Crisi economica, diritti calpestati, fuga dei giovani. Tunisia, così muore la “rivoluzione dei gelsomini”.
La denuncia della società civile.
Oltre 20 associazioni della società civile tunisina capitanate dal Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes) denunciano in un comunicato congiunto gli arresti arbitrari condotti dalle autorità tunisine nei confronti dei migranti subsahariani in Tunisia e chiedono al governo di “aggiornare e sviluppare un quadro giuridico in materia di immigrazione e asilo per allinearlo agli standard internazionali, nonché di dare priorità all’avvio di una strategia nazionale sull’immigrazione che garantisca l’integrazione e la protezione di diritti”.
“Negli ultimi giorni più di 300 migranti sono stati arrestati, a seguito di un controllo di identità o per la loro presenza in tribunale a sostegno dei loro parenti” – scrive il Forum – “allo stesso tempo, lo Stato tunisino sta facendo orecchie da mercante all’aumento di discorsi odiosi e razzisti sui social network e in alcuni media, che prendono di mira specificamente i migranti dall’Africa sub-sahariana; questo discorso odioso e razzista è persino portato da alcuni partiti politici, che svolgono azioni di propaganda sul campo agevolate dalle autorità regionali”.
Secondo l’ultimo studio dell’Istituto nazionale di statistica, risalente al 2021, il numero dei migranti subsahariani in Tunisia sarebbe di 21.466, compresi gli studenti. Queste cifre smentiscono il discorso razzista discriminatorio basato sull’approccio di amplificazione e sicurezza al trattamento delle questioni migratorie in Tunisia”.
Giro di vite.
Ne dà conto in un documentato report il Post: “Sabato il governo del presidente della Tunisia Kais Saied ha ordinato l’espulsione dal paese della più importante rappresentante sindacale dei paesi dell’Unione Europea, l’irlandese Esther Lynch, segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati (CES). Lynch è stata definita «persona non grata» dalle autorità tunisine per aver partecipato a una delle manifestazioni di protesta organizzate nel corso della giornata in otto città del paese dal maggior sindacato locale.
Le manifestazioni sono arrivate alla fine di una settimana in cui Saied ha dato dimostrazione del sempre maggiore autoritarismo con cui sta governando il paese: martedì erano stati arrestati almeno dieci oppositori politici del presidente, fra cui due politici di alto livello, due giudici, un giornalista di una radio indipendente e uno dei leader del sindacato.
In un messaggio video sui social Saied ha definito i dieci arrestati «terroristi» e li ha accusati di voler sovvertire l’ordine dello stato e di cospirare per manipolare i prezzi del cibo e alimentare la tensione sociale. Le accuse, che mirano anche a scaricare le colpe del governo nella pesante crisi economica, non sono state presentate con alcuna prova ma in caso di condanna possono portare a pene detentive molto dure, e in alcuni casi anche alla pena di morte.
Per protestare contro gli arresti, il maggior sindacato del paese, che ha oltre un milione di iscritti per una popolazione di 12 milioni di abitanti, ha deciso una nuova giornata di manifestazioni, come quelle già organizzate in più occasioni negli ultimi mesi. Decine di migliaia di membri dell’Unione generale tunisina del lavoro (UGTT) hanno protestato contro le decisioni di Saied e per il pieno ritorno delle libertà civili a Jendouba, Tozeur, Monastir, Bizerte, Kasserine, Kairouan, Nabeul e Sfax.
Esther Lynch ha partecipato alla manifestazione di Sfax, prendendo la parola per chiedere l’immediato rilascio dell’esponente sindacale tunisino e degli altri oppositori politici arrestati, e per «portare un messaggio di solidarietà da 45 milioni di iscritti ai sindacati europei». Il presidente Saied nella serata di sabato ha ordinato la sua espulsione, definendo l’intervento una «palese interferenza negli affari tunisini». Ha respinto allo stesso modo, considerandole interferenze in affari interni, le denunce contro gli arresti per motivi politici da parte di varie Ong che si occupano di diritti umani, fra cui Amnesty International.
La svolta autoritaria di Saied è avvenuta gradualmente negli ultimi tre anni. Nel luglio del 2021 il presidente aveva sospeso i lavori del parlamento, per poi scioglierlo nel marzo del 2022. Successivamente ha governato per decreto, fino all’approvazione di una nuova Costituzione, che gli garantisce ampi poteri e che ha istituito una nuova legge elettorale che non prevede la partecipazione alle elezioni dei partiti, , ma solo di candidati indipendenti. L’affluenza alle prime elezioni che si sono svolte con questa legge, lo scorso dicembre, è stata fra le più basse al mondo,
e oggi la Tunisia ha un parlamento che non è rappresentativo e ha poteri molto limitati.
