Migranti e patti criminali: Haftar, generale "push factor" e l'autocrate razzista di Tunisi Saied
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Migranti e patti criminali: Haftar, generale "push factor" e l'autocrate razzista di Tunisi Saied

Che volete: noi di Globalist siamo cocciuti. Soprattutto quando si tratta della vita di migliaia di esseri umani. Dalla parte dei più indifesi tra gli indifesi: i migranti. Contro i “patti criminali” stretti con i loro aguzzini

Migranti e patti criminali:  Haftar, generale "push factor" e l'autocrate razzista di Tunisi Saied
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

7 Maggio 2023 - 12.24


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Non molliamo la presa. Che volete: noi di Globalist siamo cocciuti. Soprattutto quando si tratta della vita di migliaia di esseri umani. Dalla parte dei più indifesi tra gli indifesi: i migranti. Contro i “patti criminali” stretti con i loro aguzzini. Vale soprattutto, ma non solo, per la Libia.

Il push factor della Cirenaica

Cocciuti, dicevamo. E allora torniamo sull’incontro a Palazzo Chigi tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e l’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar. Ci torniamo, stavolta, con un’analisi puntuta e documentata de il Post:“Giovedì la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha incontrato a Roma il maresciallo libico Khalifa Haftar, che ormai da anni grazie al controllo di milizie armate governa un’ampia regione nell’est della Libia, la cosiddetta Cirenaica. Secondo le informazioni raccolte dai quotidiani italiani, Meloni e Haftar hanno parlato soprattutto di immigrazione: negli ultimi mesi gli arrivi di migranti dalla Cirenaica sono molto aumentati e sembra che il governo italiano voglia cercare di ridurne i flussi coinvolgendo proprio Haftar, che però si trova in una posizione molto delicata, ed è accusato a sua volta di essere in combutta con i trafficanti di esseri umani.

Il ministro dell’Interno italiano non diffonde stime specifiche sui paesi di partenza delle imbarcazioni di migranti che cercano di arrivare in Italia: sono dati che comunque vengono raccolti e che circolano fra i funzionari che si occupano di immigrazione. L’Agenzia Nova li ha ottenuti e pubblicati: dall’inizio dell’anno dalla Libia sono arrivati via mare in Italia 16.637 migranti. Circa 10mila sono partiti dalla Cirenaica. Nel 2022, secondo una stima dell’Unhcr ottenuta dal Foglio, i migranti partiti dalla Cirenaica verso l’Italia furono circa 17.500, in aumento del 25 per cento rispetto al 2021.

La Cirenaica prende il nome da una città che non esiste più, l’ex colonia greca di Cirene, nell’est della Libia. Da sempre questa regione è al centro di intensi traffici per via della sua vicinanza con la Grecia e Cipro ma anche con l’Egitto e il resto del Nord Africa.

Oggi in Cirenaica arrivano soprattutto migranti dall’Egitto, con cui condivide un lungo confine di terra, ma anche dal Sudan, dato che per un sudanese non è complicato ottenere un visto per entrare in Egitto. Le principali città della Cirenaica sono anche i porti da cui partono le imbarcazioni di migranti: Bengasi – che ha un aeroporto internazionale collegato soprattutto con l’Egitto e la Turchia – Tobruk, Bardia e Agedabia.

Nella Cirenaica si trova anche Kufrah, una città nel sud della Libia da cui arrivano migranti da tutto il cosiddetto Corno d’Africa, quindi da Etiopia, Eritrea e Somalia, che però spesso proseguono verso l’ovest della Libia e si imbarcano per l’Italia nella regione di Tripoli.

Luca Marelli della ong Sea-Watch, che soccorre i migranti in mare e gestisce anche un aereo che monitora gli arrivi via mare dalla Libia e dalla Tunisia, spiega che negli ultimi mesi i porti più coinvolti della Cirenaica sono stati Tobruk e Bengasi. «Abbiamo fotografato più volte barchini in vetroresina possono portare fino a 30 persone, oppure ex pescherecci», su cui invece spesso salgono decine di persone.

Come spesso accade in Libia, il traffico di esseri  umani viene gestito dalle milizie armate che controllano di fatto il paese dall’inizio della guerra civile, 12 anni fa. È uno dei settori più redditizi, insieme al contrabbando, e permette alle milizie di sostenersi economicamente e aumentare la presa sul territorio. Succede anche in Cirenaica.  «Sappiamo da fonti sul campo che ci sono libici legati ad Haftar che si sono attivamente messi a giocare una partita nei flussi dei migranti che provengono dall’est, dunque dal confine egiziano», ha spiegato ad Agenzia Nova Claudia Gazzini, analista che si occupa di Africa per il think tank International Crisis Group.

