Giocano con le vite di una umanità sofferente. Usano nei confronti dei più indifesi tra gli indifesi una retorica sprezzante, un linguaggio che rientra pienamente in quei caratteri di “Fascismo eterno” mirabilmente declinati da Umberto Eco.
Sbugiardati
Globalist ne ha scritto nei giorni scorsi, con particolare riferimento al ministro-pinocchio, al secolo Matteo Piantedosi, titolare del Viminale che nel suo intervento in Parlamento dedicato alla questione migranti, ha contraddetto i dati eleborati dallo stesso Ministero di cui è il titolare. Sul tema torna con forza Repubblica.. “C’è un numero, 15.374, quello degli sbarchi nelle ultime tre settimane in assoluta assenza di Ong nel Mediterraneo, due su tre con grandi pescherecci partiti dalla Libia orientale, che imbarazza il governo perché rischia di demolire il senso della crociata contro la flotta umanitaria”, scrive Repubblica.
“E ce n’è un altro, 50.000, quello degli arrivi complessivi dalla Libia, che preoccupa perché è la cartina di tornasole di quanto, a fronte degli appena rinnovati accordi e finanziamenti al governo di Tripoli, l’Italia non abbia più da tempo interlocutori affidabili dall’altra parte del Mediterraneo”, prosegue il quotidiano diretto da Maurizio Molinari, che poi attacca: “Perché questa pressione crescente sull’Italia? Ad ottobre gli sbarchi sono stati praticamente il doppio del 2021, a novembre nonostante il maltempo non c’è stato un solo giorno senza arrivi. Scenari e numeri a fronte dei quali l’ambizione del governo Meloni di «governare e non subire i flussi», come dice il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, non è supportata da alcuna strategia se non quella di bloccare le Ong. Che — vale ricordarlo — nel 2022 hanno portato in Italia solo 10.276 persone delle 93.629 sbarcate”.
La Libia è una polveriera e l’Italia non ha interlocutori
Un bel problema, anche perché come più volte documentato da Globalist e ora da Repubblica, la Libia è tornata a essere una polveriera, semmai aveva smesso di esserlo in questi sciagurati undici anni seguiti alla pluri-sciagurata guerra voluta dalla Francia con l’Italia che si è accodata. . “La Libia è un rompicapo che si fa più complicato ogni giorno che passa. Un caotico teatro dell’assurdo, dove nuovi attori si aggiungono ai vecchi — il generale Haftar, il poliziotto-trafficante Bija — che sembravano finiti e invece non se ne sono mai andati. Ci sono due governi e sono entrambi deboli: quello di Tripoli del premier Dbeibah è scaduto a giugno 2021 e non riesce a indire nuove elezioni”. E il problema, dice Repubblica, è che il governo al momento non ha interlocutori in un paese chiave per gli equilibri italiani. Con 700 mila migranti pronti a partire su rotte controllate dai trafficanti.
