Due Novembre: ultima chiamata per cancellare il "patto infame" Italia-Libia
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Due Novembre: ultima chiamata per cancellare il "patto infame" Italia-Libia

Se entro il 2 novembre il governo italiano non deciderà per la sua revoca, il Memorandum Italia–Libia verrà automaticamente rinnovato per altri 3 anni.

Due Novembre: ultima chiamata per cancellare il "patto infame" Italia-Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Ottobre 2022 - 16.38


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Cinque anni di illegalità e di crimini contro l’umanità. Cinque anni del Memorandum d’intesa Italia-Libia. Una intesa a delinquere.

Se entro il 2 novembre il governo italiano non deciderà per la sua revoca, il Memorandum Italia–Libia verrà automaticamente rinnovato per altri 3 anni. Per questo motivo oltre 40 organizzazioni chiedono all’Italia e all’Europa di riconoscere le proprie responsabilità e di non rinnovare gli accordi con la Libia.

A cinque anni dal Memorandum Italia–Libia, il bilancio delle ricadute sulla vita di uomini, donne e bambini migranti è tragico. Dal 2017 ad oggi quasi 100.000 persone sono state intercettate in mare dalla Guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia, un paese che non può essere considerato sicuro. La vita dei migranti e rifugiati in Libia è costantemente a rischio, tra detenzioni arbitrarie, abusi, violenze e sfruttamento. Significa non avere alcun diritto e nessuna tutela.

L’Italia e l’Unione Europea continuano a impiegare in Libia sempre più risorse pubbliche e a considerarlo un paese con cui poter stringere accordi, all’interno di un complesso sistema basato sulle politiche di esternalizzazione delle frontiere, che delega ai paesi di origine e transito la gestione dei flussi migratori, con il sostegno economico e la collaborazione dell’Unione Europea e degli Stati membri. Il Memorandum Italia – Libia crea le condizioni per la violazione dei diritti di migranti e rifugiati agevolando indirettamente pratiche di sfruttamento e di tortura perpetrate in maniera sistematica e tali da costituire crimini contro l’umanità” affermano le organizzazioni che ieri, 26 ottobre, sono scese in piazza con la società civile contro il rinnovo degli accordi.

Il Memorandum prevede il sostegno alla Guardia costiera libica, attraverso fondi, mezzi e addestramento. Continuare a supportarla significa non solo contribuire direttamente e materialmente al respingimento di uomini, donne e bambini ma anche sostenere i centri di detenzione dove le persone vengono sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, abusate e uccise. Dal 2017 la Guardia costiera libica ha ricevuto oltre 100 milioni in formazione e equipaggiamenti (57,2 milioni dal Fondo fiduciario per l’Africa e 45 milioni solo attraverso la missione militare italiana dedicata). Soldi pubblici e risorse destinate alla cooperazione e allo sviluppo, impiegate invece per il rafforzamento delle frontiere, senza alcuna salvaguardia dei diritti umani, né alcun meccanismo di monitoraggio e revisione richiesto dalle norme finanziarie dell’UE. Ugualmente le risorse utilizzate per l’implementazione degli interventi umanitari non hanno bilanciato i crimini contro l’umanità che sono commessi attraverso il Memorandum.

La Libia non è un paese sicuro

La Libia non può essere considerato un luogo sicuro. Il quadro politico è particolarmente instabile, e le violenze contro la popolazione crescono di anno in anno, così come il numero delle persone sfollate.

Nel paese è pressoché impossibile fornire una protezione significativa alle persone vulnerabili. Le opzioni sicure e legali per fuggire sono limitate sia nell’accesso sia nei numeri, tanto che sono molte le persone che decidono di intraprendere un viaggio di ritorno via terra – in particolare lavoratori stagionali provenienti dai paesi vicini – correndo rischi simili a quelli già affrontati per raggiungere la Libia. Molti altri, invece, provano ad attraversare il Mediterraneo pagando somme messe da parte con lavori svolti spesso in condizioni disumane, e affrontando viaggi pericolosi, in cui la probabilità di annegare è alta quanto quella di essere intercettati e respinti.

Alla luce della situazione di insicurezza e instabilità del paese, delle innumerevoli testimonianze di abusi e violenze e della completa e totale irriformabilità del sistema Memorandum, chiediamo all’Europa di riconoscere le proprie responsabilità e al Governo italiano di non rinnovare gli accordi con la Libia.

