Dal Mediterraneo alla rotta balcanica: l'interminabile Spoon River dei migranti
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Dal Mediterraneo alla rotta balcanica: l'interminabile Spoon River dei migranti

Oltre 3mila persone hanno perso la vita, o sono risultate disperse, lungo le rotte migratorie nel mondo, nei primi 8 mesi di quest’anno. Si tratta di un numero spaventoso quanto drammatico

Dal Mediterraneo alla rotta balcanica: l'interminabile Spoon River dei migranti
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Ottobre 2022 - 12.51


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L’interminabile Spoon River dei migranti. Dal Mediterraneo alla “rotta balcanica”. Globalist l’ha raccontata in più articoli. Per non dimenticare. Per inchiodare l’Europa alle sue pesanti responsabilità in quelle che non sono “tragedie” ma crimini contro l’umanità. 

Per avere un quadro dettagliato di questa ecatombe è di grande interesse leggere i report, sempre dettagliati, puntuali e ottimamente documentati,  di Openpolis. Globalist li mette a disposizione dei propri lettori.

Stragi senza fine

Oltre 3mila persone hanno perso la vita, o sono risultate disperse, lungo le rotte migratorie nel mondo, nei primi 8 mesi di quest’anno. Si tratta di un numero spaventoso quanto drammatico, perché riguarda donne, uomini e minori che si avviano in un viaggio già di suo difficile, alla ricerca di una vita migliore.

I dati raccontano che, nonostante in questi anni il numero dei migranti deceduti o dispersi sia calato, occorrono nuove politiche pubbliche rispetto a un fenomeno che continua a determinare sofferenze e morte.

Si muore ovunque, nel Mediterraneo di più

Lo scorso 3 ottobre, sull’isola di Lampedusa, è stato commemorato il nono anniversario del naufragio di un’imbarcazione libica che nel 2013 provocò la morte di 368 persone, quasi tutte di nazionalità etiope ed eritrea. Un episodio che colpì l’opinione pubblica al punto da istituire la “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione”.

Anche se rispetto agli anni della “crisi europea dei migranti” (2015-2017) c’è stato un calo di morti e dispersi lungo le rotte, sono ancora migliaia le persone che ogni giorno perdono la vita durante il viaggio.

21.082 persone sono risultate morte o disperse lungo le rotte migratorie nel mondo, tra il 2015 e il 2017.

Negli anni della crisi più di 20mila persone avrebbero perso la vita, secondo le stime del progetto “Missing migrants” dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), un’agenzia delle Nazioni unite. L’anno più drammatico è stato il 2016, quando complessivamente si sono registrati 8.084 casi di persone decedute o disperse.

È bene evidenziare che, secondo la stessa ammissione dell’Oim, si tratta di stime al ribasso, poiché molti incidenti non vengono intercettati e quindi registrati.

Come abbiamo accennato, da gennaio ad agosto sono morte o si è perso traccia di 3.044 persone, di cui oltre mille nella rotta che dal nord Africa arriva in Europa o in Medio Oriente attraverso il mar Mediterraneo.

Secondo i dati dell’agenzia Onu, è questa la rotta migratoria più pericolosa del mondo.

Nei primi 8 mesi dell’anno più di mille morti e dispersi nel Mediterraneo

Da gennaio ad agosto del 2022, infatti, sono state registrate 310 vittime e 851 dispersi: in totale 1.161 persone. Nella stessa area geografica, ma in Africa settentrionale, nei primi otto mesi dell’anno 450 persone sono decedute o non se ne è più avuta notizia.

Ma ci sono state centinaia di vittime anche in nel nord e centro America, in Asia meridionale e nel mar dei Caraibi.

Oltre agli eventi estremi come la morte, le rotte migratorie sono inoltre molto pericolose per le violenze di cui si può rimanere vittima lungo le frontiere. È il caso della rotta balcanica, di cui abbiamo parlato in un recente approfondimento.

