Mentre in Italia la premier in pectore evoca ancora il blocco navale nelle acque costiere libiche e il suo non tanto amato alleato leghista spera di tornare al Viminale per riprendere a chiudere i porti ai migranti invasori, in Libia a dettare legge sono il Sultano di Ankara, al secolo Recep Tayyp Erdogan e il suo alleato-competitore di Mosca: lo zar del Cremlino, al secolo Vladimir Putin.
Manovre congiunte
Le forze navali della Turchia hanno condotto un’esercitazione militare congiunta con le loro controparti della Libia al largo delle coste del Paese nordafricano, nel Mediterraneo centrale. Lo riferisce l’agenzia di stampa ufficiale turca Anadolu, specificando che la fregata lanciamissili turcaTcg Gaziantep e la nave anfibia libica da sbarco Ibn Ouf-132hanno partecipato alle manovre tenute al largo delle coste libiche, sotto il comando del Gruppo navale turco. Il quotidiano turco “Daily Sabah” ha aggiunto che l’addestramento ha incluso “un’ampia gamma di manovre portate a termine con successo”, incluse comunicazioni visive tra le due navi, rafforzando “i rapporti tra le forze navali dei due Paesi”.
L’esercitazione libico-turca segue la sosta della nave d’assalto anfibia britannica Hms Albion nel porto di Tripoli.
La Albion è la prima nave della Marina reale britannica ad attraccare nel porto della capitale libica in otto anni e conferma la volontà di Londra di voler offrire un segnale di sostegno al governo libico con sede a Tripoli guidato da Abdulhamid Dabaiba.
Pur avendo avuto un ruolo di primo piano insieme a Stati Uniti e Francia conducendo bombardamenti aerei per imporre la no-fly-zone durante la guerra civile libica del 2011, il Regno Unito è al momento assente dalla Libia sul piano militare. Ad oggi infatti, solo l’Italia e la Turchia vantano una cooperazione militare con le forze libiche. Nello specifico, l’Italia è presente con la Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (Miasit) e nell’ambito della missione italiana di sostegno alla Guardia costiera libica che prevede lo schieramento di una unità della Marina militare, attualmente la nave da trasporto costiero Tremiti, per fornitura di supporto e manutenzione alle controparti libiche.
Intanto, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha rinnovato l’autorizzazione a perquisire navi in alto mare, al largo delle coste della Libia, se vi sono “fondati motivi” di sospettare che i natanti in questione siano coinvolti nel traffico di migranti e di esseri umani. La risoluzione 2652 (2022) è stata adottata all’unanimità ed ha una validità di 12 mesi. Il Consiglio ha condannato tutti gli atti di traffico di migranti e tratta di esseri umani – attraverso e dal territorio libico e al largo delle coste libiche – che minano ulteriormente il processo di stabilizzazione del Paese nordafricano e mettono in pericolo la vita di centinaia di migliaia di persone. La mossa è stata “accolta favorevolmente dagli Emirati Arabi Uniti”, riferisce il sito web d’informazione libico Al Wasat.
Lager e segregati
Almeno 2.661 migranti e rifugiati sono detenuti arbitrariamente in centri di detenzione ufficiali e con accesso umanitario limitato in Libia, secondo quanto dichiarato nelle scorse settimane dalla vice segretaria generale delle Nazioni Unite per gli affari politici e il peacebuilding (Undppa), la diplomatica statunitense Rosemary DiCarlo, durante una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
“Migranti e rifugiati hanno continuato a subire gravi violazioni dei diritti umani. (…) Le Nazioni Unite continuano a chiedere l’immediato rilascio di tutti coloro che sono detenuti arbitrariamente e un giusto processo per coloro accusati di aver violato le leggi libiche”, ha detto DiCarlo, aggiungendo che due centri di detenzione sono stati danneggiati dagli ultimi scontri tra milizie rivali avvenuti a Tripoli a fine agosto, coinvolgendo in tutto 560 persone.
Un Paese alla deriva
Per i nuovi governanti italiani consigliamo la lettura del report sulla situazione dello Stato fallito libico scritto da Federica Saini Fasanotti per Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) “La situazione della Libia – annota l’autrice – continua a destare molta preoccupazione tra gli osservatori internazionali. Persiste infatti la divisione politica tra il Governo di Unità Nazionale (Gnu) presieduto da Abdul Hamid Dbeibah e il Governo di Stabilità Nazionale (Gns) di Fathi Bashagha. Divisione che sta influenzando in maniera sostanziale la politica interna dei diversi protagonisti nonché le dinamiche legate alle alleanze con attori regionali come Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e, al momento, soprattutto Turchia. Davanti a una classe politica incapace di prioritizzare il benessere della popolazione stanno emergendo nuove tensioni che hanno come protagonisti i cittadini, le milizie locali, i politici stessi e i governi stranieri. Mai come oggi il paese rischia una deriva che potrebbe causare come ultimo risultato la spartizione.