Un passo indietro nel tempo. Poco più di una settimana fa. Scrive Agenzia Nova: “La Forza di protezione della Costituzione, milizia libica considerata vicina al primo ministro del Governo di unità nazionale (Gun) Abdulhamid Dabaiba, smentisce di essere intervenuta stamane per impedire un’importante sessione dell’Alto Consiglio di Stato a Tripoli. “Non abbiamo ricevuto alcuna istruzione per impedire la seduta del Consiglio di Stato: chi l’ha fatto se ne assume la responsabilità”, ha detto ad “Agenzia Nova” il comandante della Forza di protezione costituzionale, Mohsen Zweik. Il presidente dell’Alto Consiglio di Stato, Khaled al Mishri, ha presentato una denuncia ufficiale al procuratore generale della Libia, Al Siddiq al Sour, accusando il primo ministro e alcuni suoi collaboratori di aver ostacolato la sessione dell’organo consultivo organizzata per oggi. Nello specifico, Al Mishri ha accusato Dabaiba, il consigliere per la sicurezza nazionale Ibrahim Dabaiba e il ministro delle Comunicazioni Walid al Lafi di aver dato istruzioni alla Forza di protezione della Costituzione per impedire la sessione dell’Alto consiglio prevista all’hotel Mahari, situato nel centro della capitale Tripoli, a pochi metri dalle ambasciate straniere. “La forza che ha circondato la sede dell’Alto Consiglio di Stato non è nostra e non abbiamo impartito alcun ordine in tal senso”, ha detto Zweik. Per Al Mishri, la condotta delle forze coinvolte rappresenta un attacco alle autorità statali, che, ai sensi del codice penale libico, potrebbe essere punibile con la condanna a morte. Inoltre, quanto accaduto costituisce “un abuso di potere” e un “assalto ai diritti politici dei cittadini”, il che richiede l’adozione di misure legali dissuasive. Oltre a presentare denuncia al procuratore generale, Al Mishri ha anche chiesto al Consiglio di presidenza libico, in qualità di comandante supremo dell’Esercito libico, di aprire un’indagine sull’episodio di oggi. Nell’accusare il Gun di essere un esecutivo che “vuole imporre il proprio controllo con la forza”, Mishri ha fatto sapere che l’Alto consiglio di Stato riprenderà presto le sessioni. Secondo il capo dell’Alto consiglio, Dabaiba ha impedito al “Senato” con sede a Tripoli di votare la norma costituzionale “nel suo insieme” e di discutere dell’unificazione dell’autorità esecutiva, presumibilmente con lo scopo “di sedersi da solo al potere in Tripolitania”.
Il “Senato” libico che fa da contraltare alla Camera dei rappresentanti di Tobruk, il foro legislativo che si riunisce nell’est del Paese, avrebbe dovuto discutere oggi due questioni controverse: l’unificazione dell’autorità esecutiva e le posizioni dirigenziali delle principali istituzioni sovrane della Libia. Il premier Dabaiba aveva respinto la decisione del Consiglio di Stato di portare avanti, d’intesa con il parlamento di Tobruk, questi due dossier considerati cruciali, aggirando di fatto il governo riconosciuto dalle Nazioni Unite. Il Consiglio di Stato aveva recentemente trovato un’intesa di massima con il Parlamento di Tobruk in Marocco per superare l’attuale fase di transizione entro gennaio 2023, una soluzione accolta però con scetticismo in patria e con freddezza dalle Nazioni Unite. Il potere in Libia continua a essere conteso da due coalizioni rivali: da una parte il Governo di unità nazionale del premier ad interim Dabaiba con sede a Tripoli, riconosciuto al livello internazionale ma sfiduciato dal Parlamento dell’est; dall’altra il Governo di stabilità nazionale designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk e guidato da Fathi Bashagha, già ministro dell’Interno di Tripoli, basato a Sirte”.
Libia e violenze: le testimonianze nei centri di detenzione
Che la Libia non sia mai stato, in questi undici anni, un posto sicuro è documentato da centinaia di rapporti e migliaia di testimonianze. Medici Senza Frontiere, ad esempio, sostiene che non sia un luogo sicuro dove far sbarcare le persone soccorse in mare: solamente negli ultimi quattro anni, la guardia costiera libica ha intercettato e riportato con la forza nel paese oltre 50.000 persone, destinate poi ai centri di detenzione. In questi luoghi, i migranti vivono in una condizione disumana con violenze e maltrattamenti quotidiani. “Abbiamo assistito ad omicidi, situazioni di sfruttamento e tutto questo avviene nei luoghi dove le persone vengono trasferite subito dopo il loro sbarco in Libia” ha raccontato Matteo De Bellis “I pericoli esistono dentro e fuori questi centri di detenzione, ma i volti sofferenti di chi abbiamo incontrato sono stati sufficienti per farci affermare con grande forza e certezza che i porti libici non possono rappresentare un luogo di sbarco sicuro”.
