglione Olona. A introdurre l’incontro tra Dugin e il movimento giovanile del Carroccio è un personaggio destinato di lì a poco a riempire le cronache dei media italiani: Gianluca Savoini.

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Lo stretto rapporto tra l’ex portavoce di Salvini e Dugin è noto da tempo. Non si sa invece se lo studioso – considerato da molti uno degli intellettuali più vicini a Putin – possa aver avuto un qualche ruolo nella cosiddetta trattativa del Metropol, l’incontro del 17 ottobre 2018 in cui Savoini ha discusso con alcune personalità russe di un possibile finanziamento da Mosca verso la Lega, da portare a termine tramite la compravendita di una partita di petrolio. Di certo c’è che Dugin viene fotografato insieme a Savoini e agli altri italiani seduti al tavolo del Metropol il giorno precedente a quello dell’incontro nell’hotel moscovita, nelle stesse ore in cui il ministro dell’Interno italiano si trova in visita ufficiale nella capitale russa. Un altro summit con gli stessi protagonisti si sarebbe svolto qualche settimana prima, il 25 settembre a Roma.

Nel giugno scorso, invece, Dugin si trova in Italia per un giro di conferenze lungo tutta la Penisola. Un tour che suscita forti polemiche per le controverse posizioni del teorico del populismo come “quarta teoria politica”. E anche perché a organizzare il ciclo di convegni è l’associazione REuropa, che raccoglie una serie di personaggi legati alla storia della destra radicale e del neofascismo, come Rinaldo Graziani, figlio di Clemente, uno dei fondatori di Ordine Nuovo.

Accanto agli appuntamenti ufficiali, durante il suo viaggio in Italia il filosofo russo ha anche una serie di faccia a faccia privati con “parlamentari e uomini e donne delle istituzioni”, come raccontato da Graziani sul suo profilo Facebook. Tra questi ci sono anche Salvini o altri maggiorenti della Lega? “No”, ribatte l’organizzatore della tournée che però glissa sui nomi delle controparti: “Non sarebbe buona educazione rivelarli, ma non c’è nulla di rilevante”.

Nonostante questo e nonostante il fatto che, come detto, a Savoini venga affidato il saluto introduttivo dell’iniziativa, tutti smentiscono che sia stato lui a organizzare il meeting tra Dugin e le nuove leve leghiste. “Conosco Savoini, ma non è stato lui a fare da tramite tra REuropa e i giovani della Lega”, dice Graziani.  Davide Quadri – responsabile esteri della giovanile leghista e sul palco della conferenza insieme allo studioso russo – dà questa versione: “Il contatto con Dugin è arrivato non unicamente tramite la figura di Gianluca. In quell’occasione Savoini era un’ospite, anche in virtù di un rapporto personale tra noi e lui”.

Tra gli eventi pubblici, invece, quello con i giovani leghisti è l’unico dal carattere strettamente politico. “La Lega è l’avanguardia della storia, della lotta dei popoli per la liberazione dalle élite mondiali”, arringa Dugin dal palco. Dai video disponibili su Youtube, si può vedere Savoini applaudire dalla prima fila il suo discorso. E nelle immagini a margine dell’evento, il presidente dell’Associazione Lombardia-Russia compare sempre a fianco dello studioso”.

Così Billeci.

Salvini si candida a “rigovernare” l’Italia. La galassia neofascista sostiene, più o meno palesemente, Giorgia Meloni. Basta e avanza per far scattare l’allarme rosso. Anzi, visti i soggetti in campo, “nero”.

(seconda parte, fine) 

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