Relazioni esterne
L’attore esterno protagonista in Libia in questi ultimi mesi è certamente stata la Turchia che ha rafforzato la propria politica estera, mettendo a segno numerosi successi, e non solo a Tripoli. Ankara ha mostrato visione e una certa aggressività nel mettere a punto una strategia di medio e lungo termine, già piuttosto chiara alla fine del 2019, quando l’allora Governo di Accordo Nazionale (Gna), presieduto dal primo ministro Fayez al-Serraj chiese aiuto alla Turchia per contrastare l’avanzata militare dell’Esercito nazionale libico del maresciallo di campo Khalifa Haftar. Prima di inviare droni e tecnici, Ankara firmò nel novembre del 2019 quel memorandum (MoU) che, attraverso un utile scambio di favori, permise al Gna, allora in estrema difficoltà, di liberare la capitale e di far retrocedere le forze ostili sino al Fezzan e alla Cirenaica. A questo proposito, va notato che uno dei protagonisti della lotta contro Haftar, e di conseguenza, contro il leader dell’HoR Aguila Saleh, fu proprio colui che oggi ne è diventato il pupillo, ovverosia il misuratino Fathi Bashagha che in quei giorni ricopriva il ruolo di ministro degli Interni.
In seguito alla firma del MoU, Ankara è intervenuta nella guerra civile libica con uomini e mezzi e la sua presenza è stata estesa, proprio il giugno scorso, per altri 18 mesi, allo scopo di avere il massimo controllo possibile sul territorio e un’intelligence adeguata. Pur confermando il proprio interesse nei confronti della Tripolitania – da sempre terra d’elezione per la Turchia – Ankara ha anche iniziato un certo dialogo con Aguila Saleh e i suoi rappresentanti a Tobruk, anche in virtù di una nuova spinta collaborativa con Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita[11].
Sebbene l’evento non sia stato pubblicizzato, la prima settimana di agosto il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha ricevuto ad Ankara figure di spicco dell’HoR, tra cui proprio Saleh. Erano presenti inoltre anche Abdullah al-Lafi, vicecapo del Consiglio presidenziale libico, e il presidente del parlamento turco Mustafa Sentop, che ha più volte sottolineato il sostegno di Ankara all’integrità territoriale della Libia e, soprattutto, alla sua stabilità. Anche il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha ribadito questo approccio, affermando che la Turchia non fa distinzione tra l’ovest e l’est della Libia, contrariamente a ciò che si pensa. Dopo la costituzione nell’aprile del 2021 di un Comitato parlamentare d’amicizia con la Libia, si è a più riprese parlato, così come affermato anche dall’ambasciatore turco a Tripoli Kenan Yilmaz. di aprire il consolato turco a Bengasi nell’ottica di favorire gli affari tra i due paesi. Per la Turchia la posizione geopolitica della Libia all’interno del Maghreb e soprattutto del Mediterraneo è di grande rilievo. Avere un ruolo preminente nel paese, potrebbe significare anche avere la possibilità di controllare i flussi migratori che dalle coste africane si muovono verso quelle europee, soprattutto italiane. Il tema è quindi molto più delicato di quanto non possa apparire a una prima lettura. La Libia fa parte di un piano ben più ampio del presidente Erdoğan che vede la Turchia tassello fondamentale dei bilanciamenti globali, così come dimostrato più di una volta nel corso dell’aggressione russa all’Ucraina – dalla chiusura dello stretto dei Dardanelli alle navi da guerra all’incontro con Putin a Sochi il 5 agosto (a 17 giorni dal vertice a tre con il presidente Ebrahim Raisi in Iran) nell’ottica di sbloccare le navi che trasportano grano attraverso il Mar Nero a tutto il resto del mondo.
I russi, a loro volta, sono ancora presenti in Libia – come in un’altra ventina di nazioni africane, si stima con circa 5.000 uomini in totale – in maniera non-ufficiale attraverso il Wagner Group, nonostante un lieve ridimensionamento dovuto all’esigenza di personale militare in Ucraina. Sebbene il Cremlino neghi ogni rapporto con il gruppo di contractors, da anni questo costituisce uno strumento fondamentale di Mosca per ottenere risultati prima militari e poi economici e politici. La loro presenza, soprattutto rispetto a ciò che sta succedendo in Ucraina, rappresenta una minaccia per gli interessi europei nello scacchiere, in particolare nell’area che va dal Maghreb al Sahel.
Sul piano diplomatico, la seconda metà di agosto ha visto circolare insistentemente il nome di Abdoulaye Bathily – senza obiezione da parte dei 15 stati membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite[18], ma non ben visto dal Gnu tripolino – come nuovo inviato speciale della Missione Onu in Libia (Unsmil). Senegalese, visiting professor al King’s College di Londra, è stato segretario generale del Movimento per il Partito del Lavoro dal 1984 al 2013 e nel suo paese ha guidato diversi ministeri fino al 2001, oltre ad avere ricoperto incarichi per le Nazioni Unite. Bathily è poi stato definitivamente scelto come nuovo inviato speciale di Unsmil, ma sono in pochi a credere che riuscirà nella missione.
Sempre ad agosto – annota ancora Saini Fasanotti – l’inviato speciale italiano per la Libia, Nicola Orlando, ha avuto diversi colloqui con le diplomazie francese e tedesca, allo scopo di arrivare il prima possibile alle elezioni, mentre si sta pensando a una conferenza libica avallata dall’Unione Africana da tenersi probabilmente nella Repubblica del Congo nei prossimi mesi”.
Come più volte rimarcato da Globalist, la Libia è sempre più terreno di conquista e di spartizione russo-turca. Con l’Italia relegata in panchina nella partita libica. Una conferma? L’esclusione da tutte le gare per i pozzi off-shore ormai monopolio delle compagnie di Mosca e Ankara.