Israele, gli 'ambasciatori di pace' si appellano all'Europa: "Fermate Netanyahu"
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Israele, gli 'ambasciatori di pace' si appellano all'Europa: "Fermate Netanyahu"

Policy working group, partner israeliano nella rete J-Link, ha redatto una nota  diretta a governi, Ministeri Affari esteri, dei paesi europei con aspra critica ai piani del nuovo governo in materia di annessione dei territori occupati

Israele, gli 'ambasciatori di pace' si appellano all'Europa: "Fermate Netanyahu"
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9 Gennaio 2023 - 12.42


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Policy working group, partner israeliano nella rete J-Link, ha redatto una nota  diretta a governi, Ministeri Affari esteri, dei paesi europei con aspra critica ai piani del nuovo governo in materia di annessione dei territori occupati, di negazione dei  diritti dei palestinesi e un forte invito ai governi UE ad intervenire sul terreno. Una presa di posizione di grande rilevanza visto che il Pwg è formato e diretto da diplomatici di primissimo piano dello Stato d’Israele, che in passato hanno ricoperto importanti incarichi in Paesi europei di grande rilevanza come, ad esempio, la Francia.

Lettera ai governi e alle istituzioni europei

Il sesto governo Netanyahu, che ha giurato il 28 dicembre 2022, rappresenta più di un normale trasferimento di potere in una normale democrazia parlamentare; il suo intento ultimo è quello di effettuare un cambio di regime, consentendo il completamento dell’annessione della Cisgiordania.


La situazione nei Territori Palestinesi Occupati (OPT) continua a deteriorarsi e il 2022 è stato l’anno con il maggior numero di vittime palestinesi dalla seconda intifada. Stiamo assistendo a una crescente oppressione dei palestinesi, a violazioni dei loro diritti umani e a misure adottate per consolidare la presa di Israele sugli OPT, insieme all’attacco senza precedenti del 37° governo israeliano contro tutte le norme della società civile in patria, creando un tragico stato di cose davanti ai nostri occhi.


Fedele alla natura della coalizione estrema, ultradestra e fondamentalista messa insieme da Netanyahu, la piattaforma governativa appena adottata promuove apertamente i diritti sovrani di autodeterminazione esclusivamente per il popolo ebraico sull’intera terraferma tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. I passi che permetteranno di tradurre questa prospettiva in politica sono ancorati negli accordi di coalizione che prevedono il trasferimento della responsabilità sugli OPT dall’autorità militare a quella civile.
La finzione di un’occupazione “temporanea” è finita, così come il servizio verbale reso al “processo di pace”. La fiducia della comunità internazionale nel desiderio di pace di Israele, basato sul riconoscimento dei diritti del popolo palestinese, è insopportabile di fronte alla dichiarazione del governo israeliano di voler rimanere negli OPT per sempre, non perché “non c’è un partner” e non per esigenze di sicurezza, ma perché è considerato un imperativo ordinato da Dio.


Spetta all’Europa riconoscere questa nuova realtà e agire immediatamente per far capire al governo israeliano che la sua continua oppressione dei palestinesi avrà un costo e che il successo dei suoi sforzi per soffocare la democrazia in patria potrebbe trasformarlo in uno Stato paria. L’Europa deve affermare la sua aspettativa che i valori fondamentali che sono alla base delle relazioni internazionali – l’uguaglianza, lo stato di diritto e la sacralità dei diritti umani – trovino espressione nella condotta del governo israeliano su entrambi i lati della Linea Verde.
La situazione richiede la reiterazione del riconoscimento europeo dell’uguale diritto all’autodeterminazione di entrambe le parti in Terra Santa e la riaffermazione della Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite come base primaria per qualsiasi futuro negoziato di pace.

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Alla luce dell’intenzione dichiarata di Israele di mantenere il controllo sugli OPT, i principali Paesi europei dovrebbero rivedere la loro posizione sulla richiesta alla Corte internazionale di giustizia di un parere legale sull’occupazione e le sue conseguenze e dovrebbero sostenere sia questo sforzo sia la decisione della Corte penale internazionale di indagare se le parti in conflitto hanno commesso crimini di guerra dal 2014.
Invitiamo l’Europa a dare priorità a un impegno assertivo con le parti attraverso canali diplomatici e pubblici per contenere e infine invertire la spirale negativa, partendo dalla consapevolezza che l’instabilità nella nostra regione minaccia il benessere non solo delle parti dirette del conflitto, ma anche quello dei Paesi arabi vicini e gli interessi strategici europei nella regione.
Fino a quando non sarà raggiunto un accordo tra le parti, invitiamo l’Europa a difendere i propri valori nella regione monitorando le violazioni dei diritti umani perpetrate da entrambe le parti e reagendo vigorosamente e senza indugio”.

firmato

Presidente

Amb. (a riposo) Ilan Baruch

Amb. (a riposo) Prof. Eli Barnavi Amb. (a riposo)

Ambasciatori in difesa

Un passo indietro nel tempo. Ottobre 2021.

