Dal Sole24Ore di ieri: “Nuova seduta di acquisti sui titoli oil, con il prezzo del greggio in salita. A Piazza Affari bene Tenaris -0,07% ma soprattutto Eni -0,12/ dopo che l’ad Claudio Descalzi ha incontrato i vertici della compagnia petrolifera libica National Oil Company (Noc) e rinnovato gli impegni in Libia. «La Libia ha rappresentato circa il 10% della produzione totale dell’azienda nel 2021. E’ una buona notizia», commentano gli analisti di Banca Akros. A Roma Descalzi ha incontrato i vertici della compagnia libica guidati dal presidente Farhat Omar Bengdara. Al centro dell’incontro le attività di Eni in Libia, presente nel paese dal 1959 con un ruolo di leader nella produzione di idrocarburi, e i progetti strategici. Il numero uno dell’Eni ha espresso la volontà di lanciare una nuova fase di investimenti in Libia per aumentare la produzione di gas nel Paese facendo leva sul significativo potenziale esplorativo e sugli impianti esistenti che garantiscono l’accesso al mercato domestico e a quello di esportazione europeo. La compagnia libica intende poi incrementare la produzione giornaliera del Paese fino a 2 milioni di barili di olio al giorno e Descalzi ha confermato il supporto di Eni nel raggiungimento di questo obiettivo, a reciproco vantaggio delle parti. Descalzi e Bengdara hanno discusso anche di progetti legati alle rinnovabili da realizzare in Libia”.
Gas non olet
La diplomazia degli affari impera e a dirigerla è il vero ministero degli Esteri italiano, di certo nel Mediterraneo ma non solo, che è l’Eni. Ma gioire per gli affari fatti con autorità di un Paese che fa scempio dei più elementari diritti umani, in mano a signori della guerra spacciati per governanti, dove esiste un connubio documentato da decine di report e centinaia di testimonianze, tra milizie e tribù in armi, trafficanti di esseri umani e rais locali – la Libia – questo dovrebbe essere francamente troppo.
Quei crimini contro l’umanità
Il 29 giugno un rapporto Onu, reso noto a Ginevra, denuncia gravissimi abusi sulla pelle dei migranti detenuti in Libia. Gli investigatori delle Nazioni Unite, nel documento, hanno stilato un elenco atroce di violenze che parla di omicidi, torture e di migranti tenuti in schiavitù, con un capitolo a parte dedicato alle donne che vengono violentate in cambio di cibo e acqua.
Nel rapporto viene esplicitato che i migranti che cercano di raggiungere l’Europa subiscono violenze sessuali da parte di vari trafficanti, spesso con l’obiettivo di estorcere denaro alle famiglie rimaste nei paesi di origine. “La missione conoscitiva dell’Onu ha fondati motivi per ritenere che crimini contro l’umanità siano stati commessi contro migranti in Libia”. Il documento si basa su numerose testimonianze rese dagli stessi detenuti. Migliaia di migranti sono detenuti nei centri gestiti dalla Direzione per la lotta all’Immigrazione illegale (Dcim), in strutture controllate da gruppi armati non statali o tenuti prigionieri dagli stessi trafficanti.
I migranti sono detenuti in modo “arbitrario e sistematico”, sono vittime di “omicidio, sparizione forzata, tortura, riduzione in schiavitù, violenza sessuale, stupro e altri atti disumani”, si legge nel rapporto. Le donne migranti, anche minori, sono soggette a violenza sessuale sistematica e affermano di essere state “costrette a fare sesso in cambio di cibo o altri prodotti essenziali”.
Tra le vittime di violenza sessuale figurano anche molti uomini. Gli autori del rapporto, inoltre, spiegano che proprio per il rischio “noto” di violenze sessuali, alcune “donne e ragazze migranti si sono premunite attraverso impianti contraccettivi prima di intraprendere il viaggio verso la Libia per evitare gravidanze indesiderate”. Una donna migrante, tenuta prigioniera ad Ajdabiya, ha raccontato agli investigatori dell’Onu che i suoi rapitori le chiedevano sesso in cambio di acqua, acqua di cui aveva bisogno per il suo bambino malato di sei mesi.
La missione conoscitiva, creata nel giugno 2020 dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha il compito di documentare gli abusi commessi in Libia dal 2016. Il suo mandato sta finendo ma un gruppo di paesi africani ha depositato una bozza di risoluzione per prorogarlo di nove mesi. Se ne parlerà alla fine della prossima settimana. Lo scorso ottobre, gli investigatori hanno assicurato che crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati commessi in Libia dal 2016, anche nelle carceri e contro i migranti. Tuttavia, l’elenco dei presunti autori di queste atrocità rimane riservato.
