Scriverlo lo ha scritto. Che ci creda davvero, beh, questo non è dato saperlo.“Ho chiesto e ricevuto rassicurazioni per forte collaborazione sui casi RegenieZaki”. Così il ministro degli Esteri Antonio Tajani in un tweet successivo all’incontro che il titolare della Farnesina ha avuto al Cairo con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.
La farsa si ripete
Rassicurazioni. Forte collaborazione. Signor ministro, ma di cosa parla? Lei sa bene, e se ha bisogno di rinfrescarsi la memoria ci sono tomi di articoli, inchieste, rapporti e, soprattutto, atti giudiziari che testimoniano il pervicace atteggiamento tenuto dalle autorità egiziane nel boicottare qualsiasi tentativo di fare piena luce, individuando mandanti ed esecutori, sul rapimento e il brutale assassinio di Giulio Regeni. A parziale scusante di Tajani c’è che le stesse parole – rassicurazioni, collaborazione – erano state utilizzate dai suoi predecessori alla Farnesina. In primis Luigi Di Maio.
D’altro canto, prima del ministro degli Esteri era stata la presidente del Consiglio ad omaggiare il presidente-carceriere d’Egitto.
“Ringrazio il Presidente al-Sisi per aver augurato buon lavoro al governo italiano – aveva scritto Giorgia Meloni su Twitter alla vigilia della sua partecipazione al summit Cop27 a Sherm el Sheikh – .Abbiamo a cuore la stabilità del Mediterraneo e del Medio Oriente e siamo determinati a rafforzare la nostra cooperazione bilaterale su questioni cruciali come la sicurezza energetica, l’ambiente, i diritti umani“. La premier, quindi, non ha dimenticato nel suo messaggio di ricordare l’importanza della salvaguardia dei diritti umani, un tema a dir poco sensibile al Cairo, dove decine di migliaia di persone sono state incarcerate dalla presa del potere del generale, mentre altre sono state torturate o costrette a fuggire. È proprio questo il punto dal quale parte la raccolta firme lanciata da Transform Italia per il boicottaggio dell’evento da parte del governo di Roma. Nel testo, firmato anche dall’avvocata della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini, si legge infatti che anche i summit precedenti “sono stati solo operazioni di greenwashing che non hanno impedito la crescita delle emissioni, in questo caso siamo di fronte all’apoteosi dell’ipocrisia, una riverniciatura di verde di un regime militare che nega le più elementari libertà democratiche fondamentali e i diritti umani. Nell’Egitto di al-Sisi la repressione è sistematica e durissima. Non si può discutere di clima con chi detiene 60mila prigionieri politici rinchiusi nelle carceri mentre il blogger Alaa Abd El-Fattah ha superato i 200 giorni di sciopero della fame. L’opinione pubblica italiana ben conosce quanto accade in Egitto, dopo l’assassinio del nostro giovane connazionale Giulio Regeni e la detenzione di Patrick Zaki. Riteniamo che l’Italia non possa partecipare alla Cop27 in Egitto dato che il governo di quel Paese ha dimostrato di non avere alcuna volontà di cooperare e collaborare affinché emerga la verità sulla morte di Giulio Regeni e venga fatta giustizia”.
Come sono andate le cose, è cronaca. Meloni ha partecipato al summit con tanto di sorrisi, strette di mano e apprezzamenti per l’operato di al-Sisi.
Una “dimenticanza” voluta
Dai lanci di agenzia sulla missione di Tajani in Egitto appare chiaro come il tema del rispetto dei diritti umani sia stato marginale nei colloqui avuti dal ministro degli Esteri italiani con i suoi interlocutori egiziani.
Di cosa si tratti lo aveva ben chiarito Amnesty International nel rapporto “Sconnessa dalla realtà: la Strategia nazionale sui diritti umani dell’Egitto nasconde la crisi dei diritti umani”, nel quale si analizza la “Strategia nazionale sui diritti umani “(Sndu), varata dal regime egiziano nel 2021.
Il rapporto di Amnesty International si basa su un’ampia documentazione del sistema di violazioni dei diritti umani commesse in Egitto da quando il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha assunto il potere, così come su informazioni raccolte a partire dal lancio della Sndu attraverso una serie di fonti, tra cui vittime, testimoni, difensori dei diritti umani e avvocati.
Ai fini della sua ricerca, Amnesty International ha anche analizzato documenti ufficiali, prove audiovisive e rapporti di organismi delle Nazioni Unite per poi trasmettere le sue conclusioni e le sue raccomandazioni, il 7 settembre, alle autorità egiziane.
Un quadro fuorviante
Dal lancio della Sndu, le autorità egiziane l’hanno ripetutamente menzionata, in occasioni pubbliche e in incontri privati con altri governi come la prova del loro impegno in favore dei diritti umani.
