Brutte tensioni in un paese nel quale le ferite della guerra civile non si sono mai del tutto rimarginate e nel quale la convivenza è fragile.
In Bosnia-Erzegovina hanno suscitato dure reazioni in seno alla componente serba e croata le dichiarazioni del capo della Comunità islamica Husein Kavazovic, secondo il quale bisogna essere pronti, in caso di necessità, a difendere il Paese anche con le armi.
«Dobbiamo dimostrare di essere pronti a difendere in ogni modo le istituzioni della Bosnia-Erzegovina. Se dovessero cadere, come avvenuto nel 1992, dobbiamo essere pronti a difendere questo Paese anche con le armi», ha detto Kavazovic. Parole interpretate come una aperta istigazione alla guerra.
Milorad Dodik, leader serbo-bosniaco e presidente della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina, stigmatizzando le affermazioni `bellicose´ di Kavazovic, ha detto che il capo di una comunità religiosa non dovrebbe occuparsi di politica. «Husein Kavazovic evoca lo stesso scenario di trenta anni fa», ha affermato Dodik, con riferimento allo scoppio del conflitto armato in Bosnia nel 1992. E ha criticato il silenzio sulle parole di Kavazovic nella Federazione Bh, l’entità a maggioranza musulmana del Paese.
Analoga condanna è giunta da Zeljka Cvijanovic, membro serbo e presidente di turno della presidenza tripartita bosniaca. Inaccettabile, a suo dire, che il rappresentante di una comunità religiosa utilizzi tale linguaggio. Anche l’Assemblea nazionale croata di Bosnia-Erzegovina ha condannato le parole di Kavazovic, mentre il ministro degli esteri bosniaco Elmedin Konakovic (della comunità bosgnacca musulmana) ha detto di non trovare nulla di guerrafondaio nelle parole di Kavazovic.
La rappresentanza della Ue a Sarajevo, in un comunicato, ha fatto sapere che l’Unione europea si aspetta che tutti i leader politici, sociali e religiosi in Bosnia-Erzegovina agiscano in modo da promuovere la creazione di un ambiente favorevole alla riconciliazione.