I “retroscena”, veri o presunti, servono a poco, o addirittura finiscono per essere controproducenti, quando a chiarire bene le cose per come stanno è più che sufficiente la “scena”. E la “scena” in questo caso riguarda l’endorsement di Viktor Orban in favore della destra italiana.
La posta in gioco
Non si tratta soltanto di affinità ideologiche e identitarie – Dio, Patria, Famiglia – e una concezione della democrazia come “dittatura della maggioranza. Le ragioni dell’endorsement dell’autocrate magiaro sono molto più “prosaiche2 e investono temi di estrema delicatezza ed esplosività come la guerra, le sanzioni, le alleanze sovranazionali e gli obblighi che esse comportano. In primis, le sanzioni alla Russia.
Scrive Marco Brasolin su La Stampa: “In autunno dovremo ridiscutere il rinnovo delle sanzioni alla Russia e noi vogliamo bloccare la proroga. Al momento siamo abbastanza isolati, ma spero nel sostegno del governo italiano che uscirà dalle prossime elezioni”. È questo, in sintesi, l’auspicio che Viktor Orban avrebbe espresso durante il consueto meeting annuale con gli esponenti di Fidesz, il partito politico di cui è leader. L’incontro si è tenuto il 10 settembre scorso a Kötcse, un piccolo comune nell’Ovest dell’Ungheria, ma del discorso pronunciato dal premier a porte chiuse non era trapelato nulla. Fino a l’altro ieri, quando i contenuti sono stati pubblicati sul sito ungherese di RadioFreeEurope, il network finanziato dal Congresso americano che fa controinformazione in lingua locale nei Paesi situati oltre la vecchia Cortina di Ferro. Secondo il report di Szabad Europa, che cita fonti presenti all’incontro, Orban si sarebbe lanciato anche in una serie di previsioni a medio-lungo termine: il crollo dell’Eurozona nel 2030, almeno altri otto anni di guerra in Ucraina, la prevalenza dei musulmani nelle grandi città francesi entro il 2040, il ricompattamento del gruppo Visegrad e la permanenza di Fidesz al potere fino al 2060.Per il capo del governo ungherese, però, la questione da risolvere nell’immediato riguarda le sanzioni alla Russia, che a suo avviso vanno cancellate. Se possibile, con il sostegno del prossimo governo italiano. Un tema che ieri è tornato a sollevare pubblicamente durante la visita a Belgrado, dove ha incontrato il premier serbo Aleksandar Vucic. “Noi vorremmo che la politica delle sanzioni cambiasse. Ci sono nani energetici che impongono sanzioni contro un gigante energetico, ma questo non porterà nulla di buono per nessuno». Nel meeting a porte chiuse, il premier ungherese avrebbe sottolineato una mancanza di leadership nell’Ue, di qualcuno in grado di riconoscere gli interessi del continente di e agire di conseguenza. Secondo quanto riportato da Szabad Europa avrebbe citato esplicitamente Angela Merkel per dire che la cancelliera, “anche se litigavamo sempre”, aveva questa dote”.
I precedenti
Dalle agenzie stampa. 8 settembre 2022. Secondo il premier ungherese Viktor Orban, i tentativi di indebolire la Russia non hanno avuto successo nonostante 11.000 sanzioni. “A causa delle sanzioni e della guerra, l’Europa potrebbe rimanere senza energia. Sono 11mila le sanzioni in vigore contro la Russia, ma la guerra è ancora in corso, i tentativi di indebolire la Russia sono falliti”, ha detto Orban, citato dal suo portavoce in un tweet. “Non ci sarà carenza di energia in Ungheria. Questa non è una previsione, è un dato di fatto. In Ungheria avremo abbastanza gas ed elettricità a sufficienza”, ha aggiunto.
Oggi (8 settembre) il governo ungherese ha annunciato nuove misure per far fronte alla crisi energetica, tra cui la riduzione del 25% del consumo di gas imposta alle istituzioni e alle società statali.Il provvedimento non si applica agli ospedali e alle istituzioni di assistenza sociale, ha affermato il capo di gabinetto del premier, Gergely Gulyás, in conferenza stampa. Per il riscaldamento invernale, la temperatura negli edifici pubblici non dovrà superare i 18 gradi centigradi. Budapest, inoltre, limiterà i prezzi della legna da ardere e lancerà un programma per sostenere le piccole e medie imprese ad alta intensità energetica.