“Mi chiamo Ilan Baruch e sono un ex ambasciatore israeliano in Sudafrica e presidente del Policy Working Group, un collettivo di accademici israeliani di alto livello, ex ambasciatori e difensori dei diritti umani che sostengono e promuovono la trasformazione delle relazioni tra Israele e Palestina dall’occupazione alla convivenza basata su una soluzione a due stati. Vi scrivo per condividere con voi una lettera aperta che ho firmato insieme ad altri 13 personaggi pubblici israeliani a sostegno della deputata Laura Boldrini”. Inizia così una nota che accompagna una lettera in inglese firmata da 14 accademici e difensori dei diritti umani. “Come israeliani dediti alla pace e ai diritti umani- si legge nella missiva- esprimiamo il nostro sostegno alla deputata del Partito democratico Laura Boldrini, che attualmente sta affrontando un grave attacco da parte della destra in Italia e dall’ambasciata israeliana a Roma, a seguito dell’audizione del 20 dicembre della sottocommissione per i diritti umani al parlamento italiano, da lei stessa presieduta”. Nell’audizione, prosegue il testo, “la sottocommissione ha ospitato i direttori delle Ong palestinesi al-Haq e Admeer sul tema dell’inserimento, a ottobre scorso, di sei Ong palestinesi per i diritti umani nella lista delle organizzazioni terroristiche da parte di Israele. Da allora, la deputata Boldrini è stata accusata di sostenere il terrorismo”. Tuttavia secondo i firmatari “Israele finora non ha presentato nessuna prova concreta e credibile a sostegno di tali accuse. Così come la campagna diffamatoria contro Boldrini, anche la criminalizzazione israeliana delle sei Ong è motivata politicamente. Ha lo scopo di distruggere e togliere finanziamenti alle ong dedite alla resistenza non violenta all’occupazione israeliana, e alla difesa dei diritti dei palestinesi che- si legge ancora- sono sistematicamente violati da Israele nei Territori palestinesi occupati

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La lettera prosegue: “Per anni, il governo israeliano ha condotto campagne aggressive per ridurre lo spazio civico per quelle Ong che criticano la sua violenta occupazione della Palestina e che denunciano le sue violazioni sistematiche del diritto internazionale. Il governo israeliano ha esteso questa campagna in Europa e sta cercando di ridurre lo spazio parlamentare per i diritti umani”. Da qui la decisione dei membri del Policy Working Group di lanciare un appello ai paesi europei: “Esortiamo i parlamentari europei a seguire l’esempio della deputata Boldrini, invitando i difensori dei diritti umani palestinesi a intervenire al Parlamento europeo per parlare della situazione in Palestina”.

I firmatari, oltre all’ex ambasciatore Ilan Baruch, sono: Elie Barnavi, ex ambasciatore israeliano in Francia; Michael Ben-Yair, ex procuratore generale di Israele ed ex giudice della corte suprema; Yoram Bilu, vincitore del Premio Israele (2013); Roman Bronfman, ex membro della Knesset; Avraham Burg, ex presidente della Knesset ed ex capo dell’Agenzia Ebraica; Naomi Chazan, ex membro e vicepresidente della Knesset ed ex presidente di New Israel Fund; Itzhak Galnoor, ex capo della Commissione per il servizio civile israeliano; Zehava Galon, ex membro della Knesset ed ex presidente del partito Meretz; Miki Kratsman, vincitore del Premio Emet 2011; Alex Levac, vincitore del Premio Israele 2005; Alon Liel, ex direttore generale del ministero degli Affari Esteri israeliano ed ex ambasciatore israeliano in Sudafrica e in Turchia; Kobi Metzer, ex presidente della Open University of Israel; David Shulman, vincitore del Premio Israele 2016 e vincitore del Premio Emet 2010.

Il 21 ottobre 2021 l’ambasciata israeliana in Italia si era detta, in una nota, “scioccata” dal fatto che un terrorista condannato e due organizzazioni terroristiche come “Al-Haq” e “Addameer”, entrambe parte dell’organizzazione terroristica “Fronte popolare per la liberazione della Palestina” (“Fplp”), fossero state formalmente invitate a parlare in Parlamento.

