Migranti, la "Fortezza Europa" e le sue politiche criminali: un rapporto sconvolgente
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Migranti, la "Fortezza Europa" e le sue politiche criminali: un rapporto sconvolgente

Il rapporto denuncia che «I migranti sono spesso costretti ad accettare il rimpatrio assistito per sfuggire a condizioni di detenzione abusive, minacce di tortura, maltrattamenti, violenze sessuali, sparizioni forzate, estorsioni.

Migranti, la "Fortezza Europa" e le sue politiche criminali: un rapporto sconvolgente
Migranti in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Ottobre 2022 - 16.12


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Quel rapporto va letto, riletto, meditato. Perché è un possente, terribile, documentato j’accuse. All’Europa. All’Italia. A una comunità internazionale complice e finanziatrice di politiche criminali. Il rapporto in questione è “Nowhere but back: Assisted return, reintegration and the human rights protection of migrants in Libya”, pubblicato dall’United Nations Office of the High Commissioner for Human Rights.

Quel possente j’accuse

«Le violazioni e gli abusi dei diritti umani diffusi e sistematici contro i migranti in Libia sono aggravati dalla mancanza di percorsi di protezione all’interno e all’esterno del Paese, il che significa che i migranti sono spesso costretti ad accettare il “rimpatrio assistito” nei loro Paesi di origine in condizioni che potrebbero non soddisfare le leggi e gli standard internazionali sui diritti umani».

Il rapporto denuncia che «I migranti sono spesso costretti ad accettare il rimpatrio assistito per sfuggire a condizioni di detenzione abusive, minacce di tortura, maltrattamenti, violenze sessuali, sparizioni forzate, estorsioni e altre violazioni e abusi dei diritti umani. Collettivamente, queste condizioni hanno creato un ambiente coercitivo che spesso è incompatibile con la libera scelta».

In linea di principio, i “rimpatri assistiti” dovrebbero essere volontari ma il rapporto rileva che «In realtà, molti migranti in Libia non sono in grado di prendere una decisione veramente volontaria di tornare, in conformità con le leggi e gli standard internazionali sui diritti umani, compreso il principio del consenso libero, preventivo e informato. Molti di loro scoprono di non avere altra scelta che tornare nelle stesse circostanze che li hanno portati inizialmente a lasciare i loro Paesi».

In Italia i leader delle destre che si apprestano a governare continuano a parlare della Libia come un porto sicuro e dei migranti e profughi come turisti economici, mentre il rapporto avverte che «Qualsiasi migrante che viene rimpatriato in un Paese che sta vivendo fattori negativi e strutturali che costringono le persone a lasciare il proprio Paese di origine, comprese violazioni e abusi dei diritti umani, gli effetti negativi dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale, conflitti armati, persecuzioni o una combinazione di questi motivi potrebbe finire in una situazione ancora più vulnerabile di prima».

Inoltre, i migranti rimpatriati devono affrontare ulteriori problemi personali, finanziari e psicosociali, «Anche a causa del grave trauma che hanno subito in Libia. In assenza di soluzioni sostenibili a questi problemi, i migranti potrebbero dover re-emigrare in circostanze ancora più precarie».

Dal 2015, oltre 60.000 migranti sono stati rimpatriati dalla Libia in diversi dei loro Paesi di origine in Africa e in Asia attraverso programmi di “rimpatrio assistito”, inclusi almeno 3.300 gambiani che sono tornati dalla Libia dal 2017 e il rapporto contiene le testimonianze di alcuni dei 65 immigrati intervistati dall’UN Human Rights Office che sono stati recentemente rimpatriati in Gambia e uno di loro ha detto: «Mi hanno portato in prigione. Ma anche a quel punto non ho pensato di tornare in Gambia. Poi sono entrati nella prigione con un bastone e hanno picchiato le persone come animali. A volte prendevano i tuoi soldi e i vestiti migliori. Mi hanno rotto i denti. Quindi ho accettato il ritorno». Un altro migrante intervistato denuncia: «Non ho avuto la possibilità di chiedere protezione in Libia o altrove. Mi è stato offerto solo di tornare a casa».

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L’Alto Commissario Onu per i diritti umani Nada Al-Nashif ha detto che «La Libia e gli Stati coinvolti dovrebbero adottare misure immediate per affrontare urgentemente questa situazione insostenibile e inconcepibile. Le autorità libiche dovrebbero porre fine immediatamente a tutte le violazioni e abusi dei diritti dei migranti. Anche altri Stati hanno responsabilità: devono intensificare e fornire maggiore protezione ai migranti intrappolati in Libia aumentando percorsi di ammissione sicuri e regolari nei loro territori. Questa situazione disperata richiede a tutti gli interessati di garantire che nessun migrante sia costretto ad accettare il ritorno assistito in una situazione insicura o insostenibile nel proprio Paese di origine».