15 luglio 2022. L’Unione europea si è “sparata al petto” applicando “sanzioni economiche sconsiderate” contro la Russia. Lo ha affermato il primo ministro ungherese Viktor Orban, evidenziando come, in caso di mancato ritiro delle sanzioni, vi sia il rischio di “distruggere l’economia europea”. “Inizialmente, pensavo che ci fossimo solo sparati a un piede, ma ora è chiaro che l’economia europea si è sparata nei polmoni e sta senza fiato”, ha detto Orban all’emittente pubblica Radio Kossuth. Orban ha affermato che l’Ucraina ha bisogno di aiuto, ma i leader europei dovrebbero riconsiderare la loro strategia, poiché le sanzioni hanno causato danni diffusi all’economia europea senza indebolire la Russia o avvicinare la guerra a una conclusione. “Le sanzioni non aiutano l’Ucraina, tuttavia, sono dannose per l’economia europea e se continua così, uccideranno l’economia europea”, ha affermato Orban. “Quello che vediamo in questo momento è insopportabile”, ha proseguito. A Bruxelles, “deve arrivare il momento della verità”, quando i leader “ammetteranno di aver fatto un errore di calcolo, che la politica delle sanzioni era basata su presupposti sbagliati e deve essere cambiata”.
1 febbraio 2022. “Presumo ragionevolmente che collaboreremo ancora per molti anni”. Così il primo ministro ungherese Viktor Orban incontrando il presidente russo Vladimir Putin al Cremlino, secondo la trascrizione del faccia a faccia. “Ci siamo incontrati per la prima volta 13 anni fa e questo è il nostro dodicesimo incontro” ha poi aggiungo Orban, evidentemente in vena di ricordi. “Questo è molto raro. Quasi tutti coloro che da quel momento sono stati miei colleghi alla guida dei paesi dell’UE non sono più tali. Si scopre che in 13 anni abbiamo accumulato i ricordi più significativi del passato comune della Russia e dell’Unione europea. E ad essere sincero, non ho intenzione di andarmene. Le elezioni sono ad aprile” ha aggiunto Orban. Putin gli ha risposto un laconico: “Sì, lo so”. E allora Orban: “Mi candiderò e vincerò. Pertanto, presumo ragionevolmente che collaboreremo per molti anni”.
23 luglio 2022. Alla Reuters Orban ha spiegato che la strategia adottata dall’occidente, che si posa su quattro pilastri, ha fallito. Essi consistono nella vittoria dell’Ucraina sulla Russia grazie alle forniture di armi, nell’indebolimento della capacità economica della Russia e politica dei suoi leader attraverso le sanzioni, nel fatto che la comunità internazionale si schieri contro la Russia e che le sanzioni danneggiano più la Russia dell’Unione Europea.
Per Orban l’intero quadro non sta funzionando, tant’è che, sottolinea alla Reuters, “i governi europei stanno crollando come domino e i prezzi dell’energia sono aumentati”, per cui è ora di puntare “al dialogo per arrivare a una buona proposta di pace, piuttosto che su una vittoria nella guerra”.