Le organizzazioni firmatarie:

A Buon Diritto, ACAT Italia, ACLI, ActionAid, Agenzia Habeshia, Alarm Phone, Amnesty International Italia, AOI, ARCI, ASGI, Baobab Experience, Centro Astalli, CGIL, CIES, CINI, Civicozero onlus, CNCA, Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos, Comunità Papa Giovanni XXIII, CoNNGI, Cospe, FCEI, Focus Casa dei Diritti Sociali, Fondazione Migrantes, Emergency, EuroMed Rights, Europasilo, Intersos, Magistratura Democratica, Mani Rosse Antirazziste, Medici del Mondo Italia, MEDITERRANEA Saving Humans, Medici Senza Frontiere, Movimento Italiani Senza Cittadinanza, Open Arms, Oxfam Italia, Refugees Welcome Italia, ResQ – People Saving People, Save the Children, Sea Watch, SenzaConfine, SIMM, UIL, UNIRE,  Un Ponte per.

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Un appuntamento da non perdere

Da una nota stampa di Rete Italiana Pace e Disarmo (Ripd): “L’Italia, l’Unione Europea e gli stati membri, le Nazioni Unite devono assumersi la responsabilità del negoziato per fermare l’escalation e raggiungere l’immediato cessate il fuoco e inoltre: “Chiediamo al Segretario Generale delle Nazioni Unite di convocare urgentemente una Conferenza Internazionale per la pace, per ristabilire il rispetto del diritto internazionale, per garantire la sicurezza reciproca e impegnare tutti gli Stati ad eliminare le armi nucleari, ridurre la spesa militare in favore di investimenti per combattere le povertà e di finanziamenti per l’economia disarmata, per la transizione ecologica, per il lavoro dignitoso”. Questo è il cuore della piattaforma Europe for Peace che ha indetto la manifestazione nazionale a Roma per il prossimo 5 novembre.

In queste ore gli organizzatori hanno potuto confermare gli orari questa grande iniziativa di pace e per la richiesta di un cessate il fuoco per il conflitto in Ucraina e per tutte le guerre attualmente in corso nel mondo. Il ritrovo dei partecipanti è previsto per leore 12:00 in Piazza della Repubblica, con partenza del corteo alla volta di piazza San Giovanni in Laterano per le ore 13:00.

Attorno alle 15:00 inizieranno gli interventi dal palco: rappresentanti delle organizzazioni promotrici e testimonianze da tutto il mondo evidenzieranno i contenuti della piattaforma su cui è stata convocata la manifestazione: una iniziale richiesta di fermare le armi cui viene aggiunta la pressione dal basso sulle istituzioni italiane, europee ed internazionali per giungere ad una vera conferenza multilaterale di pace.

La Manifestazione nazionale di Roma del prossimo 5 novembre è stata preceduta da un weekend di mobilitazioni diffuse promosse da “Europe For Peace” tra il 21 e il 23 ottobre che hanno coinvolto oltre 30.000 persone in più di 100 città italiane (tra cui Torino, Milano, Palermo, Napoli, Bari, Firenze, Bologna, Roma, Ancona…). A testimonianza del grande sostegno dell’opinione pubblica italiana a processi di pace che si concentrino sull’apertura di dialogo e negoziato. Creando veri spiragli di Pace.

Tra gli appuntamenti realizzati nell’ultimo weekend anche la presenza all’Angelus del Papa in Piazza San Pietro in Vaticano di una delegazione di “Europe For Peace” con striscione. Non a caso le parole di Papa Francesco sono richiamate anche nella convocazione della Manifestazione del 5 novembre: “Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili”.