La rotta tunisina

L’Ong Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes) ha denunciato in una nota il lassismo dello Stato tunisino nella gestione della crisi umanitaria a Zarzis, nel governatorato di Médenine, a seguito del naufragio avvenuto oltre venti giorni fa di un gruppo migranti partiti da Zarzis, di cui sono stati rinvenuti solo alcuni cadaveri su 18 occupanti della barca.

Il Forum, noto per le sue posizioni contro la politica migratoria del governo di Tunisi, deplora il fatto che “i mezzi dello Stato siano piuttosto destinati a svolgere il ruolo di salvaguardia delle frontiere europee e non a cercare i corpi dei dispersi”. Il Ftdesricorda al proposito che, dalla data presunta del naufragio ovvero dal 21 settembre scorso, lo Stato ha sventato più di 129 operazioni di emigrazione clandestina. “Quindi, è chiaro che lo Stato fa più sforzi per impedire i tentativi di varcare i confini per rassicurare il vicino europeo che in una logica di solidarietà con gli abitanti ansiosi di conoscere la sorte dei loro figli”, si legge nel testo del comunicato. L’Ong chiede alle autorità tunisine di impegnarsi efficacemente nel salvataggio dei migranti attraverso l’avvio di un meccanismo di aiuto anticipato e di fermare le operazioni di respingimento forzato che costituiscono un pericolo per la vita dei migranti.

Quando ci chiederanno il conto

Giuseppe Cucchi è generale della riserva dell’Esercito, già direttore del Centro militare di studi strategici, consigliere militare del presidente del Consiglio, rappresentante militare permanente dell’Italia presso Nato, Ue e Ue, consigliere scientifico di Limes.

E su Limes ha pubblicato uno scritto di straordinario interesse, perché riguarda un’area a noi vicina, e non solo geograficamente: il Mediterraneo. Un testo quanto mai attuale. Che Globalistrilancia. 

Scrive Cucchi: “Anche se fino a questo momento nulla di irreversibilmente traumatico è ancora avvenuto sulle sponde arabe di un Mediterraneo allargato ,  questo è ormai il grido che  si sta incessantemente levando da tali sponde  verso una Europa – e al di là di essa verso un intero Occidente – che da troppo tempo stanno dimenticando i compagni di strada del bacino condiviso . 

Nel 1989 , ben 33 anni fa per l’esattezza , con la caduta del Muro di Berlino noi ci trovammo di fronte ad un secondo “arco di crisi” , quello ad Est , che si apriva ed entrava in competizione con l’altro “arco di crisi ” , quello a Sud , cui da parecchio tempo eravamo confrontati , sottraendogli attenzione , interesse politico , aiuti militari ,risorse economiche… Sotto la pressione contemporaneamente esercitata dagli Stati Uniti da un lato e dall’altro dai paesi europei cui il duplice crollo del Patto di Varsavia prima e dell’Unione Sovietica poi aveva restituito la libertà , l’Europa finì così rapidamente col preoccuparsi soltanto di donare sicurezza e benessere alla sua area centrosettentrionale di recente recuperata , dimenticando rapidamente le sue connessioni con un  Sud ed un Est Mediterraneo che si facevano sempre più inquieti .  

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Si trattò , tra l’altro , di un processo che riscosse una approvazione pressoché generalizzata , al punto tale che nemmeno i grandi paesi della Europa Meridionale , come l’Italia e la Spagna , nonché per molti versi anche la Francia – che benché non lo ammetta è decisamente mediterranea in tutta la sua parte a sud della Loira – non ritennero opportuno protestare con una decisione tale da cambiare sostanzialmente un orientamento che avrebbe finito col tempo col rivelarsi estremamente pericoloso . 

Agli arabi, che iniziavano già più di trenta anni fa a chiederci “E noi ?” fu quindi risposto di attendere con pazienza il momento in cui l’Occidente , dopo aver assicurato la propria frontiera ad est , avrebbe avuto il modo , e le risorse , per occuparsi anche di quanto succedeva nel bacino mediterraneo. La risposta, almeno momentaneamente accettata, inizio però con gli anni a perdere progressivamente di credibilità, un processo che poi si accelerò nel momento in cui gli europei non dimostrarono alcuna inclinazione a sostituirsi agli Stati Uniti che nel loro progressivo concentrarsi sull’area del Pacifico avevano sperato di poter delegare agli alleati Nato la gestione dei problemi mediterranei. In quegli anni, assurdamente, l’unica vera iniziativa Europea nel bacino fu anzi l’azione franco britannica contro Gheddafi, culminata con un conflitto che non ebbe mai una precisa conclusione, ma in compenso eliminò uno dei pilastri di stabilità dell’intera area. L’abbandono totale, protrattosi per un tempo troppo lungo, portò così , poco più di dieci anni fa , alla stagione delle “primavere arabe ” , disperate rivolte del pane – ma non soltanto di quello ! – che non a caso colpirono con particolare durezza i paesi che per forma di Governo e contatti internazionali risultavano più vicini all’Occidente. 