La strategia, della durata di cinque anni, è stata redatta dal governo senza aver consultato in alcun modo organizzazioni indipendenti per i diritti umani o settori di opinione pubblica e presenta un quadro profondamente fuorviante della situazione dei diritti umani in Egitto. Assolve le autorità da ogni responsabilità, attribuendo colpe alle minacce alla sicurezza, alle sfide di natura economica e addirittura agli stessi cittadini che “non hanno compreso” e non hanno esercitato i loro diritti.
La Sndu plaude al quadro costituzionale e giuridico, ignorando del tutto l’introduzione e l’applicazione di una serie di leggi repressive che hanno criminalizzato o gravemente limitato l’esercizio dei diritti alle libertà di espressione, associazione e protesta pacifica. Queste leggi hanno ulteriormente eroso le garanzie di un giusto processo e hanno rafforzato l’impunità per le forze di sicurezza e per l’esercito.
Il documento, inoltre, ignora la catastrofica situazione dei diritti umani a partire dal luglio 2013 con la repressione del dissenso e con migliaia di persone ancora arbitrariamente condannate o ingiustamente sotto processo. Solo negli ultimi due anni, decine di prigionieri sono morti in carcere a seguito del voluto diniego delle cure mediche e per le condizioni detentive crudeli e inumane. Dal 2013 le autorità egiziane hanno censurato centinaia di portali, fatto irruzione nelle redazioni di organi di stampa indipendenti per poi ordinarne la chiusura e arrestato decine di giornalisti per aver espresso critiche o semplicemente per aver fatto il loro lavoro. Significativi passi avanti nel campo dei diritti umani dovrebbero iniziare con la scarcerazione delle migliaia di persone in prigione solo per aver esercitato pacificamente i loro diritti umani, con la chiusura di tutte le indagini avviate per ragioni politiche nei confronti dei difensori dei diritti umani e con l’annullamento di tutti i divieti di viaggio, dei congelamenti dei conti bancari e di altre restrizioni.
Inoltre, sarebbe necessario avviare indagini sui crimini di diritto internazionale e sulle altre gravi violazioni dei diritti umani commessi dalle forze di sicurezza – tra cui l’uccisione illegale di centinaia di manifestanti, le esecuzioni extragiudiziali, le torture e le sparizioni forzate – con l’obiettivo di portare i responsabili di fronte alla giustizia.
Dopo la destituzione dell’ex presidente Mohammed Morsi dal potere nel luglio 2013, le autorità egiziane hanno intrapreso una repressione sempre più brutale nei confronti dei difensori dei diritti umani e dei diritti civili e politici più in generale. Migliaia di egiziani, tra cui centinaia di difensori dei diritti umani, giornalisti, accademici, artisti e politici, sono stati detenuti arbitrariamente, spesso con accuse penali abusive o attraverso processi iniqui.
Le forze di sicurezza egiziane li hanno sistematicamente sottoposti a maltrattamenti e torture. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno avvertito che condizioni di detenzione catastrofiche hanno messo in pericolo la vita e la salute dei detenuti. Altri attivisti pacifici sono stati fatti sparire con la forza. Quello che è successo ad alcuni di loro non è mai stato rivelato.
“Il popolo egiziano ha vissuto in passato sotto governi dispotici, ma gli attuali livelli di repressione in Egitto non hanno precedenti nella sua storia moderna”, rimarca Bahey El-din Hassan, direttore del Cairo Institute for Human Rights Studies. “Le conseguenze sono potenzialmente terribili sia per i diritti umani che per la stabilità del Paese”. Nell’agosto 2020 il signor Hassan è stato condannato a 15 anni di carcere in contumacia da un tribunale per terrorismo in relazione al suo lavoro di difesa dei diritti umani nel paese.
In un contesto così severamente repressivo, molte organizzazioni per i diritti umani sono state costrette a chiudere, ridimensionare le loro operazioni, operare dall’estero o lavorare sotto il costante rischio di arresti e molestie.
“La sopravvivenza del movimento per i diritti umani in conflitto in Egitto è in gioco”, ha detto Kevin Whelan, rappresentante di Amnesty International alle Nazioni Unite a Ginevra. “I membri della comunità internazionale hanno la responsabilità di sostenere gli sforzi per istituire un meccanismo di monitoraggio e segnalazione presso il Consiglio dei diritti umani sulla situazione in Egitto, dando il chiaro segnale che il disprezzo dell’Egitto per i diritti umani non sarà più ignorato e tollerato”.
