Erdogan vuole annientare i curdi e invadere la Siria ma Usa e Onu sono solo 'preoccupati'
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Erdogan vuole annientare i curdi e invadere la Siria ma Usa e Onu sono solo 'preoccupati'

Erdogan sta portando avanti la pulizia etnica nel Rojava curdo-siriano: ha minacciato di invadere la Siria, come il suo alleato-competitore russo ha fatto con l’Ucraina

Erdogan vuole annientare i curdi e invadere la Siria ma Usa e Onu sono solo 'preoccupati'
Militari turchi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Dicembre 2022 - 17.48


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Punta alla soluzione finale della “questione curda”. L’annientamento. Sta portando avanti la pulizia etnica nel Rojava curdo-siriano. Ha minacciato di invadere la Siria, come il suo alleato-competitore russo ha fatto con l’Ucraina. Una cosa è certa: Recep Tayyp Erdogan non maschera i suoi propositi. Di fronte ai quali l’America cosa fa? Esprime “preocupazione”. E lo stesso fa l’Onu.

Le preoccupazioni impotenti. E complici

Dalle agenzie stampa. Il segretario americano alla Difesa, Austin, ha espresso all’omologo turco Akar “forte opposizione” all’avvio di una nuova operazione militare di Ankara in Siria.”Il segretario Austin ha chiesto una riduzione dell’escalation”, si legge nella nota del Pentagono. E sulla situazione siriana ha espresso forte preoccupazione al Consiglio di Sicurezza l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Pedersen. “Ho avvertito pericoli di un’escalation”, ha detto, riferendo della grave tendenza all’aumento di operazioni militari nel Paese. L’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Geir Pedersen, ha espresso al Consiglio di sicurezza, preoccupazione per una grave tendenza all’escalation di operazioni militari nel Paese. “Ho avvertito pericoli di un’escalation militare in Siria – ha dichiarato -. Questo è preoccupante e pericoloso”. Pedersen ha evidenziato che negli ultimi mesi gli attacchi reciproci si sono lentamente intensificati nel nord tra le forze democratiche siriane da un lato e i gruppi di opposizione Turkiye e armati dall’altro, con la violenza che si diffonde oltre il confine.

Delle preoccupazioni senza ricadute concrete e sanzionatorie, il sultano di Ankara sa cosa farsene: carta straccia.

La torta della ricostruzione.

Una “torta” multimiliardaria. Ne scrive su Affarinternazionali Munqeth Othman Agha, in un documentato report.

“Nella totale assenza di una ricostruzione nazionale della Siria, Paesi come la Russia, l’Iran, la Turchia e persino il regime siriano hanno iniziato ad elaborare proprie strategie di intervento per ricostruire le aree del paese poste sotto la propria influenza. Si tratta di piani selettivi che con il tempo stanno creando aree disarticolate caratterizzate da diversi gradi di stabilità e sviluppo, rendendo così sempre più incerto il futuro di un paese dilaniato dalla guerra. L’accumulazione di progetti simultanei elaborati e applicati su piccola scala, in diverse parti del paese, porterà, infatti, all’emergere di area ricostruite ma disgiunte tra loro, trascurando ampie zone del paese, minando a lungo andare l’integrità territoriale della Siria. Tuttavia, è importante ricordare che la maggior parte dei danni al sistema siriano è stata causata dagli stessi attori che ora si contendono la parziale ricostruzione del paese: gli obiettivi della ricostruzione coincidono, quindi, con quelli della distruzione – una dinamica contorta che ha permesso però a Turchia, Iran e Russia di accrescere i propri profitti economici nell’area. 

Le azioni del regime siriano

Non solo Turchia, Russia e Iran, ma lo stesso regime siriano lavora da anni, ricorrendo a strumenti militari e legali, per ricostruire selettivamente solo quelle aree del Paese che hanno un chiaro valore economico o politico. Si tratta, principalmente, dell’area di Damasco e delle zone costiere. 

Lo scopo è quello di creare un sistema che limiti l’azione e l’attività di qualsiasi attore estraneo al regime, come le comunità controllate dall’opposizione le cui abitazioni vengono demolite al fine di disincentivare la loro presenza per sostituirli, successivamente, con persone di diversa estrazione socioeconomica e diverso orientamento politico. L’obiettivo viene perseguito manipolando e deviando gli aiuti internazionali, oltre che monopolizzando il mercato dei materiali da costruzione. 

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Gli obiettivi dell’Iran

La presenza iraniana in Siria si è manifestata attraverso la distruzione sistematica e deliberata delle aree intorno ai santuari sciiti, come il santuario Sayyida Zeinab nel sud di Damasco e il santuario Sayyida Sukayna a Darraya. La devastazione è stata accompagnata dallo sradicamento dei residenti locali e dalla successiva confisca e ricostruzione delle diverse proprietà per ospitare, invece, famiglie sciite e turisti religiosi. 