Secondo Michele Telaro “Nei centri di detenzione la situazione è drammatica. Ci sono grandi stanze senza letti, per cui la gente è costretta a dormire ammassata per terra. Gli hangar sono senza finestre e si ha la possibilità di uscire una sola volta a settimana. Si vive per mesi, anni senza vedere la luce del sole”.
Parte della responsabilità di tale situazione è da addebitare al governo italiano. De Bellis, nel suo discorso, ricorda che “tra il 2008 e 2009 l’Italia aveva inaugurato una fase di respingimenti dei richiedenti asilo che provavano a partire dalle coste libiche verso l’Europa. Nel 2012, la misura venne messa al vaglio della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, che la condannò. Da quel momento in poi, per evitare ulteriori sanzioni della Corte, il “lavoro sporco” è stato lasciato alle forze libiche”.
Signor Presidente,
Martedì 15 novembre 2022 il Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite (SRSG) e capo di UNSMIL, Abdulaye Bathili, è intervenuto al Consiglio di Sicurezza per aggiornare i Paesi membri della situazione in Libia.
Ne riportiamo a seguire alcuni passaggi.
“L’aspirazione popolare per la pace, la stabilità e le istituzioni legittime è chiara dalla mia interazione con i libici. Tuttavia, vi è un crescente riconoscimento del fatto che alcuni attori istituzionali stiano attivamente ostacolando il progresso verso le elezioni. La genuina volontà politica di questi attori deve essere messa alla prova con la realtà, mentre ci avviciniamo al 24 dicembre, il primo anniversario del rinvio delle elezioni e il 7mo anniversario della firma dell’Accordo politico libico (LPA).
Un ulteriore prolungamento del periodo provvisorio renderà il paese ancora più vulnerabile all’instabilità politica, economica e della sicurezza e potrebbe esporre il paese a rischio di divisione. Dobbiamo quindi unirci per incoraggiare i leader libici a lavorare con determinazione per lo svolgimento delle elezioni il prima possibile. Esorto questo Consiglio a inviare un messaggio inequivocabile agli ostruzionisti che le loro azioni non rimarranno senza conseguenze. […]. Tutte le parti devono astenersi da qualsiasi passo che possa minare il cessate il fuoco. A questo proposito, vorrei esortare questo Consiglio a far capire a tutti gli attori che il ricorso alla violenza e all’intimidazione non sarà accettato e che non esiste una soluzione militare alla crisi libica. Le tattiche per rinviare le elezioni a tempo indeterminato non faranno che aggravare la crisi. Sono preoccupato per la mancanza di progressi nell’attuazione del piano d’azione del JMC sul ritiro di mercenari, combattenti stranieri e forze straniere. È necessaria una rinnovata attenzione da parte delle parti libiche per avviare il processo di ritiro in linea con il piano d’azione[…]. La situazione dei diritti umani in Libia rimane allarmante. L’UNSMIL ha continuato a documentare sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie e maltrattamenti nelle strutture di detenzione in tutto il paese.
Da ottobre, decine di detenuti nel carcere di Mitiga avrebbero iniziato uno sciopero della fame per protestare contro le loro condizioni di detenzione. Le autorità si sono rifiutate di rilasciare “certificati di detenzione” che impediscono alle famiglie di ricevere assegni e stipendi dai loro parenti detenuti.
Le violazioni dei diritti umani contro migranti e richiedenti asilo continuano impunemente. Ribadisco l’urgente necessità di trovare alternative alla detenzione basate sui diritti. Migranti e rifugiati che attraversano il Mediterraneo centrale dalla Libia continuano a essere intercettati dalle autorità libiche, sbarcati in Libia e inviati in centri di detenzione dove subiscono gravi violazioni dei diritti umani. Ribadiamo il nostro appello alle autorità libiche e ai paesi limitrofi affinché rispettino gli standard internazionali relativi alle pratiche sicure di ricerca e salvataggio e assicurino che le persone intercettate siano fatte sbarcare in un luogo sicuro”.