La vera vittoria per gli oppositori del regime sarebbe stata la cancellazione dei reati previsti dalla legge sul terrorismo, il passaggio decisivo. La detenzione per i detenuti in attesa di giudizio non cambia, sia a livello processuale che formale. Inoltre, non è prevista alcuna novità sul giro di vite nei confronti dell’informazione e della censura verso giornali, siti e tv ostili al regime, sul sistema di spionaggio e di svuotamento dei diritti degli arrestati. Ed eccole le richieste presentate dal ‘cartello’ di Ong egiziane, l’altro nemico del regime assieme alla Fratellanza Musulmana: “Liberare tutti i prigionieri politici – precisa un documento inviato da Afte, l’organizzazione che legalmente sta seguendo il caso di Ahmed Samir Santawi, quasi identico a quello di Patrick Zaki -, fermare i rinnovi periodici delle detenzioni e revocare l’azione criminale dello Stato verso la società civile, oltre a sbloccare la censura nei confronti dei mezzi di informazione ostili al regime, imbavagliati in questi anni”.
In un contesto così severamente repressivo, molte organizzazioni per i diritti umani sono state costrette a chiudere, ridimensionare le loro operazioni, operare dall’estero o lavorare sotto il costante rischio di arresti e molestie.
Il governo in genere invoca l’”antiterrorismo” per giustificare questi abusi e per criminalizzare la libertà di associazione e di espressione. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno messo in guardia dall’uso da parte dell’Egitto di “circuiti terroristici” dei tribunali penali per prendere di mira i difensori dei diritti umani, mettere a tacere il dissenso e rinchiudere gli attivisti durante la pandemia Covid-19.
Una enorme prigione a cielo aperto. Dentro la quale spariscono decine di migliaia di oppositori. L’abolizione (farsa) dello Stato d’emergenza non incrina lo Stato di polizia che imprigiona l’Egitto.
Desaparecidos
Nell’Egitto di al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a migliaia. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agenc.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni). Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre 60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato. Lo Stato di polizia all’ombra delle Piramidi.
L’inferno all’ombra delle Piramidi
Le autorità egiziane tengono i detenuti minorenni insieme agli adulti, in violazione del diritto internazionale dei diritti umani. In alcuni casi, sono imprigionati in celle sovraffollate e non ricevono cibo in quantità sufficiente. Almeno due minorenni sono stati sottoposti a lunghi periodi di isolamento. Un quadro agghiacciante è quello che emerge da un recente rapporto di Amnesty International. “Le autorità egiziane hanno sottoposto minorenni a orribili violazioni dei diritti umani come la tortura, la detenzione in isolamento per lunghi periodi di tempo e la sparizione forzata per periodi anche di sette mesi, dimostrando in questo modo un disprezzo assolutamente vergognoso per i diritti dei minori”, denunciaNajia Bounaim, direttrice delle campagne sull’Africa del Nord di Amnesty International. “Risulta particolarmente oltraggioso il fatto che l’Egitto, firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, violi così clamorosamente i diritti dei minori”, sottolinea Bounaim.
Minorenni sono stati inoltre processati in modo iniquo, talvolta in corte marziale, interrogati in assenza di avvocati e tutori legali e incriminati sulla base di “confessioni” estorte con la torturadopo aver passato fino a quattro anni in detenzione preventiva. Almeno tre minorenni sono stati condannati a morte al termine di processi irregolari di massa: due condanne sono state poi commutate, la terza è sotto appello.
Sulla base del diritto internazionale, il carcere dev’essere solo l’ultima opzione per i minorenni. Sia la legge egiziana che le norme internazionali prevedono che i minorenni debbano essere processati da tribunali minorili. Tuttavia, in Egitto ragazzi dai 15 anni in su vengono processati insieme agli adulti, a volte persino in corte marziale e nei tribunali per la sicurezza dello Stato.Sotto la presidenza al-Sisi e col pretesto di combattere il terrorismo, migliaia di persone sono state arrestate arbitrariamente – centinaia delle quali per aver espresso critiche o manifestato pacificamente – ed è proseguita l’impunità per le amplissime violazioni dei diritti umani quali i maltrattamenti e le torture, le sparizioni forzate di massa, le esecuzioni extragiudiziali e l’uso eccessivo della forza. Dal 2014 sono state emesse oltre 2112 condanne a morte, spesso al termine di processi iniqui, almeno 223 delle quali poi eseguite. La legge del 2017 sulle Ong è stata il primo esempio delle norme draconiane introdotte dalle autorità egiziane per stroncare la libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica. La legge consente alle autorità di negare il riconoscimento delle Ong, di limitarne attività e finanziamenti e di indagare il loro personale per reati definiti in modo del tutto vago. Nel 2018 sono state approvate la legge sui mezzi d’informazione e quella sui crimini informatici, che hanno esteso ulteriormente i poteri di censura sulla stampa cartacea e online e sulle emittenti radio-televisive conclude Bounaim.
Ma sul rispetto dei diritti umani, il ministro Tajani non ha ricevuto “rassicurazioni” da al-Sisi. Anche perché non gliele ha chieste.
Argomenti: Giulio Regeni