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Qualche mese fa il Foglio aveva scritto che a «regolare i flussi dei migranti in Cirenaica» è una milizia che fa capo al maresciallo Khalifa Haftar chiamata “Uomini-rana”, nota soprattutto per avere combattuto lo Stato Islamico a Sirte, in Libia. Più di recente sempre il Foglio ha scritto che il traffico di esseri umani in Cirenaica è gestito in parte da Saddam Haftar, figlio di Khalifa Haftar, capo militare di una milizia chiamata Tariq Ben Zeyad (Tbz).

Cinque mesi fa Amnesty International ha pubblicato un lungo e dettagliato rapporto sui metodi violenti con cui agiscono Saddam Haftar e la Tbz. Secondo Amnesty dal 2017 al 2022 la Tbz ha commesso «crimini di guerra e altri crimini di diritto internazionale contro migliaia di presunti o reali critici e oppositori delle Forze armate arabe libiche», cioè l’esercito che fa capo a Khalifa Haftar, suo padre.

Il legame fra Khalifa Haftar e suo figlio Saddam però non è chiarissimo. «Buona parte delle attività più oscure di Saddam come il traffico di esseri umani», ha spiegato l’analista Jalel Harchaoui al Foglio, «non sono controllate da suo padre. Se l’Italia crede che dopo avere raggiunto un’intesa a Roma Haftar sia in grado di imporla a tutti una volta tornato a Bengasi, è fuori strada».

Si replica in Tunisia

Dal generale (e criminale di guerra e contro l’umanità) libico all’autocrate tunisino. Ovvero: l’Italia alla ricerca di “gendarmi” del Mediterraneo. 

Dichiarazione congiunta delle organizzazioni della società civile di ricerca e soccorso in mare e delle reti di solidarietà verso le persone migranti: Alla luce dell’attuale trasformazione autoritaria dello Stato tunisino e dell’estrema violenza e persecuzione della popolazione nera, delle persone in movimento, degli oppositori politici e degli attori della società civile, noi, le organizzazioni firmatarie, rilasciamo questa dichiarazione per ricordare che la Tunisia non è né un paese di origine sicuro né un paese terzo sicuro e pertanto non può essere considerato un luogo sicuro di sbarco (Place of Safety, Pos) per le persone soccorse in mare. Esortiamo le autorità dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri a revocare i loro accordi con le autorità tunisine, volti al controllo delle migrazioni, ed esprimiamo la nostra solidarietà alle persone coinvolte.

Attacchi razzisti contro le persone di colore e repressione della società civile tunisina

Negli ultimi mesi si è intensificata2 la repressione contro gli oppositori politici, la società civile e le minoranze in Tunisia. Diverse organizzazioni tunisine e internazionali per la tutela dei diritti umani hanno espresso preoccupazione per “l’indebolimento dell’indipendenza della magistratura, gli arresti di critici e oppositori politici, i processi militari contro i civili, la continua repressione della libertà di espressione e le minacce contro la società civile”.

Parallelamente, catalizzato dal discorso razzista e discriminatorio contro i migranti provenienti dall’Africa subsahariana pronunciato dal presidente tunisino Kais Saied il 21 febbraio, il razzismo contro le persone nere, già esistente in Tunisia, si è intensificato portando a un peggioramento della situazione soprattutto per coloro che provengono dai Paesi dell’Africa centrale e occidentale. Un gran numero di persone della diaspora africana residenti a Sfax, Sousse e nella capitale Tunisi ha subito atti di violenza, trovandosi senza alloggio, senza cibo e privati del diritto alla salute e al trasporto pubblico. Gli africani neri non subiscono solo i pogrom da parte di gruppi di persone armate, ma anche forme di violenza istituzionale. Vengono schedati per motivi razziali, arrestati e detenuti arbitrariamente dalle forze di sicurezza. Alcuni sono stati oggetto di sparizioni forzate. Per quasi un mese, circa 250 persone rimaste senza casa, tra cui alcuni bambini, hanno organizzato un sit-in davanti all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e all’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), chiedendo la loro immediata evacuazione in quanto in pericolo di vita7. L’11 Aprile 2023, la protesta è stata sgomberata violentemente dalle forze di sicurezza, che hanno attaccato la folla con gas lacrimogeni per disperdere le persone, causando gravi lesioni. Circa 80 persone sono state arrestate. Tra questi, alcuni hanno riferito di aver subito torture e maltrattamenti.. 

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Questi sviluppi si verificano in un momento in cui la situazione socio-economica della Tunisia peggiora continuamente: il tasso di disoccupazione è del 15% e il tasso di inflazione del 10%. Il Paese manca di beni di prima necessità e, a causa della siccità, l’uso dell’acqua è limitato.

La Tunisia non è un luogo sicuro di sbarco!

Molti elementi erano già sufficienti per contestare la sicurezza della Tunisia per i suoi stessi cittadini, affermando che non è un Paese di origine sicuro9. Ciò nonostante, le espulsioni da parte dell’Italia dei cittadini tunisini che non hanno accesso alla protezione internazionale è in aumento. Dopo gli ultimi sviluppi, appare ancora più urgente affermare che la situazione è estremamente grave e pericolosa per le persone nere e straniere, tanto che anche la sicurezza della Tunisia come Paese terzo appare profondamente compromessa.

