La doppiezza dell'Occidente: i 'resistenti' iraniani non valgono quelli ucraini
Top

La doppiezza dell'Occidente: i 'resistenti' iraniani non valgono quelli ucraini

Continua a crescere senza sosta il numero dei manifestanti uccisi in Iran durante le proteste iniziate lo scorso 16 settembre dopo la morte di Mahsa Amini. Ma...

La doppiezza dell'Occidente: i 'resistenti' iraniani non valgono quelli ucraini
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Gennaio 2023 - 17.53


ATF

Iran, la Guida Suprema dichiara guerra alla rivoluzione. E lo fa moltiplicando le esecuzioni capitali e giocando la carta del nemico esterno. 

Continua a crescere senza sosta il numero dei manifestanti uccisi in Iran durante le proteste iniziate lo scorso 16 settembre dopo la morte di Mahsa Amini: sono almeno 481, tra cui 64 minori e 35 donne. Il numero è stato comunicato dall’Ong iraniana con sede a Oslo, Iran Human Rights, che tiene il conto dei numeri in assenza di dati ufficiali.

Secondo l’Ong l’aumento del bilancio delle vittime si riferisce a casi accertati di recente avvenuti nei primi due mesi di proteste, ed è quindi probabile che i dati reali siano molto più alti. Inoltre, sempre secondo l’Ong, almeno 109 manifestanti si trovano attualmente a rischio di essere giustiziati, condannati alla pena capitale o condannati al carcere. 

Ihr sottolinea inoltre che il numero potrebbe essere anche maggiore perché le autorità di Teheran esercitano pressioni sulle famiglie dei condannati affinché non rendano pubbliche le loro vicende. Nella lista pubblicata dalla ong, la maggior parte delle persone hanno tra i 20 e i 30 anni e alcuni sono minorenni.  Intanto Teheran ha fatto sapere che l’esecuzione di due manifestanti arrestati e già condannati a morte, il 22enne Mohammad Ghobadlou e il 19enne Mohammad Boroughani, non è ancora stata programmata. A renderlo noto è stata l’agenzia della Magistratura iraniana, Mizan. “L’esecuzione della condanna a morte di Ghobadlou, accusato di avere ucciso un agente di polizia, e di Boroughani, accusato di avere un coltello e di avere incendiato l’edificio di una prefettura durante le dimostrazioni, è stata fermata per ‘procedimenti legali incompleti'”, ha fatto sapere Mizan. Ieri mattina, molte persone, compresi i familiari dei condannati, si erano radunate davanti al carcere di Rajaeishahr a Karaj dopo che si era diffusa la notizia del trasferimento dei due giovani in celle di isolamento per essere successivamente impiccati in pubblico. L’avvocato di Ghobadlou ha fatto sapere ieri di avere richiesto la ripresa dei procedimenti legali in modo tale che l’esecuzione venga fermata.   

Il j’accuse di un grande pianista

“Il regime iraniano, usurpatore e violento, ha le ore contate” e sarà ”il popolo che lo farà cadere, da solo”, per mezzo di ”una rivoluzione che non è più solo femminile, ma riguarda l’intera popolazione”. E lo farà ”nel silenzio assordante dei politici e delle autorità” dell’Occidente, dove ”non c’è una partecipazione veramente importante” rispetto al ”momento tristissimo” che sta vivendo l’Iran. Come se ”il sangue iraniano fosse meno rosso di quello ucraino, o di quello russo, congolese, iracheno, siriano. Questo fa male”. Si dice ”estremamente indignato come essere umano e come amante della libertà” il grande pianista iraniano Ramin Bahrami, che con l’Adnkronos afferma che ”da cattolico trovo anche incomprensibile il mancato interesse della Santa Sede. Come mai non prende posizione?”.

E invita l’Italia e l’Unione europea a ”rinunciare ai propri interessi economici” esortando invece ”a lavorare per una nuova democrazia e a un governo che vada bene al popolo iraniano”. Insomma, è l’appello del musicista, ”basta scendere a compromessi con un governo che non è più legittimo. In questi anni i compromessi economici non hanno permesso al popolo iraniano di liberarsi di un regime che non vuole, un regime che non rispetta l’umanità”. Davanti a ”giovani ragazzi innocenti che vengono impiccati tutti i giorni” e che ”combattono ogni giorno per un briciolo di libertà”, giovani ”che non hanno più paura di niente e sono disposti a sacrificare la vita per dare un futuro di pace e libertà ai loro figli”, Bahrami si chiede ”come si fa a essere così indifferenti?”. Esprimendo apprezzamento per le manifestazioni che si sono svolte nelle piazze e ”al taglio delle ciocche di capelli”, anche in Italia, il pianista iraniano sottolinea che ”sarebbe stata auspicabile una presa di posizione e una partecipazione maggiore del popolo italiano” nei confronti di ”un regime criminale e assassino che va contro ogni principio di umanità”. Rivolgendosi a ”l’Occidente e l’Unione europea”, il grande pianista chiede inoltre ”maggiore rispetto per il popolo iraniano, che vuole solo vivere in pace e in armonia in un mondo dove invece a farla da padrone sono gli interessi economici”. E si chiede ”dov’è l’Onu? Dov’è la Nato? Perché non invia armi, perché non c’è un invasore, restano in silenzio?”.

