Le abbiamo intercettate in mare. Le abbiamo rimpatriate in Libia. E segregate nei lager in cui torture, fisiche e psicologiche, stupri e riduzione a schiavitù sono la norma. Sono 20.842 le persone intercettate e rimpatriate in Libia fino al 26 novembre 2022. Lo ha dichiarato l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) in Libia su Twitter, precisando che tra queste sono 19.075 gli uomini, 1.089 le donne e 678 i bambini. 514 migranti sono morti e altri 865 scomparsi al largo delle coste libiche lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Nel 2021, sempre secondo i dati dell’Oim, erano stati 32.425 i migranti riportati in Libia. L’Italia è complice di queste deportazioni di massa. Con l’infame Memorandum d’intesa con la Libia, rinnovato per altri tre anni. Con il rifinanziamento di quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica.
Un digiuno di lotta
“È ormai chiara la posizione della Meloni: dichiarazione di guerra alle navi salvavita che ha definito ‘navi pirata’. È stato rivelato il vero volto di questo governo, un governo di ultradestra che incarna quel male oscuro che è il suprematismo bianco”. Lo afferma padre Alex Zanotelli nella nota che annuncia “il digiuno di giustizia in solidarietà con i migranti” che si terrà in questo mese a Verona, il 10 dicembre, giornata mondiale dei diritti umani, alle ore 13,30 a piazza Isolo insieme a tante realtà del posto riunite nella città scaligera per il Cantiere Casa Comune della famiglia comboniana: una due giorni di riflessione e rinnovato impegno a fianco di profughi e migranti.
“Il nostro Digiuno di questo mese – spiega Zanotelli – è prima di tutto un grido di protesta contro le disumane politiche di accoglienza, nei confronti dei profughi che arrivano sulle nostre coste, da parte del nuovo governo Meloni”.
Secondo il missionario comboniano, “questa politica di respingimento, che riprende quella di Salvini, l’abbiamo vista tutti nel porto di Catania, dove le due navi Humanitas 1 e Geo Barents, cariche di naufraghi salvati in mare, sono state impedite di entrare nel porto e tenute al largo per oltre una settimana”.
Zanotelli definisce poi “vergognosa” la decisione di accettare solo i “fragili” “selezionati”. Mentre “il ‘carico residuale’, usando le parole di Piantedosi, ministro degli Interni, doveva tornare al largo e aspettare… La terza nave, la Ocean Viking, respinta dall’Italia dopo aver rifiutato di ‘rispondere alle molteplici richieste di assistenza da parte della nave mentre era in acque italiane’, ha poi accettato l’ordine di muoversi verso il porto di Marsiglia per un presunto accordo tra l’Italia e la Francia, poi smentito con una scia di polemiche politiche tra Parigi e Roma, conclude padre Zanotelli a nome del “Digiuno di Giustizia in solidarietà con i migranti”.
Un’inchiesta da incorniciare.
E’ quella di Milena Gabanelli e Simona Ravizza su Dataroom del Corriere della Sera.
Le ipocrisie istituzionali
Rimarcano, tra l’altro, le autrici: “Il regolamento di Dublino sancisce un principio: «Se il richiedente asilo ha varcato illegalmente la frontiera di uno Stato membro, è quello Stato membro che deve farsene carico”. Viene ratificato nel 2003 e l’Italia (governo Belusconi II), che avrebbe potuto esercitare il diritto di veto e bloccarlo, lo firma. E così il nostro Paese accetta (forse inconsapevolmente) tutti gli oneri degli anni a venire, poiché anche la successiva riverniciatura del 2013 non porterà cambiamenti risolutivi.
La convenzione con la guardia costiera libica è stata universalmente condannata: impedisce le partenze, ma molti migranti vengono portati nei centri non ufficiali dove sono costretti ai lavori forzati, seviziati, le donne stuprate. Succedeva con Gheddafi, succede dopo. Quella convenzione è scaduta nel 2020, ma il governo italiano (Pd, M5S), dopo averla pesantemente criticata, la rinnova. Così come fa di nuovo il 3 novembre il governo Meloni, mentre la situazione in Libia è ancora peggiore di prima. Tutti lo considerano un accordo scandaloso, ma poi nessuno lo cancella. La Libia è uno dei pochi Paesi al mondo che non ha mai firmato la convenzione di Ginevra del 1951 che impone il rispetto dei diritti umani. Bombardata nel 2011 sotto la bandiera Nato, giustiziato il dittatore Gheddafi nel 2015 il solo governo legittimo riconosciuto dalle Nazioni Unite è quello di Al-Sarraj. A quel punto l’Onu potrebbe chiedere al premier libico di firmare la convenzione di Ginevra, ma non lo fa, non lo chiede la Ue e nessun singolo Stato membro. Tant’è che l’Unhcr tutela i rifugiati in Libia dal suo ufficio di Tunisi. Una base a Tripoli viene aperta nel 2017, quando Minniti ottiene da Al-Serraj le garanzie di sicurezza per il personale umanitario che deve entrare nei centri di detenzione e selezionare i più fragili per evacuarli attraverso il corridoio umanitario.Intanto in Ue con due decisioni del Consiglio, la 1523 del luglio 2015 e la 1601 del settembre dello stesso anno, viene previsto un sistema di relocation a favore dell’Italia per 39.600 migranti. È quella che comunemente viene definita ricollocazione obbligatoria: vuol dire che l’Europa accetta di prendersi una parte dei nostri aventi diritto all’asilo, che tra il 26 settembre 2015 e il 26 settembre 2017 sono 36.345. Alla fine ne saranno presi 12.740 (la Germania per esempio ne accoglie 5.453, la Francia 641). Nel settembre 2017 arriva anche la sentenza della Corte di giustizia europea che, rigettando il ricorso di Ungheria e Slovacchia contro i ricollocamenti dall’Italia, riafferma con forza il principio di redistribuzione solidale dei profughi. Principio non accettato, però, dalle cancellerie di Budapest, Varsavia e Praga (Paesi Visegrad) che si oppongono. Scaduta la convenzione, alla prima seduta del Consiglio, Conte e Salvini non insistono e si va verso la redistribuzione facoltativa che, alla fine, si concretizza nell’accordo di Lussemburgo nel giugno 2022, fortemente voluto dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. L’accordo prevede il ricollocamento annuo di circa 10 mila aventi diritto all’asilo. A metà novembre 2022 ne sono stati ricollocati solo 117.
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