Una tattica molto simile a quella messa in atto dallo stesso regime siriano. Lo scopo iraniano è quello di influenzare direttamente settori economici essenziali e ridisegnare il tessuto sociale e urbano in aree come Damasco, Aleppo e Deir-ez-Zor. Una tattica che ha colpito anche quest’ultima città, dove l’Iran è intervenuto al fine di disperdere intere comunità durante la guerra contro l’Isis. 

Alla distruzione, seguono opere di ricostruzione, perseguite tramite accordi commerciali redditizi e a lungo termine siglati con il regime siriano. Ciò avviene in particolare nei settori del carburante, dell’elettricità e delle telecomunicazioni. Inoltre, l’Iran ha esplicitato l’intenzione di vendere materiali da costruzione in Siria a tariffe preferenziali e di costruire unità abitative.

La Russia e il mercato siriano

Il processo di distruzione-ricostruzione messo in atto, invece, dalla Russia passa da due strategie conosciute come government-to-government e business-to-business, così da garantirsi una partnership con la Siria che qualifichi la Russia come ‘nazione favorita’ nei rapporti economico-commerciali. Lontano dalla distruzione materiale promossa dall’Iran, la Russia sta portando avanti forme di cooperazione militare e diplomatica al fine di favorire i propri interessi strategici, in particolare intorno alla base aerea di Khmeimim.

L’approccio business-to-business, invece, è volto a spianare la strada verso il mercato siriano alle grandi e medie imprese russe, soprattutto nei settori dell’energia, del turismo e dei trasporti. Dal 2017, diverse società legate al governo russo hanno firmato contratti relativi a petrolio e gas; per la costruzione di resort turistici e di grattacieli residenziali a Tartus, Latakia e Homs; per la gestione di importanti infrastrutture di trasporto come il porto di Tartus, la ferrovia siriana e l’aeroporto internazionale di Damasco.

La strategia della Turchia

La politica turca in Siria si basa, ad oggi, su due importanti pilastri: il controllo diretto dei territori all’interno della Siria e la creazione di aree stabilizzate. Questo a sua volta serve a due obiettivi: diminuire la possibile creazione di un’entità curda e creare una zona sicura per il ritorno dei rifugiati siriani attualmente in Turchia.

La Turchia non solo ha riabilitato infrastrutture e strutture pubbliche come ospedali, università e città industriali, ma ha anche costruito strutture di governance e di sicurezza nelle aree sotto il suo controllo. Tuttavia, la dinamica di distruzione-ricostruzione operata dalla Turchia prevede il diretto controllo di queste operazioni da parte di agenzie umanitarie, di sviluppo e di governo turche. 

Anche la crisi umanitaria dei rifugiati siriana si è trasformata in un’arma nelle mani della Turchia, che ha ripetutamente espresso l’intenzione di rimandare più di un milione di rifugiati siriani nel nord della Siria, nonostante la stragrande maggioranza non provenga da queste aree. Per assorbire questo afflusso, la Turchia ha realizzato e sostenuto nuovi piani regolatori e ha avviato progetti su larga scala per la costruzione di nuove città. Questi includono nuove unità abitative costruite direttamente da agenzie turche e Ong siriane.

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I piani di ricostruzione attualmente applicati alla Siria sono selettivi e opportunistici. Minacciano i diritti di proprietà e il tessuto sociale e permettono agli attori stranieri o agli alleati del regime di monopolizzare settori economici vitali e risorse naturali. Ciò porterà a uno sviluppo locale disomogeneo e con alti rischi per l’integrità territoriale della Siria. Il risultato – conclude Othman Agha – sarà quello di perpetuare le sofferenze dei siriani in Siria, mentre diminuirà la speranza di ritorno per quelli all’estero”.

Le ambizioni del sultano

La Turchia, seconda potenza militare della Nato, ha una serie di avamposti militari sul terreno ed è accusata dal governo di Damasco di occupare militarmente parte del Paese. Nonostante il conflitto a bassa intensità non sia mai cessato, come testimonia il bombardamento turco che ieri ha ucciso tre soldati siriani vicino alla città di confine di Kobani, la ripresa dei colloqui a porte chiuse tra i capi dell’intelligence di Turchia e Siria è comunque un segnale di apertura, avvenuto peraltro dopo un vertice avvenuto lo scorso 19 luglio a Teheran tra Vladimir Putin, Ibrahim Raisi e Recep Tayyip Erdogan.