Eletto presidente nel 2019, per i suoi primi anni di governo Saied aveva il consenso della maggioranza dei tunisini a cui però è seguita da una perdita di popolarità ormai piuttosto diffusa e palese”.
La Costituzione regressiva.
Così Amnesty International: “Dopo l’approvazione del 25 luglio, tramite un referendum cui ha preso parte solo il 30,5 per cento degli aventi diritto, la nuova Costituzione della Tunisia è entrata in vigore il 27 agosto andando a sostituire quella del gennaio 2014.
“È molto preoccupante che la Tunisia abbia adottato una nuova Costituzione che compromette i diritti umani e mette in pericolo i progressi fatti dalla rivoluzione del 2011. Il nuovo testo costituzionale smantella molte garanzie sull’indipendenza del potere giudiziario, cessa di tutelare i civili dai processi in corte marziale e garantisce alle autorità il potere di limitare l’esercizio dei diritti umani o di rinnegare gli obblighi internazionali in nome della religione”, rimarca Heba Morayef, direttrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.
“A differenza di quella del 2014, la nuova Costituzione è stata redatta a porte chiuse, con una procedura completamente sotto il controllo del presidente Kais Saied. Alle tunisine e ai tunisini non è stato spiegato come sono andate le cose né è stato chiarito perché la precedente Costituzione doveva essere sostituita”, aggiunge Morayef.
“La nuova Costituzione è stata sottoposta a referendum esattamente un anno dopo il giro di vite attuato dal presidente Saied. Durante l’ultimo anno, le autorità hanno preso di mira voci critiche e oppositori politici e hanno compromesso le protezioni sui diritti umani con una velocità allarmante. La nuova Costituzione non dovrà essere il pretesto per arretrare rispetto agli obblighi internazionali sui diritti umani della Tunisia”, conclude Morayef. Sull’orlo del baratro.
Così lo resoconta agenzia Nova: “L’ultimo declassamento dell’agenzia Moody’s del rating sovrano della Tunisia da “Caa1” a “Caa2”, con outlook negativo, dimostra che “il Paese è ora giudicato come ad altissimo rischio”. Lo ha detto l’esperto economista Ezzedine Saidane all’emittente radiofonica “Shems fm”, spiegando che la classificazione di Moody’s comprende 20 posizioni e la Tunisia occupa attualmente il 18esimo posto: scendere di un altro livello significherebbe bancarotta e, quindi, il ricorso al Club di Parigi per rinegoziare il debito. Moody’s ha declassato il rating del credito della Tunisia mentre il Paese nordafricano fatica a ottenere i fondi necessari per finanziare l’azione del governo, tra le turbolenze economiche causate dalla pandemia di coronavirus e le ricadute della crisi ucraina. “Un nuovo programma del Fondo monetario internazionale deve ancora essere assicurato (…), aggravando una posizione finanziaria già difficile e aumentando le pressioni sulle riserve valutarie della Tunisia”, riferisce l’agenzia. L’economia tunisina è stata gravemente colpita dalla guerra in Ucraina, che ha ampliato il disavanzo delle partite correnti, dal rallentamento indotto dal coronavirus, dall’elevato debito e dal deterioramento delle finanze. Per uscire dalla peggiore crisi economica e finanziaria post-rivoluzione del 2011, il Paese nordafricano sta cercando di ottenere un prestito di 4 miliardi di dollari. A ottobre, la Tunisia aveva raggiunto un accordo preliminare per un nuovo Strumento di finanziamento esteso di 48 mesi del valore di circa 1,9 miliardi di dollari per sostenere il programma di riforma economica del governo. Tuttavia, a causa dei ritardi nella promulgazione della legge finanziaria e delle poche garanzie date, il Paese deve ancora ottenere finanziamenti dall’istituzione finanziaria con sede a Washington. “Ulteriori ritardi prolungati nell’assicurare un nuovo programma dell’Fmi eroderebbero le riserve di valuta estera attraverso prelievi per i pagamenti del servizio del debito, esacerbando così i rischi della bilancia dei pagamenti e la probabilità di una ristrutturazione del debito che comporterebbe perdite per i creditori del settore privato”, ha affermato Moody’s.