Il “piccolo Putin”
Scrive Mario Ajello su Il Gazzettino del 3 giugno 2022. “A Bruxelles, nei palazzi del potere Ue, sono infuriati: «Orban è un ricattatore. E questo problema va risolto perché la guerra sarà lunga e l’Europa non può restare imballata per colpa dei suoi no». Si è ceduto al premier ungherese sull’embargo del petrolio con l’esenzione del suo Paese. E si è ceduto sulle sanzioni contro il patriarca Kirill inapplicabili all’amico di Outin e Orban perché quest’ultimo ha messo il veto. E insomma, che cosa fare con il “ricattatore”? Il premier ungherese ha offerto in queste ore l’ennesima prova della sua totale inattendibilità: dopo aver dato il via libera all’embargo europeo sulle importazioni di petrolio russo (al prezzo di vantaggiose eccezioni per il suo Paese che potrà continuare ad acquistarlo), ha disfatto nella notte la tela faticosamente tessuta il giorno prima insieme ai partner dell’Ue e posto un nuovo veto sull’intesa ancora fresca d’inchiostro. E ha vinto la sua partita. Non gli è bastato questo. Subito dopo Orban ha alzato di nuovo il prezzo: non solo ha chiesto un periodo più lungo nel quale continuare la rivendita, ma ha preteso anche che il nome del patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, fosse escluso dalla lista di persone del sesto pacchetto di sanzioni. E alla fine sembra averla spuntata: il nome della personalità religiosa è stato cancellato dalla «lista nera» delle personalità da colpire. Ben oltre il tema specifico, la nuova impennata di Viktor Orban pone in termini ancora più urgenti il problema di un leader politico e di un Paese sempre più imprevedibili e incompatibili con lo spirito e la lettera del patto comunitario. Al potere dal 2010, Orban ha trasformato l’Ungheria in una democrazia illiberale, dove il suo partito, il Fidesz, occupa di fatto lo Stato, libero da vincoli e controlli. Gli uomini di Orban non controllano solo i ministeri e la burocrazia, ma i tribunali, i teatri, le università, gli ospedali, i giornali. Mentre una rete di imprenditori amici fa la parte del leone negli appalti pubblici, fin qui generosamente finanziati dai fondi europei. A Bruxelles ormai ne parlano come “un piccolo Putin”. Anche se certe differenze tra le due autocrazie restano. Ufficialmente non c’è censura in Ungheria, al contrario che in Russia, ma poiché non esiste più alcun giornale che non sia di proprietà degli amici del premier, chi critica il Fidesz e la verità ufficiale, semplicemente perde il posto di lavoro. Ad aprile Orban ha vinto le elezioni per la terza volta consecutiva, ottenendo una maggioranza di due terzi in Parlamento. Poco da stupirsi, visto che dei suoi avversari non si è vista traccia, o quasi, in televisione e sui giornali. Sicuramente libera, non è stata una elezione equa, come hanno notato gli osservatori internazionale indipendenti che l’hanno vista da vicino. Eppure, ad appena due mesi dal voto, Orban si è fatto promulgare i poteri speciali, che detiene dallo scoppio della pandemia. I deputati, ormai del tutto ai suoi piedi, glieli hanno concessi senza fiatare. Orban continuerà dunque a governare per decreto, come ormai fa da quasi tre anni: è un uomo solo al comando. La misura tradisce però nervosismo e insicurezza. Orban è in difficoltà. La Commissione europea continua a trattenere i fondi del Next Generation EU destinati all’Ungheria, dove il premier e il suo governo fanno scempio dello Stato di diritto. Ma di quel denaro Orban ha urgente bisogno: ha fatto troppi regali elettorali a debito durante la campagna (ecco un’altra ragione della vittoria) e ora le casse pubbliche sono vuote. Ma l’uomo nero di Budapest non mostra alcuna intenzione di fare le riforme, a cominciare dalla giustizia, che gli chiede Bruxelles. Questa la domanda: fino a quando a Viktor Orban sarà permesso di abusare della pazienza dell’Unione europea? L’Unione europea è al bivio. Può riformarsi in modo da prendere decisioni più rapide, incisive, e accelerare il processo di integrazione, come auspica Macron coi paesi fondatori come l’Italia. O può restare dov’è: inchiodata ai veti di Viktor Orbán, e perciò ricattabile. Il premier ungherese non ha neanche avuto bisogno di firmare il documento avanzato nel giorno della festa dell’Europa da 13 governi per stroncare ogni progetto di riforma dei trattati. Per l’Ungheria restare sul crinale è proficuo: le serve, assieme allo stop all’embargo energetico, per sbloccare i fondi Ue ancora in sospeso. Orbán, sodale di Putin, varco di Russia e Cina nell’Unione, ha fatto del potere di veto in Ue il suo strumento tattico per eccellenza. A cominciare dalla riforma dei trattati, passando per le liste transnazionali, nessun avanzamento dell’integrazione europea è possibile senza uscire dalla trappola dell’unanimità. Il nodo è questo, come ben sanno il presidente Mattarella e Mario Draghi, due europeisti doc: superare il sistema dell’unanimità nelle votazioni Ue. La Von der Leyen è sulla stessa linea. Sennò Viktator il Ricattatore continuerà a vincere e con lui Putin”.
Le citazioni finiscono qui. Bastano e avanzano per avere contezza di ciò che ci attenderà se le elezioni del 25 settembre sanciranno la vittoria di Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
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