Si trattava di un primo messaggio, un “E noi?” chiarissimo, di cui avremmo dovuto tenere il debito conto, ma che invece fingemmo di non comprendere. Il risultato fu lo scatenarsi di una competizione , una corsa ad occupare il vuoto di potere esistente nell’area , che ebbe come protagonisti maggiori la Cina che acquistò nel bacino mediterraneo tutto ciò che poteva acquistare , Stati compresi , la Turchia , che diede via libera alle sue frustrazioni neo ottomane , e infine la Russia che , grazie alla sanguinaria e criminale disinvoltura dei mercenari della Wagner , si ritagliò un ruolo di potere prima in Siria ed in Libia e successivamente anche in parte del Sahel . 

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Con tutto questo rimaneva comunque viva in tutti gli Stati arabi mediterranei la speranza che una volta terminato il suo compito ad Est l’Occidente si ricordasse finalmente dei suoi compagni di strada meridionali. In un certo senso tale speranza era così viva e forte da consentire loro di procedere malgrado il difficilissimo periodo di crisi politica ed economica che pressoché tutti stavano attraversando. Nel Maghreb infatti la tensione fra Marocco ed Algeria sembra crescere oggi di giorno in giorno, mentre ciascuno dei due Stati cerca di alimentare le istanze separatiste delle altrui minoranze. La Tunisia sta inoltre per affrontare un referendum istituzionale che potrebbe rivelarsi difficile, mentre in Libia si confrontano di nuovo due distinti Governi, una situazione che è un ulteriore passo avanti verso la definitiva spartizione del Paese. 

Non vanno meglio le cose in Egitto, ove le difficoltà finanziarie hanno costretto al-Sisi a ricorrere di nuovo ad un aiuto che gli Stati del Golfo certo concederanno …ma a quale prezzo?
O in Libano che anni di crisi economica hanno inchiodato nel terribile ruolo di “Stato fallito”. In Giordania poi la famiglia reale,  colonna dell’unità nazionale, è spaccata in due da una faida dinastica senza esclusione di colpi.
La Siria attende nel frattempo con timore una ulteriore  recrudescenza del mai concluso conflitto fra Turchia e curdi …e si potrebbe continuare .  Su tutto questo cade adesso la tegola del blocco dell’esportazione del grano ucraino, con tutti gli effetti che l’episodio potrà avere sui maggiori consumatori, in particolare Tunisia ed Egitto. Al di là e prima di essa vi è però comunque da considerare come la   attuale situazione bellica chiarisca a tutti i paesi delle altre sponde mediterranee, senza alcuna possibilità di dubbio , come per anni ed anni il rischio sia che tutte le attenzioni e le risorse dell’Occidente rimangano concentrate sull’Est europeo .  Vi sembrerebbe quindi strano se a questo punto i nostri amici d’oltremare cominciassero e gridare “E noi? E NOI?” con voce progressivamente sempre più forte?”.

Così il generale Cucchi.

Quel “Noi” bussa alle nostre porte. E presto o tardi ci chiederà conto delle politiche criminali praticate, l’esternalizzazione delle frontiere, i respingimenti, i lager in funzione h24 con i soldi erogati dall’Europa (e dall’Italia) perché altri facciano il lavoro sporco al posto nostro. Politiche che hanno contribuito a fare del Mediterraneo il “mare della morte”, e il Nord Africa e il Medio Oriente polveriere pronte a esplodere. I segnali ci sono tutti. Ma non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.

Ed è segno dei tempi, tempi bui, che l’esternalizzazione delle frontiere, con tutto ciò che ne consegue, è una politica trasversale in Europa, che vede convergere governi di sinistra, di centro e di destra. E’ l’affermazione non solo di una politica ma di un pensiero unico che vede nei migranti una minaccia da neutralizzare, una “invasione” (peraltro inesistente) contro cui far fronte comune. E’ la “Fortezza Europa” che erige muri e sbarra porti. Una Europa che calpesta quei principi di inclusione che ne furono a fondamento. Una Europa cinica, disumana. Senza vergogna.

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