Leggi anche:  L'Iran su Trump: "Opportunità per gli Usa per rivedere gli approcci sbagliati del passato"

Il Papa prende posizione

Nell’incontro del 9 gennaio con  il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede , Papa Francesco ripercorrendo le crisi che sta attraversando il mondo, ha parlato anche dell’Iran: “”Il diritto alla vita è minacciato laddove si continua a praticare la pena di morte, come sta accadendo in questi giorni in Iran, in seguito alle recenti manifestazioni, che chiedono maggiore rispetto per la dignità delle donne. La pena di morte non può essere utilizzata per una presunta giustizia di Stato, poiché essa non costituisce un deterrente, né offre giustizia alle vittime, ma alimenta solamente la sete di vendetta. Faccio, perciò, appello perché la pena di morte, che è sempre inammissibile poiché attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona, sia abolita nelle legislazioni di tutti i Paesi del mondo”, ha detto il Papa. 

La Guida suprema comanda  i boia di stato

Scrive Antonella Alba per Rai News: “Sue immagini sono andate a fuoco per le strade e in tv, il popolo iraniano ha gridato e continua a invocare la sua morte politica e spirituale. Eppure, l’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema della Repubblica islamica dell’Iran, non arretra di un centimetro e promette di intensificare la repressione degli iraniani che, a mani nude, continuano a scendere per le strade delle principali città per quella che qualcuno ha già chiamato rivoluzione, la più importante dalla costituzione della Repubblica nel 1979.

Il grande paese del Medioriente è attraversato in lungo e in largo da migliaia di manifestanti: donne, uomini, adolescenti, che chiedono riforme strutturali economiche e sociali e sistematicamente vengono picchiati e arrestati: in 19000 o forse più sono nelle carceri sparse nel paese e 519, secondo Hrana (agenzia per i diritti umani) hanno perso la vita nella violenta repressione ordinata dal clero ai Pasdaran, le Guardie della rivoluzione incaricate di mantenere l’ordine e lo status quo, mentre il paese dopo 4 mesi si sveglia ancora con i suoi figli mandati a morte. Eppure per il leader sciita quelle sono “poche persone radunate nelle strade, che hanno gridato e dato fuoco a cassonetti con il solo obiettivo di distruggere i punti forti del sistema e fermare la produzione e il turismo in Iran”, ha affermato in occasione dell’anniversario della rivolta nel 1978 degli abitanti di Qom, riportato dalla tv di Stato.

Leggi anche:  L'Iran su Trump: "Opportunità per gli Usa per rivedere gli approcci sbagliati del passato"

A nulla sono serviti gli appelli internazionali (compreso quello del Papa)  a fermare la violenza e neanche la minaccia di sanzioni da parte dell’Europa e dell’Onu: i vertici della teocrazia islamica sono convinti che “gli stranieri” siano i veri responsabili di questa crisi che appare irreversibile e minaccia la tenuta del regime.  La mano degli stranieri, americani ed europei, nelle rivolte è così ovvia che non può essere ignorata”, ha detto Khamenei che da sempre punta il dito su Israele, Stati Uniti e Arabia Saudita.

L’Iran è da anni provato da una grave crisi economica anche a causa di quelle sanzioni arrivate dopo il fallimento del patto sul nucleare (Jcpoe) da cui gli Stati Uniti sono usciti unilateralmente nel 2018 per volere dell’allora presidente Trump.

E ancora: “I media occidentali, arabi ed ebraici, come anche i social network, stanno tentando di diffondere l’idea che le attuali rivolte mirano a criticare i punti deboli esistenti nella gestione del paese rispetto all’economia ma di fatto sono contro i nostri punti forti”, ha affermato dopo le condanne mediatiche provenienti da parecchi media occidentali e, soprattutto, dopo l’ultimo sberleffo del quotidiano satirico francese Charlie Hebdo, che ha pubblicato ancora vignette in cui l’ayatollah supremo è malamente calpestato dalle donne. Perfino Meta annuncia la decisione di non rimuovere dai social lo slogan “morte a Khamenei”: non violerebbe più la regola contro le minacce violente, in quanto derubricato a un mero “abbasso Khamenei”. Qualche giorno fa la decisione di cambiare i vertici della polizia, ora non c’è più tempo: “Dobbiamo agire in tempo prima che sia troppo tardi, non dobbiamo trascurare il nostro dovere islamico e dobbiamo arrivare sul posto senza ritardi e persino mettere in pericolo le nostre vite, se necessario”, ha aggiunto l’erede di Khomeini.