Questo insieme di fattori mette le persone migranti nere e le voci di opposizione in una posizione di vulnerabilità. Non essendo al sicuro in Tunisia, le persone migranti dell’Africa subsahariana cercano di uscire da un Paese che è sempre più pericoloso per loro. Di conseguenza, non dovrebbe essere permesso lo sbarco in Tunisia delle persone intercettate in mare, durante il tentativo di fuggire dal Paese. Secondo la Convenzione SAR (Search And Rescue), un soccorso è definito come “una operazione volta a soccorrere le persone in pericolo, provvedere alle loro prime necessità mediche o di altro tipo e condurle presso un luogo sicuro di sbarco”. Nella risoluzione Msc 167(78) dell’Organizzazione Marittima Internazionale, un luogo sicuro di sbarco è ulteriormente definito come “un luogo in cui la sicurezza e la vita dei sopravvissuti non è più minacciata e in cui le loro necessità fondamentali (come cibo, riparo e necessità mediche) possono essere soddisfatte.

La Tunisia non ha un sistema nazionale di asilo, e le persone soccorse in mare, tunisine e non, sono altamente esposte al rischio di subire violazioni dei diritti umani, detenzione e respingimenti forzati

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Lo sbarco in Tunisia dei naufraghi e delle persone intercettate in mare viola il diritto internazionale in materia di diritti umani e il diritto del mare.

Fermare la complicità dell’Europa nelle morti alle frontiere

Per oltre un decennio, l’UE e i suoi Stati membri hanno sostenuto politicamente, finanziato ed equipaggiato lo Stato tunisino affinché sorvegliasse i propri confini e contenesse la migrazione verso l’Europa15. L’obiettivo è chiaro: impedire l’arrivo dei migranti in Europa, ad ogni costo.

Ciò si realizza  attraverso diversi accordi finalizzati alla “gestione congiunta dei fenomeni migratori”, alla sorveglianza delle frontiere e al rimpatrio dei cittadini tunisini. Tra il 2016 e il 2020, sono stati stanziati  per la Tunisia oltre 37 milioni di euro attraverso il Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa, per favorire la “gestione dei flussi migratori e delle frontiere”. Altri milioni di euro sono in arrivo. Inoltre, l’UE supporta la Tunisia attraverso “l’addestramento delle forze di polizia, la fornitura di attrezzature per la raccolta e la gestione dei dati, il supporto tecnico, l’equipaggiamento e la manutenzione delle imbarcazioni per il pattugliamento delle coste e altri strumenti per il tracciamento e il monitoraggio dei movimenti“. Purtroppo, nessun cambiamento nelle politiche europee è all’orizzonte. Proprio nel novembre 2022, nel suo recente Piano d’azione per il Mediterraneo centrale, la Commissione europea ha menzionato il suo obiettivo di “rafforzare le capacità della Tunisia […] di prevenire le partenze irregolari [e] sostenere una gestione più efficace delle frontiere e della migrazione“.

In questo modo, l’UE supporta anche la Guardia costiera tunisina, un attore le cui violazioni dei diritti umani contro le persone in movimento sono ben documentate. Negli ultimi anni, il numero di intercettazioni e di respingimenti da parte della Guardia costiera tunisina verso la Tunisia è aumentato enormemente. Solo nel primo trimestre del 2023, a 14.963 persone è stato impedito di lasciare la Tunisia via mare e sono state violentemente riportate indietro contro la loro volontà per conto dell’UE. Già nel dicembre 2022, più di cinquanta associazioni avevano denunciato la violenza della Guardia Costiera tunisina: “Aggressioni verso le persone con bastoni, spari di colpi in aria o in direzione del motore, attacchi con coltelli, manovre pericolose per tentare di affondare le imbarcazioni, richieste denaro in cambio del soccorso…”Questi attacchi si sono intensificati negli ultimi mesi, prendendo di mira sia persone migranti tunisine che non tunisine. Inoltre, è stato recentemente documentato come la Guardia costiera tunisina sottragga i motori alle imbarcazioni che tentano di fuggire dal Paese, lasciando le persone a bordo alla deriva, provocandone la morte..

Le organizzazioni firmatarie ricordano che la Tunisia non è un Paese di origine sicuro per i cittadini tunisini. Inoltre, non può considerarsi un luogo sicuro di sbarco per le persone provenienti dall’Africa subsahariana, né per i cittadini tunisini e né per gli altri stranieri in fuga dal Paese. Chiediamo alle autorità dell’Unione Europea e ai suoi Stati membri di interrompere il supporto tecnico e finanziario nei confronti della Guardia costiera tunisina, nonché la cooperazione volta al controllo delle migrazioni dalla Tunisia, garantendo canali di movimento sicuri per tutte e tutti”.

Questa, oggi, è la Tunisia. Alla presidente Meloni e ai suoi ministri securisti sta più che bene. A noi, no. 

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