Di recente, il quotidiano turco Hurriyet ha riferito che il presidente turco Erdogan aveva espresso il desiderio di incontrare il presidente Bashar al Assad al vertice dell’Organizzazione per cooperazione di Shanghai (Sco), che si è concluso il 16 settembre a Samarcanda, in Uzebekistan, a cui hanno preso parte, oltre al capo dello Stato turco, anche gli omologhi di Russia e Iran, Putin ed Raisi. Tuttavia, Assad non ha partecipato al summit di Samarcanda. “Vorrei che Assad fosse venuto in Uzbekistan, gli avrei parlato”, avrebbe affermato Erdogan, secondo quanto riferito dall’editorialista di Hurriyet, Abdulkadir Selvi. “È andato in guerra contro i ribelli per mantenere il proprio potere. Ha scelto di proteggere il proprio potere. Pensava di proteggere le aree che controllava. Ma non poteva proteggere vaste aree”, avrebbe aggiunto Erdogan.

Inferno siriano

La Siria “dimenticata” è l’inferno raccontato da Catherine Russell, Direttore Generale dell’Unicef (l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Infanzia) nel suo intervento alla VI Conferenza di Bruxelles: “Sostenere il futuro della Siria e della regione”.

Così Russell: “La Siria oggi è uno dei posti più pericolosi al mondo per essere un bambino. Un’intera generazione sta lottando per sopravvivere. Quasi il 90% delle persone in Siria vive in povertà. Più di 6,5 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza urgente – il maggior numero di bambini siriani in difficoltà dall’inizio del conflitto. Undici anni di conflitto e sanzioni hanno avuto un impatto devastante sull’economia della Siria, riportando lo sviluppo indietro di 25 anni. La maggior parte dei sistemi e dei servizi di base da cui dipendono i bambini – salute, nutrizione, acqua e servizi igienici, istruzione e protezione sociale – sono stati ridotti all’osso. Le famiglie stanno lottando per mettere il cibo in tavola. Tra febbraio e marzo (quest’anno), il prezzo del paniere alimentare standard è aumentato di quasi il 24%. Quasi un terzo di tutti i bambini soffre di malnutrizione cronica. E l’impatto della guerra in Ucraina sui prezzi del cibo sta rendendo una brutta situazione ancora peggiore. Questi sono tempi pericolosi, persino mortali, per essere un bambino in Siria. Gli attacchi alle infrastrutture civili sono diventati comuni. Più di 600 strutture mediche, tra cui ospedali materni e infantili, sono state attaccate. Dall’inizio della guerra, abbiamo potuto verificare che quasi 13.000 bambini sono stati uccisi o feriti – ma sappiamo che la cifra è molto più alta. La guerra non ha segnato solo fisicamente i bambini della Siria. L’anno scorso, un terzo di tutti i bambini in Siria ha mostrato segni di stress psicologico – ferite invisibili che possono durare tutta la vita. Anche i bambini che sono fuggiti dalla guerra in Siria hanno subito un trauma. Circa 2,8 milioni di bambini (siriani) vivono ora in Giordania, Libano, Iraq, Egitto e Turchia. Le vite di questi bambini sono piene di perdite, rischi e incertezze. Come ha detto una bambina di 11 anni a un operatore Unicef, “Non so cosa significhi la parola casa“.

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Undici anni di guerra, disordini e sfollamenti hanno anche minacciato l’istruzione di un’intera generazione. Più di 3 milioni di bambini siriani non vanno ancora a scuola. Ma contro ogni previsione, circa 4,5 milioni di bambini siriani hanno accesso a opportunità di apprendimento. Questo grazie ai generosi finanziamenti dei donatori attraverso iniziative come (The) No Lost Generation, co-guidata dall’Unicef. Ma non potrebbe accadere senza i continui sforzi delle comunità locali, degli insegnanti, della società civile e delle organizzazioni internazionali.
Sappiamo che altre crisi che colpiscono i bambini stanno dominando i titoli dei giornali. Ma il mondo non deve dimenticare i bambini della Siria. Le loro vite sono altrettanto preziose e il loro futuro è altrettanto importante. Prima di tutto, hanno bisogno della fine di questa lunga e infruttuosa guerra. Non ci può essere una soluzione militare a questa crisi. Solo la pace può evitare che i bambini della Siria diventino davvero una generazione perduta. Chiediamo anche la fine immediata di tutte le gravi violazioni contro i bambini in Siria, compresi l’uccisione e il ferimento dei bambini. Fino a quando non sarà raggiunta una soluzione sostenibile, l’Unicef e i nostri partner continueranno a fare tutto il possibile per raggiungere ogni bambino, ovunque si trovi”.
E di fronte a questa tragedia apocalittica, aggravata dai propositi espansionisti della Turchia, la comunità internazionale si dichiara “preoccupata”.  

Interrogativo finale: ma la  resistenza curda-siriana, gli eroi di Kobane, donne e uomini che hanno combattuto in prima linea i nazislamisti dell’Isis, non meriterebbero lo stesso sostegno, anche in armi, della resistenza ucraina?

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