Qualcuno ha voluto vedere crepe nella gestione delle proteste, come quando la sorella  stessa di Khamenei ha pubblicamente chiesto alle autorità di “ascoltare il popolo” e sua nipote Farideh Moradkhani, nota attivista,ha condannato l’uccisione di alcuni minori, molti adolescenti, almeno una cinquantina, da quando sono cominciate le proteste quattro mesi fa. Farideh è stata condannata a 15 anni di carcere, ridotti poi a tre. Ma la strada verso una soluzione della crisi iraniana sembra ancora lunga da percorrere”, conclude Alba..

Protesta non violenta

Un gruppo di studenti universitari e altre persone, detenute per aver partecipato alle proteste di piazza in Iran, ha iniziato in carcere uno sciopero della fame e della sete contro le impiccagioni dei manifestanti, unendosi così alla protesta analoga, che dura da circa una settimana, di 15 attiviste rinchiuse nella prigione Kachuei a Karaj, alle porte di Teheran. Lo rivela il sito del Consiglio del sindacato degli studenti, secondo il quale uno degli ultimi aderenti alla protesta in carcere è Arjang Mortazavi, studente in informatica già bandito dall’università e arrestato dopo essere stato convocato dalla polizia.  

Leggi anche:  L'Iran su Trump: "Opportunità per gli Usa per rivedere gli approcci sbagliati del passato"

Nel carcere di Karaj – rivelano da giorni informazioni che corrono sui social e sui media iraniani e sul Human Rights Activists News Agency (Hrana) – le quindici attiviste protestano contro diritti fondamentali negati, come quello alla scelta dell’avvocato difensore e alle cure mediche; contro procedimenti giudiziari e processi ritenuti illegali; contro le esecuzioni, l’uso della tortura e il degrado delle condizioni carcerarie.    

Del gruppo in sciopero della fame e sete fanno parte anche l’artista Elham Modarresi, Niloufar Shakeri, Fatemeh Harbi, Jasmin Hajmirza-Ahmadi, Fatemeh Nazarinejad, Hamideh Zarei, Marzieh Mirghassemi, Fatemeh Mosleh Heidarzadeh, Fatemeh Jamalpour, Niloufar Kordouni, Somayeh Massoumi e Ensieh Moussavi.

“La giustizia non si può stabilire con una corda”. 

Si sfoga così su Twitter il centravanti della nazionale di calcio iraniana, Mehdi Taremi, dopo le ultime esecuzioni degli oppositori decise dal regime di Teheran. “Quale società troverà pace con un quotidiano spargimento di sangue ed esecuzioni?” aggiunge ancora il calciatore, attualmente in forza al Porto.

Ai recenti Mondiali di calcio del Qatar si ricordano ancora le immagini della nazionale di Teheran, impassibile e muta mentre veniva intonato l’inno iraniano, prima del fischio di inizio del suo primo match. Una forma di solidarietà per le donne simbolo delle proteste, incarcerate e uccise dagli ayatollah, a cui ora si sono aggiunti i tanti giovani incriminati per aver offerto il proprio sostegno e per questo impiccati dalle Guardie della Rivoluzione.

Un regime misogino

“Le donne che non osservano il velo obbligatorio e si trovano senza hijab in luoghi pubblici commettono un crimine evidente e la polizia è incaricata di fronteggiare duramente e arrestare chi non rispetta la legge e di segnalarle alla Magistratura”.

Lo ha detto il vice procuratore di Stato Abdolsamad Khorramabadi in una dichiarazione alla Tv di Stato. “A partire dagli ordini del Capo della Magistratura e del procuratore di Stato, i giudici dovrebbero condannare le persone che non rispettano la legge a punizioni complementari oltre a multarle per prendere misure preventive serie contro questo problema”, ha sottolineato Khorramabadi.  L’ordine della Magistratura non riguarda le donne che portano il velo ma quelle che non si coprono completamente i capelli. Secondo il codice penale islamico in Iran, le donne che non portano il velo devono essere condannate alla reclusione da 10 giorni a 2 mesi, pena che può essere sostituita da una multa, l’esilio, il divieto di essere assunte, il licenziamento, il divieto di fare parte di partiti politici o organizzazioni, il divieto di lasciare il Paese o l’obbligo di svolgere lavori pubblici senza essere pagate. La punizione per le donne che provocano altre convincendole a non portare il velo può essere più severa e comprende anche la detenzione per 10 anni
   

Native

Articoli correlati