E 20 migranti sono stati trovati morti per la sete nel deserto della Libia, ai confini con il Ciad, dopo che il loro veicolo è andato in panne nel caldo infernale. Lo hanno riferito il servizio di “soccorso ed emergenza” della città di Kufra, nell’estremo sud-est del Paese, in una nota pubblicata assieme a un video che mostra corpi in stato di decomposizione sulla sabbia vicino al mezzo.
I corpi sono stati scoperti da un camionista che viaggiava attraverso il deserto e sono stati recuperati martedì a circa 310 km a sud-ovest di Kufra e 120 km dal confine con il Ciad. “L’autista si è perso… e crediamo che il gruppo sia morto nel deserto circa 14 giorni fa, dato che l’ultima chiamata trovata su un telefono cellulare c’è stata il 13 giugno”, ha detto al telefono il capo dell’ambulanza di Kufra Ibrahim Belhasan. Due dei corpi erano libici e si crede che gli altri fossero migranti provenienti dal Ciad che attraversavano illegalmente la Libia, ha detto Belhasan.
In questa zona arida del deserto libico con una popolazione molto bassa, le temperature possono superare i 40 gradi in estate. Il deserto a sud della Libia, Paese sprofondato nel caos dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi nel 2011, è diventato negli ultimi anni un punto caldo per il contrabbando di merci e l’immigrazione clandestina.
Migliaia di migranti attraversano ogni anno i porosi confini della Libia dal Sudan, Niger e Ciad, per venire a lavorare in questo Paese o per tentare la traversata del Mediterraneo verso l’Europa. I casi di migranti dispersi o trovati morti in mezzo al deserto sono frequenti.
Le richieste di Medici senza frontiere…
Il 20 giugno, in una nota pubblica, Msf ha chiesto ai Paesi sicuri, come gli Stati europei e del Nord America, di offrire protezione ai migranti intrappolati in Libia e accelerare con urgenza l’evacuazione dal paese dei più vulnerabili, rafforzando i meccanismi già esistenti e aprendo canali alternativi.
Fin dal 2016, con l’avvio dei progetti rivolti ai migranti in Libia, Msf si è trovata più volte di fronte all’impossibilità di proteggerli da abusi e violenze, dentro e fuori i centri di detenzione, e alla difficoltà di garantire una continuità di cure mediche alle persone con gravi patologie sia fisiche che psicologiche, in particolare le vittime di tortura.
“In Libia la maggior parte dei migranti è vittima di detenzioni arbitrarie, torture e violenze, incluse quelle sessuali”, ha dichiarato in quell’occasione la dr.ssa Claudia Lodesani, responsabile delle operazioni di Msf in Libia. “La loro possibilità di ottenere una protezione fisica e legale è estremamente limitata, per questo la rotta migratoria, spesso mortale, attraverso il Mediterraneo rimane l’unica via di fuga. Crediamo che i paesi sicuri – specialmente nell’Unione Europea, che da anni finanzia la guardia costiera libica e sostiene i respingimenti forzati dei migranti in Libia – abbiano il dovere di facilitare l’evacuazione e la protezione, sul proprio territorio, di queste persone vittime di violenza”.
Nel rapporto “Out of Lybia”che descrive i punti deboli dei meccanismi di protezione esistenti per le persone bloccate in Libia. I pochi canali legali verso paesi sicuri messi a punto da Unhcr e dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) sono lenti e restrittivi. Possono accedere alla registrazione solo le persone di 9 nazionalità, l’accesso alla registrazione è quasi inesistente al di fuori di Tripoli e nei centri di detenzione e i posti di ricollocamento nei paesi di destinazione sono limitati. Delle circa 40.000 persone registrate con il programma di ricollocamento dell’Unhcr, solo 1.662 hanno lasciato la Libia lo scorso anno, mentre 3.000 sono partite con il programma di rimpatrio volontario dell’Oim. Circa 600.000 migranti vivono attualmente in Libia.
Il rapporto di Msf presenta diverse soluzioni alternative, come quelle promosse dalle organizzazioni umanitarie in collaborazione con i governi. In Italia è stato aperto un corridoio umanitario per permettere l’evacuazione di alcune persone altamente vulnerabili e che necessitano di protezione, tra cui alcuni pazienti assistiti da MSF in Libia. In Francia, è in corso un dialogo con le autorità per evacuare sopravvissuti a tortura e violenza e persone con gravi patologie mediche che una volta arrivate in Francia verrebbero prese in carico da Msf. Msf chiede che questo tipo di meccanismo venga replicato anche in altri paesi sicuri.
