Iran, più forti del terrorismo di Stato
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Iran, più forti del terrorismo di Stato

Iran al bivio. Sono giovani, ragazze e ragazzi, che si battono per la libertà contro un regime teocratico-militare che pur di mantenersi al potere spara sui manifestanti

Iran, più forti del terrorismo di Stato
Proteste contro il regime in Iran
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Gennaio 2023 - 17.21


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Più forti del boia. Ma non sono dei super eroi. Sono giovani, ragazze e ragazzi, che si battono per la libertà contro un regime teocratico-militare che pur di mantenersi al potere spara sui manifestanti, li arresta, l’impicca, minaccia le loro famiglie. Fa terrorismo di Stato. Ma la rivoluzione non alza bandiera bianca. In Iran la protesta va avanti.

“Donna.Vita. Libertà”

Lo gridavano le donne curde che combattevano a Kobane. Lo ritmano le donne iraniane protagoniste della rivoluzione dei diritti.

Un regime misogino

Il vice procuratore di Stato Abdolsamad Khorramabadi è intervenuto alla tv di Stato per assicurare che “le donne che non osservano il velo obbligatorio e si trovano senza hijab in luoghi pubblici commettono un crimine evidente e la polizia è incaricata di affrontare duramente e arrestare chi non rispetta la legge e di segnalarle alla Magistratura”. “A partire dagli ordini del Capo della Magistratura e del procuratore di Stato, i giudici dovrebbero condannare le persone che non rispettano la legge a punizioni complementari oltre a multarle per prendere misure preventive serie contro questo problema”, ha sottolineato Khorramabadi. L’ordine della Magistratura riguarda anche chi non si copre completamente i capelli. Secondo il codice penale islamico in Iran, le donne che non portano il velo devono essere condannate alla reclusione da 10 giorni a 2 mesi, pena che può essere sostituita da una multa, l’esilio, il divieto di essere assunte, il licenziamento, il divieto di fare parte di partiti politici o organizzazioni, il divieto di lasciare il Paese o l’obbligo di svolgere lavori pubblici senza essere pagate. La punizione per le donne che provocano altre convincendole a non portare il velo può essere più severa e comprende anche la detenzione per 10 anni.

L’accusa dell’Onu. 

“L’utilizzo come arma delle procedure penali per punire le persone che esercitano i loro diritti fondamentali, come coloro che partecipano o organizzano manifestazioni, equivale a un omicidio ” dello Stato. Così il capo delle Nazioni Unite per i diritti umani Türk proprio nel giorno in cui l’ong con ‘Iran Human Rights’ denuncia il fatto che 109 persone, arrestate durante le dimostrazioni anti governative in corso da quasi 4 mesi nel Paese, rischiano di essere condannate a morte o giustiziate se la pena capitale per loro è già emessa.

La Ong sottolinea inoltre che il numero potrebbe essere anche maggiore perché le autorità di Teheran esercitano pressioni sulle famiglie dei condannati affinché non rendano pubbliche le loro vicende. Nella lista pubblicata dalla ong, la maggior parte delle persone hanno tra i 20 e i 30 anni e alcuni sono minorenni. 

Sono 88 i giornalisti arrestati in Iran dopo il 16 settembre, quando sono iniziate le proteste anti governative ancora in corso, esplose in seguito alla morte della 22enne Mahsa Amini che ha perso la vita dopo essere stata arrestata perché non portava il velo in modo corretto. Lo fa sapere la Ong con sede a New York ‘Committee to Protect Journalists’ (Cpj) che ieri ha aggiornato il suo rapporto suoi reporter arrestati basato su fonti all’interno del Paese. “La repressione ha portato l’Iran a diventare il peggiore carceriere di giornalisti al mondo nel censimento di Cpj del 2022”, fa sapere la Ong.

Intanto Teheran ha fatto sapere che l’esecuzione di due manifestanti arrestati e già condannati a morte, il 22enne Mohammad Ghobadlou e il 19enne Mohammad Boroughani, non è ancora stata programmata. A renderlo noto è stata l’agenzia della Magistratura iraniana, Mizan. “L’esecuzione della condanna a morte di Ghobadlou, accusato di avere ucciso un agente di polizia, e di Boroughani, accusato di avere un coltello e di avere incendiato l’edificio di una prefettura durante le dimostrazioni, è stata fermata per ‘procedimenti legali incompleti'”, ha fatto sapere Mizan. Ieri mattina, molte persone, compresi i familiari dei condannati, si erano radunate davanti al carcere di Rajaeishahr a Karaj dopo che si era diffusa la notizia del trasferimento dei due giovani in celle di isolamento per essere successivamente impiccati in pubblico. L’avvocato di Ghobadlou ha fatto sapere ieri di avere richiesto la ripresa dei procedimenti legali in modo tale che l’esecuzione venga fermata.   