Archiviata l’esperienza della rivoluzione dei gelsomini, la Tunisia è oggi governata dal presidente della Repubblica, Kaies Saied, ma rischia seriamente il tracollo economico. Un dossier che riguarda a ben vedere anche l’Italia per almeno due motivi: i flussi migratori e l’approvvigionamento energetico. Gli arrivi dei migranti potrebbero moltiplicarsi drammaticamente con l’aggravarsi della situazione socio-economica, raggiungendo i picchi del 2014 (170 mila sbarchi totali via mare) e del 2016 (180 mila arrivi via mare). Non solo. Il gasdotto Transmed, conosciuto anche come gasdotto Enrico Mattei, porta in Italia il gas algerino passando proprio per la Tunisia. E l’Algeria è oggi il primo fornitore di gas dell’Italia. Senza contare che il progetto d’interconnessione elettrica tra l’Italia e la Tunisia – per il quale Bruxelles ha recentemente approvato un finanziamento di 300 milioni di euro – potrebbe fare da volano per gli investimenti tricolore nelle rinnovabili in Nord Africa, trasformando l’Italia in un “hub energetico” per l’intera Europa. A questo va aggiunto che l’Italia è divenuta nel 2022 il primo il partner commerciale della Tunisia, sorpassando per la prima volta la Francia. Non solo. La Tunisia è anche una importante piattaforma manifatturiera per l’industria italiana: nel Paese operano quasi 1.000 società a capitale italiano e molte altre potrebbero aggiungersi per effetto della disaffezione degli ultimi anni rispetto a produzioni in Asia”.
Non di soli gelsomini
Alla luce della crisi politica e istituzionale che scuote la Tunisia, acquista una valenza “profetica” quanto ebbe a dire a Globalist . Houcine Abassi, già Segretario generale dell’Ugtt (Union générale tunisienne du travail) Premio Nobel per la Pace nel 2015 come membro del Quartetto per il dialogo: Quello compiuto in questi dieci anni non è stato un percorso lineare, la transizione democratica è ancora in atto e non potrà dirsi conclusa se non affronta la grande questione che resta irrisolta ed anzi tende ad aggravarsi”. E quella “grande questione si chiama malessere sociale. L’ex capo del sindacato tunisino ne è assolutamente convinto: “La libertà – sostiene – non può dirsi realizzata se non hai un lavoro, se i giovani non possono costruire il loro futuro, avere una casa, diventare autonomi. In Tunisia, la rivoluzione del 2011 ha abbattuto un regime corrotto, la transizione ha consolidato le istituzioni, abbiamo una Costituzione tra le più avanzate in questa parte di mondo, ma non basta, non può bastare. Perché sul piano sociale il bilancio è negativo: il tasso di disoccupazione è aumentato del 15% a livello nazionale e raggiunto il 25% nelle regioni interne. Quello tunisino è un popolo giovane, e se ai giovani non dai una prospettiva concreta di realizzazione, il futuro è a rischio”.
Nell’ultimo anno il Pil è cresciuto meno dell’1 per cento, la disoccupazione è schizzata invece al 15% (anche se secondo chi protesta la percentuale è almeno il doppio). I disoccupati sono oltre 600 mila, di cui più di un terzo in possesso di diploma di istruzione superiore .
Le conquiste democratiche, avviate dopo la fuga dell’ex presidente Zine El Abidine Ben Ali, il 14 gennaio 2011, non sono state accompagnate da una crescita economica in cui tutti speravano. Secondo l’ex ministro dell’Economia, Houcine Dimassi, “tutti i numeri indicano un netto peggioramento della situazione economica rispetto al 2010-2011″, quando Tunisi registrava un aumento del Pil tra il 4 e il 5 per cento. Una crisi economica drammatica, che non risparmia i beni primari: tutto è caro, la carne rossa costa 25 dinari al chilo, in tavola arriva se va bene una volta al mese. Senza contare che bisogna pagare l’affitto, le bollette, l’assistenza sanitaria, che non è più gratuita per nessuno, neanche per chi ne avrebbe diritto. Un dramma per un Paese, , che ha la disoccupazione al 30% e ben poche speranze di mobilità sociale.
La Tunisia in crisi racconta una verità universale: senza giustizia sociale pace e stabilità sono una illusione. Una tragica illusione.