Nel 2022 centinaia di morti e dispersi in mare

Tornando al mar Mediterraneo, che rappresenta la direttrice lungo la quale arrivano la stragrande maggioranza dei migranti nel nostro paese, attraverso i dati di “Missing migrants” è possibile analizzare anche le tendenze, mese per mese, nel numero di morti e dispersi in mare.

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Nel solo mese di aprile oltre 270 persone morte o disperse nel Mediterraneo

Morti e dispersi sulla rotta del mar Mediterraneo, divisi per mese, da gennaio ad agosto 2022

Come detto, da inizio anno e fino allo scorso 31 agosto sono stati registrati oltre mille casi di morti o dispersi nelle tre rotte principali del Mediterraneo. Si tratta della direttrice occidentale, che approda nella penisola iberica, quella centrale (che grava soprattutto su Italia e Malta) e quella orientale, che vede la Grecia come principale paese di accesso al continente.

Il mese più drammatico è stato aprile, con 48 vittime accertate e ben 288 dispersi. Una media di quasi 10 persone morte o disperse ogni giorno.

336 persone decedute o disperse nel mar Mediterraneo, nell’aprile 2022, secondo i dati di Oim.

Dal 2016 al 2021 il numero di morti e dispersi è diminuito, passando da 5.136 a 2.048. Questo calo, tuttavia, non è dovuto a condizioni di maggiore sicurezza nell’attraversamento del mare, ma perché il numero degli sbarchi è sceso vistosamente negli anni.

Non è possibile una piena valutazione dei dati del 2022, in quanto prendono in considerazione solo i primi 8 mesi dell’anno.

L’esigenza di nuove politiche pubbliche

L’elevato tasso di pericolosità delle rotte che vedono protagonisti i migranti in tutto il mondo pone la necessità di trovare soluzioni strutturali volte ad arginare le violenze e la morte durante il viaggio.

Per quanto riguarda l’accesso via mare ai paesi dell’Europa meridionale, è evidente che non è bastata la creazione di una guardia di frontiera e costiera europea, avvenuta nel 2016 a rafforzamento dell’agenzia europea di controllo delle frontiere esterne (Frontex), istituita 12 anni prima.

Il controllo delle frontiere europee e gli accordi con paesi extra-Ue non aumentano la sicurezza, anzi.

In tal senso, non è migliorata la tutela dei diritti dei migranti neanche con gli accordi stipulati negli ultimi anni, come quello tra Ue e Turchia e il memorandum Italia-Libia. Si tratta di accordi volti più che altro a trattenere i migranti ai confini del continente, con l’effetto (da parte di paesi e istituzioni europee) di ignorare consapevolmente le violenze perpetrate a danni di migliaia di persone arbitrariamente detenute nei campi di prigionia. Condizioni di sofferenza che spingono ancora di più a fuggire, con l’effetto di trovare, talvolta, la morte in mare.

Bisognerebbe essere collettivamente consapevoli che il fenomeno migratorio è costante e per certi versi inarginabile. Occorrerebbe insomma organizzarlo e regolarizzarlo al meglio, per esempio attraverso corridoi umanitari e accordi internazionali tra paesi di partenza e di approdo, affinché possa diminuire la probabilità di morire lungo il viaggio. La rotta balcanica esiste da decenni, ma negli ultimi anni è stata oggetto di particolare attenzione, dati i numerosi episodi di violenza che l’hanno caratterizzata. Nonostante i numeri degli arrivi e dei transiti siano diminuiti, sono aumentati i tentativi individuali di attraversamento, considerati “illegali” e duramente repressi. Un trattamento profondamente diverso da quello che è stato garantito ai molti profughi ucraini che hanno attraversato gli stessi confini e che sembra confermare un punto di vista condiviso da molti, ovvero che esistono “profughi veri” e “profughi finti”.