Stop al patto infame

 Italia e Unione europea devono cessare di collaborare al ritorno dei migranti e dei richiedenti asilo nell’inferno della Libia. Così Amnesty International Negli ultimi cinque anni sono state quasi centomila le persone intercettate in mare e riportate in Libia: uomini, donne e bambini andati incontro alla detenzione arbitraria, alla tortura, a trattamenti crudeli, inumani e degradanti, agli stupri e alle violenze sessuali, ai lavori forzati e alle uccisioni illegali. Il Governo di unità nazionale della Libia continua a favorire queste violenze e a rafforzare l’impunità: ne è un esempio la recente nomina alla guida del Dipartimento per il contrasto dell’immigrazione illegale di Mohamed al-Khoja, che in precedenza controllava il centro di detenzione di Tariq al-Sikka, al cui interno erano state documentate diffuse violenze.“La cooperazione con le autorità libiche fa sì che persone disperate siano intrappolate in condizioni di un orrore inimmaginabile. Negli ultimi cinque anni Italia, Malta e Unione europea hanno contribuito alla cattura in mare di decine di migliaia di donne, uomini e bambini, finiti in gran parte in centri di detenzione agghiaccianti, dove la tortura è all’ordine del giorno. Innumerevoli altre persone sono state vittime di sparizione forzata”, ha dichiarato Matteo de Bellis, ricercatore di Amnesty International su migrazione e asilo. “È davvero giunto il momento di porre fine a questo approccio vergognoso, che mostra un totale disprezzo per la vita e la dignità delle persone, e di dedicarsi invece ad attività di soccorso che assicurino lo sbarco delle persone in un luogo sicuro che, come ribadito solo pochi giorni fa dal segretario generale delle Nazioni Unite, non può essere la Libia”, ha aggiunto de Bellis.

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L’assistenza dell’Unione europea ai guardacoste libici è iniziata nel 2016, così come gli intercettamenti in mare. La cooperazione è poi aumentata considerevolmente con l’adozione di un Memorandum d’intesa bilaterale, firmato da Italia e Libia il 2 febbraio 2017, e con l’adozione della Dichiarazione di Malta, sottoscritta dai leader dell’Unione europea a La Valletta il giorno dopo.

Questi accordi costituiscono la base di una costante cooperazione che affida il pattugliamento del Mediterraneo centrale ai guardacoste libici, attraverso la fornitura di motovedette, di un centro di coordinamento marittimo e di attività di formazione. Gli accordi sono stati seguiti dall’istituzione della zona SAR libica, un’ampia area marittima in cui i guardacoste libici sono responsabili del coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso.

Queste azioni, in grandissima parte realizzate dall’Italia e finanziate dall’Unione europea, hanno da allora consentito alle autorità libiche di riportare sulla terraferma persone intercettate in mare, nonostante sia illegale riportare persone in un luogo nel quale rischiano di subire gravi violazioni dei diritti umani.

In Libia i migranti e i rifugiati, sia dentro che fuori dai centri di detenzione, subiscono sistematicamente una serie di violazioni dei loro diritti, del tutto impunite, da parte di milizie, gruppi armati e forze di sicurezza.

Il 10 gennaio 2022 milizie e forze di sicurezza hanno sparato contro i migranti e i rifugiati che erano accampati di fronte a un centro di assistenza dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, a Tripoli. Le centinaia di persone lì arrestate si trovano ora nel centro di detenzione di Ain Zara, nella capitale libica, in condizioni insalubri e di sovraffollamento, sottoposte a violenze e private di quantità adeguate di cibo e acqua. I migranti e i rifugiati manifestavano fuori dal centro dall’ottobre 2021 per chiedere protezione, dopo un precedente raid delle milizie e delle forze di sicurezza al termine del quale migliaia di persone erano state arrestate e molte altre erano rimaste senza un alloggio.

“L’Italia e l’Unione europea devono cessare di contribuire a queste violenze atroci e iniziare ad assicurare che le persone che rischiano di annegare nel Mediterraneo siano prontamente soccorse e trattate umanamente”, ha commentato de Bellis.

“L’Unione europea e i suoi stati membri devono sospendere ogni forma di cooperazione che contribuisca a trattenere migranti e rifugiati in Libia e a far subire loro violazioni dei diritti umani. Chiediamo, al contrario, che si dedichino all’apertura di percorsi legali urgentemente necessari per le migliaia di persone intrappolate in Libia e che hanno bisogno di protezione internazionale, ha concluso de Bellis.

Amnesty International Italia continua a sollecitare il governo a sospendere e non rinnovare l’accordo, oltre che a chiedere al parlamento di avviare le opportune iniziative nei confronti del governo. L’organizzazione per i diritti umani ha anche pubblicato sul sito amnesty.it una petizione a sostegno dell’interruzione della cooperazione con la Libia.

Nel 2021 i guardacoste libici, col sostegno di Italia e Unione europea, hanno catturato in mare 32.425 rifugiati e migranti e li hanno riportati in Libia: di gran lunga il più alto numero finora registrato, tre volte superiore a quello dell’anno precedente. Sempre durante il 2021, 1553 persone sono morte o sono scomparse in mare nel Mediterraneo centrale.

