Tunisia, l'appello disperato dei migranti: "Aiutateci, ci vogliono uccidere"
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Tunisia, l'appello disperato dei migranti: "Aiutateci, ci vogliono uccidere"

Da alcuni giorni è in corso un sit-in, organizzato da migranti originari per lo più dai Paesi dell'Africa subsahariana che chiedono di essere evacuat

Tunisia, l'appello disperato dei migranti: "Aiutateci, ci vogliono uccidere"
Migranti in Tunisia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

3 Aprile 2023 - 19.09


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Un grido disperato dalla Tunisia: aiutateci prima che inizino ad ucciderci. A darne conto è un documentato report di Annalisa Girardi per fanpage.it: “La Tunisia è diventata la nuova Libia. Tunisi non è più un posto sicuro per i rifugiati. Sono queste le frasi che in tantissimi scrivono su Twitter, condividendo diversi video su quanto sta accadendo nella capitale tunisina, davanti alla sede dell’agenzia Onu per i rifugiati. Da alcuni giorni è in corso un sit-in, organizzato da migranti originari per lo più dai Paesi dell’Africa subsahariana che chiedono di essere evacuati. Denunciano un clima di odio e razzismo crescente, che spesso si trasforma in veri e propri rastrellamenti per cacciare i migranti dalle loro case.

Con la crisi economica che si fa sempre più profonda, le tensioni sociali sono peggiorante. Sono stati denunciate diverse aggressioni per le strade ai danni dei migranti, tra insulti e veri e propri attacchi fisici. Il presidente tunisino Kais Saied ha addossato la colpa della crisi ai richiedenti asilo, affermando che nel Paese sia in corso un tentativo di “sostituzione etnica”. Ma per il governo italiano, che teme un aumento della pressione migratoria e si sta occupando dell’assistenza finanziaria del Paese, non sarebbero in corso violazioni dei diritti umani in Tunisia, come invece denunciano diverse organizzazioni.

La pagina “Refugees in Tunisia” sta diffondendo in queste ore diversi video di quanto sta accadendo, specialmente delle proteste che continuano davanti alla sede dell’Unhcr. “Non siamo al sicuro”, “Dobbiamo essere evacuati”, dicono i migranti.

“Non c’è futuro qui per noi o per i nostri figli. Abbiamo solo bisogno di essere evacuati”, racconta un ragazzo. “Lanciamo un appello all’Unione europea e all’Unione africana, venite in nostro aiuto prima che comincino a ucciderci”, ha aggiunto, chiedendo che vengano liberati coloro che sono stati imprigionati per il solo fatto di essere migranti.

Diverse persone da settimane rimangono accampate di fronte alle istituzioni internazionali, dove si sentono più al sicuro dagli attacchi razzisti che la popolazione dalle regioni subsahariane sta subendo. L’Agenzia Onu per i rifugiati, da parte sua, ha condannato le violenze, chiedendo alle autorità tunisine di proteggere queste persone e perseguire i responsabili. Ma nulla sembra essere cambiato e il clima nel Paese è sempre più teso.

Nelle ultime ore molti migranti che stanno protestando a Tunisi hanno anche denunciato come le forze di sicurezza tunisine siano intervenute per disperdere i manifestanti, cercando di arrestare arbitrariamente diverse persone”.

Così stanno le cose nella Tunisia che ha seppellito le speranze della “rivoluzione dei gelsomini”.

Giallo presidenziale

Il presidente tunisino Kais Saied non compare in pubblico dal 23 marzo scorso, fotografato in occasione dell’uscita da una moschea per la rituale preghiera serale del Ramadan.

La sua assenza sta alimentando sui social e sui media voci preoccupate sul suo stato di salute, in particolare per via di un suo ricovero nei giorni scorsi all’ospedale militare della capitale. E anche l’opposizione ne ha chiesto conto. Finora, nessuna risposta ufficiale è arrivata dalle autorità per chiarire la situazione. 
Ieri, il ministro della Sanità, Ali Mrabet, non ha risposto alla domanda diretta postagli da un giornalista della Radio Mosaique Fm. Il presidente del Fronte di Salute Nazionale, principale coalizione dell’opposizione, Ahmed Nejib Chebbi, ha chiesto oggi al governo, in occasione di una conferenza stampa, di fornire chiarimenti in ordine allo stato di salute del presidente. “Siamo a conoscenza, dal primo giorno, della malattia del Capo dello Stato ma abbiamo preferito aspettare perché la nostra lotta contro di lui è politica, ma oggi quando alcuni media hanno iniziato ad affrontare l’argomento, abbiamo deciso di parlarne”, ha detto Chebbi, ripreso da Mosaique 

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La piaga della siccità

Le autorità tunisine hanno annunciato restrizioni nella distribuzione e nell’uso di acqua potabile per preservare le scarse riserve delle sue dighe.