La rotta balcanica

Si tratta di un percorso variabile che dalla Turchia e dalla Grecia giunge fino ai confini orientali dell’Unione europea. Viene percorsa da molte persone provenienti da paesi instabili del medio oriente (come la Siria e l’Iraq) e dell’Asia centrale (tra cui l’Afghanistan), ma anche da molti migranti dall’Africa settentrionale (che passano dal Sinai per poi risalire) e dall’Asia meridionale, soprattutto dal Pakistan, dal Bangladesh e dall’India.

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La rotta collega questi paesi con quelli che costituiscono l’estremo margine dell’Ue, come Croazia, Ungheria, Romania e Bulgaria. Dei punti di transito fondamentali per entrare nell’Unione. L’obiettivo finale del percorso sono solitamente gli stati dell’Europa nord-occidentale e in particolare la Germania.

6.489 le presenze registrate nel sistema di accoglienza a Trieste (2021), secondo i dati del Consorzio italiani di solidarietà (Ics).

Mentre per quanto riguarda i nuovi ingressi, nel 2021 sono stati 4.829.

Tra le persone che arrivano in Italia via terra, i pakistani sono la nazionalità più rappresentata (2.576 persone, ovvero il 39,7% del totale). Seguono gli afghani (1.185). Tra le altre nazionalità ricorrenti rientrano anche i bengalesi (782) e i nepalesi (406).

Questi dati, forniti dal consorzio italiano di solidarietà, attivo in Friuli-Venezia Giulia, sono gli unici sugli arrivi via terra. Sono riferiti soltanto alle persone coinvolte nel sistema di accoglienza e quindi escludono tutte le persone che non vengono intercettate e transitano altrove, ma sono i dati più vicini a quelli, mancanti, sugli arrivi.

Il governo italiano non mette a disposizione dati sugli arrivi via terra.

Ad oggi infatti il governo italiano non mette a disposizione dati di questo genere. Il ministero dell’interno cura infatti un cruscotto statistico giornaliero sull’immigrazione che però conteggia solo gli arrivi via mare. Nemmeno l’Unhcr dispone di questo tipo di dati per l’Italia, che invece esistono per gli arrivi via terra in Grecia e in Spagna. Considerando che gli attraversamenti via terra in Europa e in Italia stanno sensibilmente aumentando, questa mancanza di trasparenza da parte delle istituzioni impedisce un monitoraggio completo e indipendente del fenomeno, a svantaggio sia dei migranti che delle comunità ospitanti.

Sono poi disponibili i dati di Frontex, ovvero l’agenzia europea di guardia di frontiera e costiera, la quale registra i singoli tentativi commessi dai migranti per oltrepassare i confini.

+124,8% i tentativi di attraversamento delle frontiere nella zona dei Balcani occidentali registrati da Frontex nel passaggio dal 2020 al 2021.

Dal 2019 ad oggi il numero di tentativi è andato gradualmente aumentando. Nel 2020 rispetto al 2019 l’aumento è stato pari al 92%, passando da 14mila a circa 27mila. Mentre nel 2021 rispetto al 2020 ha toccato il 125%, arrivando a oltre 60mila tentativi registrati. Il 2022 sembra registrare un incremento ulteriore (circa 55mila tentativi solo nei primi sette mesi).

Più attraversamenti, ma meno arrivi

Negli ultimi anni, come ha spiegato Gianfranco Schiavone di Asgi  a L’Eurispes, la rotta balcanica è diventata teatro di una vera e propria tragedia umanitaria. L’Ue non ha elaborato nessuna strategia di gestione dei flussi migratori in questa zona e l’unica soluzione concreta a cui si è ricorso è quella dei respingimenti, ampiamente documentati. I quali sono però illegali.

I regolamenti europei, in primis quello di Dublino, riconoscono infatti il diritto di ognuno di presentare una domanda di asilo.

Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Nei fatti però questo diritto non viene tutelato e la zona dei Balcani occidentali è diventata progressivamente militarizzata. Per volontà dell’Ue, impegnata a difendere le proprie frontiere, le forze dell’ordine dei paesi di confine hanno avviato un’attività pianificata basata sul controllo capillare, anche con strumenti tecnologici, e sui respingimenti, per impedire sia l’ingresso che il transito di persone sul territorio.

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Alcuni paesi dell’est Europa, poi, sono andati anche oltre le intenzioni delle istituzioni comunitarie. È il caso della barriera  costruita dalla Polonia dopo la crisi nel 2021 sul confine con la Bielorussia, o della costruzione di un muro  lungo oltre 500 km lungo il confine serbo-ungherese, datata 2025 e voluta dal governo magiaro di Viktor Orban, in aperta contrapposizione alle convenzioni internazionali. Come anche della barriera, recentemente completata, che separa la Lituania dalla Bielorussia.

I dati forniti da Frontex sono in contraddizione con quelli dell’Unhcr che evidenziano un calo negli arrivi e nei transiti nel 2022 rispetto all’anno precedente, riportando meno di 8mila persone nell’area dei Balcani occidentali. La ragione, come evidenzia anche Melting pot, è che sono le stesse persone a fare più tentativi. E questo perché appunto oltrepassare le frontiere è diventato sempre più difficile.

7.768 i migranti presenti nell’area dei Balcani occidentali a marzo 2022, secondo l’Unhcr.

Questo comporta, come evidenzia Schiavone, che le persone rimangano intrappolate alle porte dell’Ue. Da una parte ci sono i paesi da cui sono fuggite per evitare guerre e persecuzioni, dall’altra, frontiere sempre più respingenti.

L’accordo Ue-Turchi, siglato nel 2016, che prevedeva il respingimento dei migranti giunti dalla Turchia sulle isole dell’Egeo, e basato sulla premessa che la Turchia potesse essere considerata un paese “sicuro”, ha contribuito a consolidare questa politica basata sulla sistematica negazione del diritto all’asilo.

Rifiuti e violenze anche all’arrivo

Nonostante le difficoltà, molte persone riescono a giungere al termine di questo ostico percorso. Quando arrivano a presentare una domanda di asilo nei paesi di confine stessi, in molti casi le loro richieste vengono però processate con tempi molto lunghi. Tra quelle su cui è presa immediatamente una decisione, è il rifiuto a prevalere.

La Romania, che tra i paesi del confine orientale dell’Ue è quella che riceve il numero più elevato di domande di asilo, solo a 251 persone delle 6.158 che nel 2020 hanno fatto richiesta d’asilo è stato attribuito lo status di rifugiato – il 4,1% del totale. Mentre 2.217 richieste sono rimaste in sospeso.

Una situazione simile si registra in Bulgaria, dove sono state presentate 3.525 domande di asilo, con un tasso di rifiuto pari al 62,5%. Tra le varie nazionalità, tutti i nord-africani sono stati rifiutati, gli afghani al 99%. In Slovenia la percentuale di rifiuti sale al 70,7%. Ancora più elevato in Ungheria, dove tocca il 73,3%. In Polonia addirittura è rifiutato l’84% delle domande di asilo, e il numero di richieste in sospeso è superiore a quelle presentate. Qui, vige inoltre  il divieto di portare soccorso ai migranti   bloccati nei boschi, a pochi passi dal confine.

La solidarietà viene criminalizzata.

A questo si aggiunge la campagna di criminalizzazione che è stata condotta ai danni dei cittadini che si sono impegnati in attività solidali. In Italia ad esempio c’è stato il caso di Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, fondatori dell’organizzazione volontaria Linea d’Ombra, che offrono cibo, vestiti e cure mediche ai migranti di passaggio per Trieste, e che per aver ospitato una famiglia di migranti per una notte nel loro appartamento hanno dovuto affrontare un processo per favoreggiamento dell’immigrazione illegale.

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