Capo Pasdaran minaccia di morte direzione di Charlie Hebdo.

‘”Pensate a Rushdie’” colpito da fatwa e accoltellato anni dopoI musulmani prima o poi si vendicheranno dei responsabili di Charlie Hebdo per aver pubblicato vignette che prendono in giro il leader Ali Khamenei: lo ha detto martedì il comandante delle Guardie rivoluzionarie Hossein Salami, aggiungendo minaccioso: “Puoi arrestare i vendicatori ma non puoi resuscitare i morti”.

“Questi individui francesi pensino al destino di Salman Rushdie”, l’autore dei ‘Versetti satanici’, ha aggiunto. Contro di lui il defunto leader iraniano Ruhollah Khomeini emise nel 1989 una Fatwa per aver insultato il profeta Maometto. Nell’agosto 2022, Rushdie è stato accoltellato e gravemente ferito a New York.

Colpevole di solidarietà. Va frustato

“Le autorità iraniane – scrive Antonella Alba per Rai News –  hanno condannato un cittadino belga, Olivier Vandecasteele, a 40 anni di prigione per “spionaggio e collaborazione con gli Stati Uniti, riciclaggio di denaro e contrabbando di valuta”. Lo riporta il sito iraniano Mizan. 

Vandecasteele ha lavorato in Iran per il Norwegian Refugee Council, un’organizzazione umanitaria, per più di sei anni prima di essere arrestato, il 24 febbraio 2022. Inizialmente era stato condannato a 28 anni, pena poi aumentata a 40 anni, ma in realtà dovrebbe scontarne solo 12 anni e mezzo. E non è tutto: le pene aggiuntive prevedono anche 74 frustateper il reato di contrabbando. Secondo quanto riportato dal quotidiano belga Le Soir, il cooperante sarebbe considerato “ostaggio diplomatico” dall’Iran e cioè uno straniero utile a uno scambio con detenuti iraniani che scontano pene fuori dall’Iran. 

E, infatti, spiega Le Soir, Teheran vorrebbe rimpatriare un diplomatico iraniano, Assadollah Assadi, accusato di “terrorismo” e condannato in Belgio il 4 febbraio 2021 a 20 anni di carcere per complicità in un attentato nel 2018 contro un vertice dell’opposizione iraniana in esilio vicino Parigi. Secondo Bruxelles le accusa a carico del cittadino belga sono infondate ed è convinta che Vandecasteele sia detenuto in condizioni “inumane”. 

“L’Iran non ha fornito alcuna informazione ufficiale sulle accuse contro Olivier Vandecasteele o sul suo processo”, ha dichiarato la ministra degli Esteri belga Hadja Lahbib in un comunicato che ha convocato subito l’ambasciatore iraniano per chiedere spiegazioni, “viste le informazioni che circolano sulla stampa” ribadendo che “il Belgio continua a condannare questa detenzione arbitraria e sta facendo tutto il possibile per porvi fine e migliorare le condizioni della detenzione”.

I due Paesi  – ricorda Alba – hanno firmato l’anno scorso un accordo per lo scambio di prigionieri che tuttavia è stato bloccato all’inizio di dicembre dalla Corte costituzionale in attesa di un giudizio sulla sua legalità. Nelle carceri iraniane ci sarebbero almeno una settantina di detenuti stranieri”.