“Questo invito – scriveva a rappresentanza israeliana in Italia – è un riconoscimento per il terrorismo e contrasta completamente con l’aspettativa dell’intera comunità internazionale di dissuadere e impedire alle organizzazioni terroristiche di operare dall’interno di strutture civili e di impedire che qualunque forma di finanziamento finisca nelle mani delle organizzazioni terroristiche”.

Quell’accusa infamante

I premi Nobel per la pace Jimmy Carter, Desmond Tutu, Mairead Maguire. Organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, Human Rights Watch. E l’elenco potrebbe proseguire a lungo. Personalità e organizzazioni che hanno denunciato i crimini commessi a Gaza, e per questo sono stati considerati “antisemiti”.

La memoria torna a quell’estate di sangue del 2014. Ci sono anche sette premi Nobel per la Pace tra i 64 firmatari di una lettera aperta nella quale si chiede che venga applicato, nei confronti di Israele, un embargo internazionale per quanto riguarda la vendita delle armi. La lettera-appella è del 21 luglio 2014. La missiva, sul Guardian, chiede che il provvedimento venga preso per i “crimini di guerra e i possibili crimini contro l’umanità a Gaza”. “Israele – si legge nella lettera – ha ancora una volta scatenato tutta la forza del suo esercito contro la popolazione palestinese, in particolare quella della Striscia di Gaza, in un atto disumano e in una illegale aggressione militare. La capacità di Israele di lanciare questi attacchi impunemente deriva in gran parte dalla vasta cooperazione militare internazionale che intrattiene con la complicità dei governi di tutto il mondo. Chiediamo alle Nazioni Unite di attuare immediate misure di embargo militare nei confronti di Israele simili a quelle inflitte al Sudafrica durante l’apartheid”. 

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Tra i firmatari dell’appello ci sono anche sette premi Nobel per la Pace: si tratta in particolare di Desmond Tutu, Betty Williams, Federico Mayor Zaragoza, Jody Williams, Adolfo Peres Esquivel, Mairead Maguire e Rigoberto Menchu. Ma non solo: il documento è stato sottoscritto anche da importanti accademici come Noam Chomsky e Rashid Khalidi, dai registi Mike Leigh e Ken Loach, dai musicisti Roger Waters e Brian Eno, dagli scrittori Alice Walker e Caryl Churchill e dai giornalisti John Pilger e Chris Hedges. Tra i firmatari, inoltre, ci sono anche due accademici israeliani: Ilan Pappe e Nurit Peled.

Elenco lunghissimo

Amira Hass, Gideon Levi, Zvi Bar’el, Anshell Pfeffer. E l’elenco potrebbe proseguire a lungo. E comprendere gli attivisti di B’tselem o di Peace Now. E i militari che a un certo punto hanno detto basta ad essere strumenti di occupazione. Hass, Levi, Bar’el, Pfefffer: sono alcune delle firme più prestigiose del giornalismo israeliano e di uno dei più autorevoli quotidiani d’Israele: Haaretz. Nei loro articoli hanno raccontato dei guasti dell’occupazione, della colonizzazione, dell’oppressione esercitata sul popolo palestinese. Sono per questo degli antisemiti? E lo sono scrittori o storici che non hanno mai smesso di battersi per riconoscere i diritti dell’altro da sé, senza per questo venir mai meno al loro orgoglio di essere ebrei e israeliani: penso ad Abraham Yeoshua, ai compianti Amos Oz e Zeev Sternhell, a David Grossman, che nell’ultima guerra in Libano ha pianto la morte di suo figlio Yoni. Chi scrive ha avuto il privilegio di conoscerli, d’intervistarli, con qualcuno di loro di diventare amico. Sono anche loro antisemiti perché hanno preso posizione contro i guasti prodotti dalla colonizzazione dei Territori palestinesi occupati? E lo sono premi Nobel per la pace, come l’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter o l’eroe della lotta all’apartheid Desmond Tutu, (scomparso il giorno di Santo Stefano) che hanno raccontato del regime di apartheid che vige in Cisgiordania e degli effetti devastanti che oltre un decennio di assedio a Gaza ha provocato sulla vita di quasi 2 milioni di palestinesi, il 56% dei quali minorenni?

E lo sono oggi gli intellettuali, diplomatici, giornalisti israeliani che denunciano la pericolosità del governo “fascista” insediatosi in Israele? 

Ps. Uno dei sostenitori più convinti di Benjamin Netanyahu, sostegno ricambiato con la stessa determinazione dal premier israeliano,  è l’ex presidente golpista brasiliano Jair Bolsonaro. Qualcosa vorrà pur dire. 

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