“In considerazione della frequenza degli anni di siccità, che ha avuto un impatto negativo sulle riserve delle dighe al punto da raggiungere un livello scarsità senza precedenti, il ministero dell’Agricoltura, delle risorse idriche ha deciso di vietare l’uso di acqua potabile per l’irrigazione agricola e gli spazi verdi, per la pulizia di strade e spazi pubblici fino al 30 di settembre, si legge in una nota nella quale si precisa che queste misure saranno tuttavia “provvisorie”.

Con la scarsità di precipitazioni, le trenta dighe del Paese, utilizzate per l’irrigazione ma anche per l’approvvigionamento di acqua potabile, mostrano livelli di riempimento allarmanti. Nessuna raggiunge un terzo del livello massimo, secondo i dati ufficiali, in particolare il tasso di riempimento delle dighe è passato dall’80% del 31 marzo 2019 al 31% del 31 marzo 2023. Come conseguenza per i cittadini l’interruzione nell’erogazione dell’acqua potabile nelle case avverrà dalle 21 fino alle 4 o le 5 del mattino, ha annunciato il direttore generale della Società nazionale per lo sfruttamento e la distribuzione dell’acqua (Sonede), Mosbah Helali. 
La Tunisia sta vivendo il suo quinto anno consecutivo di siccità che sta colpendo in modo ancora più duro del solito le regioni semiaride come Kasserine (centro-ovest) e Gabes (sud), ma anche il nord-ovest con il suo clima più temperato, considerato il granaio del Paese. A dire il vero da una settimana la Sonede ha iniziato a effettuare, senza preavviso, tagli all’acqua a Tunisi e in altre grandi città come Sfax e Hammamet. “Questa preoccupante situazione avrà conseguenze sull’agricoltura, la principale risorsa economica del Paese, che rappresenta circa il 10% del Pil, ha detto il portavoce del sindacato tunisino dell’Agricoltura (Utap), Anis Karbach, 

 Nella stagione 2022/2023, il raccolto di grano in Tunisia dovrebbe raggiungere circa 2,5 milioni di quintali, contro i 7,4 milioni di quintali, registrati nella passata stagione. A ritornare sulla drammatica emergenza è il membro del Comitato esecutivo dell’Unione tunisina dell’agricoltura e della pesca (Utap), responsabile per le colture a pieno campo, Mohamed Rjaibia, spiegando in un comunicato alla Tap, che la revisione al ribasso delle stime preliminari del raccolto (3,4 milioni di quintali) arriva dopo l’aumento delle temperature registrato a fine marzo.

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I siti produttivi di Tunisi, Beja, Jendouba e l’area irrigata di Kairouan sono stati interessati dalla scarsità di precipitazioni e dell’aumento delle temperature, provocando un calo della produzione che dovrebbe essere compensato aumentando le quantità importate per soddisfare la domanda locale, ha detto Rjaibia. 
La Tunisia ha bisogno di due milioni di semi per la stagione 2023/2024, quantità che verranno fornite dal raccolto in corso. 


Il sindacalista ha chiesto alle autorità di individuare soluzioni efficienti a sostegno degli agricoltori nella lotta contro i problemi associati alla siccità e alla scarsità d’acqua e raccomandato in questo senso di promuovere una politica di adattamento ai cambiamenti climatici, soprattutto perché le colture principali sono alimentate dalle piogge. In particolare, secondo Rjaibia, la persistenza del calo del raccolto di grano che minaccia la sicurezza alimentare richiede soluzioni radicali. 

Una intervista da postare al ministro Tajani

E’ quella dell’agenzia Dire: “I Fratelli musulmani in Tunisia, cioè il partito noto come Ennahda, sono un movimento moderato e conservatore, con una lunga storia di impegno sociale e inclusione politica dei cittadini e un ruolo di primo piano sia nella rivoluzione del movimento democratico del 2011 sia in tempi più recenti: il governo italiano dovrebbe dialogare con loro piuttosto che ‘bocciarli’. Non li confonda coi gruppi radicali e violenti con cui non hanno mai avuto a che fare, anche perché, a livello di arco politico, paradossalmente sono molto vicini a Fratelli d’Italia o Forza Italia“. Mattia Giampaolo è ricercatore in Relazioni internazionali all’Università La Sapienza di Roma e con l’agenzia Dire commenta le recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che in una recente intervista ha fatto appello a “non commettere l’errore di lasciare la Tunisia ai Fratelli musulmani“.
Tajani, col governo Meloni, sta facendo della Tunisia uno dei principali punti dell’agenda promuovendo un maxi prestito a Tunisi da parte del Fondo monetario internazionale (Fmi). Una strategia “di lungo periodo” indicata dal capo della Farnesina come “un primo passo necessario” a fermare i numerosi sbarchi di migranti che da quel Paese tentano, a costo della vita, di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo. Ma “le partenze non sono iniziate oggi – avverte Giampaolo – perché da almeno dieci anni la Tunisia è preda di una crisi economica terribile: la stessa rivoluzione del 2011 fu motivata da disoccupazione e mancanza di prospettive per i giovani“. Una situazione che con l’impatto della pandemia di Covid-19 prima, e la guerra in Ucraina poi, non è migliorata: la malagestione della risposta sanitaria al virus, il crollo del turismo e poi lo stop alle importazioni di cereali dall’Ucraina hanno inasprito il carovita. La Banca centrale a febbraio ha previsto che quest’anno l’inflazione raggiungerà l’11%.