In un rapporto del 17 gennaio 2022 il segretario generale delle Nazioni Unite si è dichiarato “gravemente preoccupato” per le continue violazioni dei diritti umani contro i migranti e i rifugiati in Libia, tra cui violenze sessuali, traffico di esseri umani ed espulsioni collettive. Il rapporto ha ribadito che “la Libia non è un porto sicuro per lo sbarco di migranti e rifugiati” e ha ribadito la richiesta agli stati membri coinvolti di “rivedere le politiche che favoriscono gli intercettamenti in mare e il ritorno dei migranti e dei rifugiati in Libia”. Il rapporto ha anche confermato che i guardacoste libici continuano a operare con modalità che pongono in grave pericolo le vite e la salute dei migranti e dei rifugiati che cercano di attraversare il mar Mediterraneo.

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Pur riconoscendo tali limiti, un rapporto interno del comandante dell’operazione navale dell’Unione europea “Eunavfor Med Irini”, reso pubblico dall’Associated Press il 25 gennaio 2022, ha confermato il proseguimento dei programmi di rafforzamento dell’operatività dei guardacoste libici.

La richiesta di Medici senza frontiere

Da un articolo di Focsiv (Federazione degli organismi di volontariato internazionale d’ispirazione cristiana): “A 5 anni dalla sua firma, le autorità italiane hanno la possibilità di annullare il Memorandum con la Libia entro il 2 novembre di quest’anno, prima che esso venga rinnovato automaticamente alla scadenza nel febbraio 2023. Mascherato da meccanismo di cooperazione e dalla retorica del ‘salvataggio di vite umane’, il Memorandum è stato di fatto strumentale all’esternalizzazione delle frontiere da parte dell’Italia che ha supportato più o meno direttamente – es. donazione di mezzi e addestramento della guardia costiera libica – l’intercettazione, respingimento e trattenimento nei centri di detenzione di un numero sempre più alto di migranti. Dal 2016 ad oggi, più di 100.000 persone che hanno tentato di attraversare il Mediterraneo centrale sono state intercettate nella zona SAR (search and rescue) libica – istituita nel dicembre 2017. Le politiche di esternalizzazione hanno inoltre contribuito a destabilizzare la Libia, rafforzando le milizie che oggi hanno un forte peso politico all’interno del paese e portando a una graduale perdita di influenza dell’Italia.

Il fallimento del modello attuale di cooperazione Italia-Libia e della gestione dei flussi migratori è reso esplicito anche dalla limitata capacità di azione delle agenzie delle Nazioni Unite come l’Unhcr, che non è sufficiente a contro-bilanciare gli effetti del Memorandum per la salvaguardia dei diritti dei migranti. Al convegno ci si è chiesti se “Senza l’intervento umanitario sarebbe possibile proseguire con il Memorandum? Oppure venendo meno l’intervento umanitario anche da un punto di vista giuridico non sarebbe stato possibile mettere in atto il Memorandum?”. Quel che è certo è che l’intervento umanitario non solleva il governo italiano dalle proprie responsabilità.

Le voci di attivisti dalla Libia e dal Niger ci ricordano come parte della narrazione sulle migrazioni nel Mediterraneo centrale conti troppo spesso sui numeri, dimenticandosi dei corpi e delle persone che in Libia, ma non solo, non hanno accesso a forme di protezione e subiscono quotidianamente gravi violazioni dei diritti umani. Allargare lo sguardo e mettersi in ascolto dialogando con la società civile libica è fondamentale per non riprodurre una narrazione delle migrazioni che rischia di essere schiacciata su numeri che non creano coinvolgimento ed empatia, che non fanno intendere la tragedia umana in atto in Libia, sul mare e sul fondo del mare, con migliaia di persone, uomini, donne e bambini annegati.

Se con il conflitto in Ucraina emergono forti contraddizioni e un modello di accoglienza che dovrebbe mettere in discussione quello attuale di gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale, l’atteggiamento di apertura dell’Italia e dell’UE verso le persone ucraine in fuga rappresenta comunque un’opportunità. Oggi, la società civile ha il compito di sfruttare questa finestra di apertura all’accoglienza per influenzare il processo decisionale e chiedere l’annullamento del Memorandum. In quest’ottica, fare advocacy con i migranti e la società civile libica, e creare spazi di dialogo e occasioni di partecipazione ai tavoli di discussione, è fondamentale per animare la coscienza dell’opinione pubblica e mobilitare la società civile italiana”.

In piazza il 5 Novembre anche per quei centomila rigettati nei lager libici con i soldi dell’Italia.

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