Il racconto di un giovane eroe

A raccoglierlo, per La Stampa, è Francesca Paci. “ L’appuntamento è dopo cena a casa di Sanaz, che abita a pochi passi dal carcere di Rajaei Shahr, a Karaj. Ci troviamo lì, con una decina di amici, per andare insieme a protestare contro la condanna a morte di Mohammad Ghobadlou e Mohammad Boroughani, 22 e 19 anni, rinchiusi da giorni in isolamento in attesa dell’impiccagione. L’avevamo fatto anche domenica notte, stessi cappucci del piumino sui capelli senza hijab delle ragazze, stessi slogan urlati a squarciagola contro la paura, stessa determinazione a resistere più numerosi possibile fino alla preghiera dell’alba. Da tre mesi a questa parte ogni volta che esco di casa per andare a una manifestazione provo una sensazione strana, in cuor mio dico addio alle cose di ogni giorno e mi abbandono al pericolo della strada con un misto di paura, incoscienza, fierezza. Succede sempre così, mi chiudo la porta alle spalle e guardo avanti. Fuori fa un freddo cane: il cellulare segna diversi gradi sotto zero. Con una temperatura del genere bisogna indossare i vestiti giusti, termici ma sufficientemente comodi da non impacciare i movimenti in caso di fuga. Le nubi coprono le stelle, il buio è denso. A ridosso del carcere c’è già molta gente, sette, ottocento persone. Ogni volta penso che la repressione ci decimerà e invece siamo sempre tanti. Riconosco qualcuno che ho già visto, ci salutiamo complici. Incontro soprattutto studenti superiori e universitari ma anche una dottoressa, un avvocato, alcuni insegnanti, un tecnico con cui avevo lavorato al cinema e poi operai, tassisti, un cuoco. Si sentono spari. Simultanei a noi, arrivano in motocicletta i poliziotti, due a due, molti sono in borghese. Ci facciamo forza, siamo noi ragazze a prendere l’iniziativa: «Ucciderò chi ha ucciso mio fratello, ucciderò chiunque uccida mia sorella», «Morte alla Repubblica dei boia», «Odiamo la vostra religione, malediciamo la vostra religione», «Dietro ciascuno che ammazzate ci sono migliaia di noi», «Libertà per i prigionieri politici», «Il nostro obiettivo è rovesciare l’intero sistema». Gli agenti e i mercenari della repressione non reagiscono. Credo che in fondo stiano affrontando un inverno peggiore del nostro. Sono pagati per ammazzare e non hanno scelta, mentre noi siamo il popolo. La differenza è abissale: la loro patria è la Repubblica Islamica, la nostra è l’Iran, quando la prima scomparirà di loro non resterà nulla. Sono anime perse. In queste settimane mi chiedo spesso cosa raccontino del lavoro che fanno ai padri, alle madri, ai fratelli, alle sorelle, ai figli. 

Stanno alle nostre spalle, alcuni siedono in cerchio stretti stretti per contenere il freddo. Davanti c’è la prigione che prende il nome dal secondo presidente della Repubblica islamica, una parata di mattoni giallo sporco alta fino al cielo e circondata da infinite spire di filo spinato, come serpenti a sonagli che si arrampicano fino alle torrette di guardia. È qui che dal 2009 vengono portati molti prigionieri politici e in questa notte di rivoluzione sembra di sentirli gridare da dentro, lontani.

Di colpo partono gli spari e parte il gas lacrimogeno, ci allontaniamo a testa bassa, torniamo. Scappiamo di nuovo. Tutte le vie di fuga sono chiuse. Il cuore pompa come una trivella. Il vento disperde rapidamente il veleno dell’aria. Le cariche si ripetono cinque volte, colpi, bastoni, taser. Ancora. Dagli altoparlanti i poliziotti minacciano, gridano alle ragazze le oscenità che spesso in questi mesi hanno trasformato in violenza reale. Potrebbero massacrarci, oggi però, pare che stiano in guardia, che si tengano, il capo della polizia è appena cambiato e forse sono confusi. 

Abbiamo paura nonostante l’adrenalina, ma restiamo. Fronteggiamo il governo più sanguinario e brutale, chi viene arrestato è perduto. Man mano che si avvicina l’alba alcuni tornano a casa per dormire un po’ prima di andare al lavoro, ci scambiamo saluti sospesi. Io ho tempo, l’ateneo è chiuso, siedo in un angolo con altri tre, continuiamo a cantare fino all’omelia dell’alba per mettere i nostri corpi contro l’impiccagione annunciata. L’ennesima. In questi giorni il salmodio mattutino del muezzin suona a morte, ci ammazzano prima del sorgere del sole sperando in un orizzonte senza proteste. Ma sbagliano tutto. 

Vedremo la violenza aumentare nelle prossime settimane, ne sono certa. Il soprannome del neo capo della polizia Ahmad Reza Radan è “il macellaio”. Proveranno a fiaccarci ancora di più col terrore e molti di noi cederanno, ma, magari più stanchi, continueremo, perché se molliamo tutto sarà stato vano. 

Ecco, il cielo adesso è leggermente più chiaro. Sale la preghiera, sento il cuore impazzito che sembra uscirmi fuori dal petto. E’ il momento di urlare più forte, donna, vita, libertà e poi i nomi dei compagni sospesi sulla forca. Invece oggi le esecuzioni sono sospese. Il gelo penetra fin sotto i vestiti, lo senti nello stomaco. Ci incamminiamo tenendoci a braccetto sulla strada ghiacciata, torniamo da Sanaz per un tea caldo e poi ciao. Rivedo casa”.

I giovani iraniani sono così. Amano la vita, ma non temono la morte. 

Eroi del nostro tempo. 

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