“L’assistenza medica a persone detenute arbitrariamente e per un periodo di tempo indefinito, o che sono a rischio di violenze sistematiche, ci pone davanti a molti dilemmi” dichiara Jérôme Tubiana, responsabile advocacy di Msf per la Libia. “Concretamente, quello che possiamo fare per aiutare queste persone è limitato. Per proteggere davvero i soggetti più vulnerabili dobbiamo prima di tutto farli uscire dal sistema di detenzione e portarli fuori dalla Libia”.
E le balle di Giorgia
Scrive in proposito Gianfranco Schiavone su Il Riformista: “Con la consueta aggressività che la contraddistingue, il 19 agosto, la signora Meloni si lasciava andare, in una intervista rilasciata a Fanpage, alle seguenti affermazioni:«Anche con una interpretazione molto generosa delle norme sui rifugiati che è stata applicata dall’Italia in questi anni solamente l’8% di chi è sbarcato illegalmente ha ottenuto il diritto ad asilo o protezione», aggiungendo subito dopo che «Gli altri, per la quasi totalità uomini soli adulti in età da lavoro, sono semplicemente immigrati illegali. Una situazione insostenibile, anche in termini di sicurezza, per l’Italia e per l’intera Europa».
Le opinioni in democrazia sono libere e ogni tesi può essere presentata al pubblico dibattito, ma il primo criterio per valutarla è capire su quali assunti essa poggi. non c’è nulla di male nel sostenere, ad esempio, che la terra sia piatta; altro è però dimostrarlo. secondo i dati ufficiali forniti dalla commissione nazionale per il diritto d’asilonel2021 la protezione internazionale è stata riconosciuta, già in sede amministrativa, al 28% dei richiedenti (14% status di rifugiato e 14% status di protezione sussidiaria) al quale va aggiunto un ulteriore 14% di riconoscimenti di status di protezione speciale, la forma di asilo basata sul nostro diritto interno in attuazione dell’art.10 della costituzione. complessivamente dunque si arriva al42%. Si tratta altresì di dati incompleti in quanto non comprendono gli esiti dei ricorsi giudiziari avverso i dinieghi; dati che la commissione nazionale non rende pubblici, anche se pur dovrebbe”.
Schiavone consiglia – e Globalist con lui – di leggere con attenzione uno studio di Monia Giovannetti pubblicato sulla rivista Questione Giustizia il 3.05.2021 con il titolo “La protezione internazionale nei procedimenti amministrativi e giudiziari.
Riprendiamo Schiavone: “Cosa ci dicono dunque i dati sull’esito del contenzioso? Adottando un atteggiamento il più prudente possibile è difficile non convenire con le valutazioni dell’autrice del saggio laddove, nelle conclusioni, analizzando la traiettoria dei contenziosi ancora pendenti, evidenzia come si possa «giungere a ipotizzare che coloro i quali giungeranno ad avere un titolo di soggiorno per protezione e dintorni, saranno il 59% (ovvero 6 su 10) anche all’esito delle relative impugnazioni giurisdizionali». Qualunque punto di vista si adotti dunque, anche il più restrittivo possibile, e persino volendo fingere che i ricorsi non esistano, l’affermazione che solo l’otto per cento di coloro che chiedono asilo in Italia ne hanno diritto non è una svista né una lettura riduttiva ma è solo una grossolana e volgare falsità. Perché Meloni lo ha fatto? La motivazione mi appare chiara: cercare, come fece il suo predecessore Salvini, di fingere che i ricorsi non esistano o ignorare i dati della protezione speciale sostenendo che si tratta di un “regalo”, non sarebbe servito a nulla perché se si accettano i dati di realtà ovvero che uno su tre o persino uno su due dei richiedenti asilo che giungono in Italia hanno diritto alla protezione sulla base del diritto internazionale ed europeo al quale l’Italia è vincolata, non si può poi più sostenere pubblicamente che gli stessi possono essere respinti alle frontiere e affondati in mare.
Ne deriverebbe la fine della proposta del blocco navale e di tante altre sciocchezze ad essa in qualche modo collegate, compresa quella degli hotspot in Africa, o quella della legittimità dei respingimenti e delle riammissioni e così avanti. se la realtà si scontra con il proprio percorso di conquista di potere, dunque semplicemente va negata..”.
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