Il caos libico.
“In Libia – annotano su Avvenire del 27 ottobre Lorenzo Bagnoli e Fabio Poletti (IrpiMedia) – le forze marittime sono frammentate e contaminate dai gruppi armati di varia appartenenza. Ci sono formazioni che rispondono a signori della guerra per la maggior parte fedeli alla presidenza del Consiglio, quindi al premier Dbeibah. Poi ci sono le forze “ufficiali”, cioè la Guardia Costiera Libica (Gcl) e l’Amministrazione generale della sicurezza costiera (di cui Gacs è l’acronimo inglese), che sono affiliate al ministero della Difesa e al ministero dell’Interno di Tripoli. Anche queste due sono infiltrate da alcune milizie, come la brigata al-Nasr, considerata dalle Nazioni Unite un’organizzazione di trafficanti di esseri umani e contrabbando di gasolio.
La brigata è responsabile della Gcl di Zawiyah, ovest della Libia. Gli uomini di al-Nasr sono guardie e ladri allo stesso tempo, interessati alle forniture italiane per imporre il proprio potere in mare. Per loro e per altre forze marittime della Libia la promessa di effettuare salvataggi dei migranti è stata negli anni una moneta di scambio.
Il progetto Sibmmil.
La prima fase del Support to Integrated Border Management and Migration Management in Libya, acronimo Sibmmil, avrebbe dovuto concludersi nel 2020 ma solo nel corso del 2022 ha ottenuto alcuni dei risultati previsti. È uno dei principali mattoni del Grande Muro del Mediterraneo Centrale. Ha come obiettivi principali il rafforzamento sia delle capacità di salvataggio in mare, sia del controllo del confine marittimo. Tra il 2017 e il 2022, secondo la Ragioneria di Stato, l’Italia ha speso 27,2 milioni di euro di fondi europei dedicati a questo progetto. La dotazione prevista è di circa 44,5 milioni di euro, di cui l’Italia ha fornito circa 2 milioni. Il nostro ministero dell’Interno ne è l’ente attuatore. Tra i beneficiari del progetto, c’è anche l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), agenzia affiliata alle Nazioni Unite a cui spetta, tra le varie mansioni, «l’effettiva verifica dei pubblici ufficiali libici che partecipano all’addestramento affinché siano esclusi coloro che hanno commesso abusi e violazioni dei diritti umani». La strategia sembra rispondere alle rivelazioni del 2019 di Avvenire: tra i guardacoste che arrivarono in Italia per la formazione c’era anche Adel Rahman al-Milad detto Bija, esponente del clan al-Nasr, accusato di traffico di migranti e contrabbando di gasolio. Il processo di verifica dovrebbe evitare che l’incidente si ripeta. Dei 27,2 milioni di euro spesi dall’Italia è stato possibile tracciarne oltre quattro-quinti, circa 20 milioni, tra appalti già completati e altri in corso di assegnazione. Le principali voci di spesa sono 8,3 milioni per nuovi mezzi marini (20 barche veloci di diverse lunghezze); 3,4 per mezzi terrestri (30 fuoristrada, 14 ambulanze e dieci minibus); 5,7 per ricambi e manutenzione degli assetti navali; un milione in attività di addestramento e un milione per 14 container (dieci dei quali arrivati a Tripoli lo scorso dicembre). Il bando di gara prevede che uno di questi diventi la sede dell’Mrcc, il centro di coordinamento dei salvataggi in mare, una delle forniture fondamentali per rendere le forze marittime libiche indipendenti. Secondo il ministro della Difesa del governo uscente Guerini, «dal 3 luglio 2020 l’attività è condotta in piena autonomia dalla marina libica presso proprie infrastrutture a terra e senza coinvolgimento alcuno del personale della Difesa italiano» (7 luglio 2021, Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato). Fonti dalla Libia smentiscono, però, questa ricostruzione”.
E tutto questo avviene alle porte di casa nostra.
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