Ma se prima il presidente Kais Saied era contrario ai prestiti di Fmi o Banca mondiale, che definiva “un’ingerenza”, ora “li ha chiesti, perché ne ha bisogno per ridare solidità al blocco economico che lo sostiene” dice Giampaolo, che continua: “Ben venga la stabilità, sia chiaro, a patto che però non vada contro la democrazia e l’equità sociale“. Il monito è all’Italia: “è il primo partner commerciale della Tunisia, con tante aziende impegnate in varie settori. Gli investimenti però devono puntare sullo sviluppo, perché troppi tunisini non hanno lavoro e chi lo ha, non guadagna abbastanza per vivere“.

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La tesi dunque è che “Se vogliamo fermare i migranti, si deve invertire rotta. Politiche e trattati commerciali degli ultimi anni non hanno favorito la popolazione e hanno avuto un approccio emergenziale. Serve una strategia di lungo periodo“. Che deve passare anche attraverso una reale consapevolezza degli equilibri politici: “Ennahda – riferisce il ricercatore – non c’entra nulla con Isis o al-Qaeda. Non cediamo all’islamofobia. Si tratta di un partito conservatore di destra che come Fdi o Fi, è restio a certe aperture come quella ai diritti Lgbt. Tuttavia sin dagli anni Ottanta promuove una visione politica moderata dell’Islam che, come in Egitto, ha raccolto consensi grazie a una struttura forte e organizzata che ha permesso di portare servizi nelle zone più remote non raggiunte dallo Stato. Per questo in entrambi i Paesi ha sempre ottenuto ottimi risultati elettorali. Ora, in Tunisia attraversa un calo del consenso, tuttavia resta l’unica alternativa d’opposizione concreta alle politiche di austerità e neoliberiste“.


Lo studioso ricorda che una parte dei tunisini accusa l’attuale presidente di autoritarismo, dopo che dal luglio 2021 ha sciolto governo e parlamento e riformato la Costituzione del 2014, frutto degli sforzi della società civile tunisina per affrancarsi da anni di corruzione e nepotismo promossi dal presidente Ben Ali: “Ennahda accusò subito Saied di golpe e fu in testa al movimento contro il colpo di Stato, mentre altri partiti di sinistra rimanevano in silenzio. Il governo italiano dovrebbe dialogare e includere di più Ennahda come gli altri partiti islamisti moderati, se vuole davvero stabilizzare il Nordafrica, anche perché il radicalismo degli estremisti islamici – conclude Giampaolo – non nasce da partiti come questo bensì da povertà e marginalità sociale“.

Ma di tutto questo a Roma non c’è percezione. Si va avanti a forza di tranquillizzanti esternazioni e di evanescenti primogeniture di leadership mediterranee. L’ultima uscita è dell’ineffabile Tajani.  Sulla Tunisia “credo che ci stiamo orientando nella giusta direzione. Mi sembra che ci sia un atteggiamento più disponibile da parte di Stati Uniti, Francia e dopo la visita di Gentiloni a Tunisi anche da parte Ue”. Lo ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani in conferenza stampa a margine della ministeriale sui Balcani occidentali alla Farnesina, parlando dei finanziamenti europei e dell’Fmi da erogare alla Tunisia. L’Italia, nel frattempo, fornirà 100 milioni, di cui 50 per le pmi tunisine, ha reso noto.


La proposta italiana di un primo finanziamento e di legare la seconda tranche alle riforme “può essere un modo per dimostrare la buona volontà dei paesi amici della Tunisia e dell’Fmi e contemporaneamente chiedere le riforme”, ha sottolineato Tajani, ricordando che il governo italiano è in “costante contatto con il governo tunisino”. 

E i risultati si vedono, viene voglia di chiosare. 

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